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L'alienazione umana come guasto prodotto dal capitalismo contemporaneo

di Eugenio Orso - 12/01/2010

Fonte: pauperclass

 

Per iniziare questo discorso, ben conscio delle sue complessità e del fatto che si tratta di un terreno ancora largamente inesplorato, voglio presentare di seguito il testo di una mail inviatami agli inizi di gennaio 2010 da un mio corrispondente, una persona quasi cinquantenne che non lavora più per scelta e che si dedica, durante le settimana borsistica, alla piccola speculazione sui titoli, rivolgendosi spesso al mordi e fuggi e “maneggiando” talvolta prodotti ad elevato rischio come i derivati.

Ho appena finito di completare l'opera. Grazie a Supersilvio, e alla start up biotech del San Raffaele di Milano 536 ieri e piu' di altri 400 oggi. Netti sono circa 800 euro, considerate le tasse ridicolmente basse al 12,5% e le commissioni. Visto che con i miei metodi io vinco in borsa (mentre in Italia il 95% perde, cosi' dicono le statistiche ) la banca lo sa bene e mi stende tappeti d'oro, mi regala vini Barolo lussuossimi da 100 Euro a bottiglia pur di tenermi cliente per poi cercare di rifarsi con i miserabili, i disgraziati pensionati, i lavoratori dipendenti, etc. inculandoli a morte con il tipico 0,2% di interesse.


Quante ore deve lavorare una commessa alle 2 Torri per portare a casa una pagnotta che io ho preso in 2 pomeriggi? Un mese di lavoro. Quanti giorni dovrei lavorare io di dura partita doppia, spaccandomi la testa a far la quadra? Te lo dico subito: tre settimane. Il lavoro dipendente, qualunque esso sia, e' finito in questa società del Dio rendita. Ad essa bisogna votarsi e chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie sociali che ci sono in giro, sperando che non tocchino un giorno a te.
Per questo la Borsa e' l'unico metodo che ti possa assicurare la pensione fai da te e fuggire dal mondo del lavoro dipendente conquistando la libertà.

Ovviamente queste parole sono agghiaccianti ed io ho interrotto immediatamente qualsiasi tipo di rapporto con il soggetto che le ha scritte, rivelando con tali affermazioni un cinismo inaccettabile, una vera e propria assenza di dignità umana e un’accettazione piena delle dinamiche criminali del capitalismo contemporaneo.

Per chiarire alcuni arcani contenuti in questa orribile mail, partendo dal meno oscuro, preciso che “Supersilvio” è Silvio Berlusconi, mentre dietro l’espressione tecnico- borsistico-ermetica “start up biotech del San Raffaele di Milano”, si nasconde un’acquisizione-speculazione [non però del livello di quella che ha riguardato Mondatori] di cui questo individuo è venuto a sapere, e perciò ha seguito il [suo] principio guida: “Investi sulle mosse di Berlusconi”, guadagnandoci su, in paio di sedute borsistiche, “ben” ottocento euro netti.

Ma forse, per chiarire ancor meglio la vicenda con un minimo di informazione per così dire tecnica, prima di passare all’analisi del contenuto della missiva in formato elettronico, è bene che riporti parte del testo della precedente mail, corredato di grafici e tabelle, che ho ricevuto dallo stesso soggetto e centrata sullo stesso argomento.

Questo e' il grafico dell'azione farmaceutica "Molmed" del San Raffaele di Milano (Molecular Medicine). Il suo minimo borsistico avviene nei giorni di dicembre 2009, verso metà mese (1,60) Zitto zitto, ai minimi di dicembre il ns. esimio Premier compra fuori mercato da un fondo comune la maggioranza dell'azienda (il 24,12%), notizia che viene annunciata alla stampa appena oggi 7.1.2010 alle 12:05.
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Finanza%20e%20Mercati/2010/01/molmed- fininvest.shtml?uuid=1f87ab98-fb9d-11de-b596-e16b767cd100&DocRulesView=Libero

Alle 12:05 quando la notizia esce il mercato letteralmente dorme, probabilmente perche' gli operatori di borsa piu' importanti, i piu' attivi, vanno tradizionalmente a pranzo, fino alle 14. Dalle 14 - ovvero quando gli operatori di borsa ritornano al lavoro - si scatena il finimondo in acquisto e l'azione Molmed arriva oggi fino quasi a 2 Euro, per poi chiudere a 1,87.
Alle 12:05 per fortuna io non pranzo ancora (pranzo abitualmente alle 12:40) e leggendo la notizia in tempo reale noto, con stupore, che il mercato non reagisce alla mossa inattesa di SuperSilvio. Riesco a comprare le Molmed senza affanno e me ne servono la quantità che necessitavo, 3400, a 1,777.
Alle 15 vendo concretizzando l'assist che mi e' stato servito da un mercato così inefficiente e porto a casa 536 Euro.
Poi verso le 16 ne ho acquistate altre 1350 a 1,888 senza però riuscire a venderle (pazienza forse le terrò, a questo punto visto il lauto guadagno realizzato). Morale della favola: i mercati sono mostruosamente inefficienti.


Per essere esaustivi nella spiegazione dell’operazioncina speculativa realizzata “sulle orme di Supersilvio”, preciso che il piccolo gambler di borsa in questione ha venduto dopo un giorno anche le 1.350 azioni acquistate in fine seduta, realizzando con tale vendita il guadagno netto che gli mancava per arrivare ai famosi ottocento euro netti, mentre l’inefficienza del mercato, che a mezzogiorno si è mostrato “fiacco”, al punto di avere l’impudenza di non reagire alla mossa berlusconiana, è in tale caso dovuta al fatto che molti operatori, a quel ora, se ne vanno a pranzo e ricominciano “il grande gioco” alle quattordici.

Lo stesso soggetto, in precedenza, mi ha specificato che grazie allo spostamento epocale di risorse dal Lavoro al Capitale, e grazie alle politiche che nel caso italiano proteggono la rendita a scapito di chi è costretto a lavorare per sopravvivere, lui stesso, pur essendo ancora relativamente giovane ed ancora per qualche anno “nel pieno delle forze”, preferisce speculare in borsa con un carico fiscale del 12,5% piuttosto che lavorare con un carico “del 120%” dal punto di vista dell’azienda.
In questa piccola ma “edificante” vicenda carica di significati emerge in pieno, per come la penso io, quello che i francesi colti definirebbero l'esprit de l'âge, e per quanto attiene l’oggetto di questo mio scritto – che di certo non è la finanza, la borsa, le dinamiche speculative da un punto di vista “operativo” o i prodotti inventati in quel contesto apparentemente irreale – ho modo di ritenere che le parole del mio sciagurato [ex]corrispondente descrivano, prima ancora che un mondo sempre più intriso di cinismo e di autentica abiezione, un suo profondo, personale disagio, l’instabilità esistenziale che lo pervade e la paura “di affondare” fino al collo, senza rimedio, nelle melme che sono in agguato sotto la patina di “democrazia”, “diritti individuali”, “legalità”, opportunità per tutti, di un’eguaglianza pelosa e soltanto formale che caratterizza questo sistema, se una serie di speculazioni importanti non va come dovrebbe, facendolo scivolare improvvisamente nella condizione dei miserabili, dei disgraziati pensionati e dei lavoratori dipendenti, evocati [e cinicamente irrisi] nella sua seconda mail.

Mi pare evidente che questo soggetto intuisce l’insidiosa e profonda trasformazione dell’ordine sociale in corso, e la esorcizza mostrando indifferenza, se non disprezzo, per la sorte dei moltissimi “che non ce la potranno fare”, fidando sulle sue capacità di analista finanziario e di speculatore borsistico per sottrarsi alla ri-plebeizzazione che nota quotidianamente intorno a lui.
E’ dunque per tale motivo che ammira Supersilvio e la sua capacità “di fare soldi”, di acquisire, a qualsiasi prezzo personale e collettivo, un potere fine a se stesso, privilegi e impunità a scapito di un intera nazione, ed è per questo che ne segue le orme anche nelle operazioni finanziarie, naturalmente in quelle più modeste e accessibili ad un “pubblico indistinto”.
Vorrebbe anche lui la libertà nicciana dell’aristocratico per la cui piena realizzazione moltissimi altri devo subire servaggio, schiavitù, limitazione dei diritti e delle possibilità di crescita, restando per tutta la vita “uomini incompleti”.
Ma il piccolo gambler che si danna quotidianamente, per restare a galla, con listini, candeline del fib, rumors e stocastico, teorie avanzate di statistica e game theory, comprende perfettamente che il mondo della nuova élite non ammette intrusi, e non concede a chi sbaglia prove d’appello.

Il capitale ha compiuto una metamorfosi completa nel suo immaginario [e non soltanto nel suo, purtroppo …], trasformandosi nel “Dio rendita” che è destinato a stravincere nell’epocale confronto con il Lavoro, tanto che l’intera società umana sembrerebbe ormai nelle mani di questa divinità.
Persino l’attività dell’imprenditore, come lui stesso mi ha confessato in precedenza, è oggi a rischio, non più appetibile, se pensiamo ai piccoli imprenditori italiani della PMI in crisi che stanno “per uscire dal mercato” da un momento all’altro, e se quello dell’imprenditore possiamo veramente definirlo un “lavoro” – così sicuramente non è stato per molti marxisti – ad esempio nei termini più noti e abusati dell'organizzazione dei fattori della produzione volta a conseguire sempre e comunque il massimo profitto, concezione che riporta, se non vado errato, all'utilitarista e positivista John Sturat Mill.
Anche questo “lavoro”, soprattutto per quanto riguarda la piccola impresa con l’imprenditore individuale impegnato in prima linea, sarebbe destinato a subire nel tempo la sorte di tutti gli altri.

Il nostro piccolo mago del capital gain comprende bene che se qualcosa gli va male, molto male, non avendo lui un grande patrimonio a coprirgli le terga e un gran potere personale, “non essendo bene introdotto”, il rischio che corre è quello di finire nella condizione sempre più infera di chi deve vivere vendendo a prezzi via via inferiori proprio lavoro, di chi lavoro non ha e non può contare come ultima ratio su solide “reti familiari e amicali alle spalle”, o di chi, dopo decenni di attività lavorativa, si trova a fare i conti con la sopravvivenza quotidiana e una pensione mensile decisamente inferiore ai mille euro. Il piccolo gambler festeggia dunque gli ottocento euro netti, presi con poco sforzo in un paio di giorni grazie alla via indicatagli da “Supersilvio” e alle sue abilità, ma teme costantemente la deriva esistenziale che un'insufficiente, mediocre o addirittura negativa performance borsistica potrebbe in futuro comportare, vive costantemente con l’angoscia di scivolare prima o poi nel magma ribollente della nuova Pauper class, e cioè in quella condizione di immiserimento, di povertà economica ma anche e soprattutto, a più lungo termine, di autentica povertà culturale dalla quale non ci sarà più via d’uscita, se il “Dio rendita” – come lui lo chiama, giurando di votarsi a questo nuovo vitello d’oro – trionferà senza incontrare opposizioni entro la prima metà di del ventunesimo secolo.

L’indifferenza nei confronti degli altri che caratterizza il mio sciagurato [ex]corrispondente, intrisa di malcelato disprezzo, se non di derisione nei confronti di chi “non ce la può fare”, è una conseguenza tragica e socialmente disgregante che caratterizza il trionfo del “Dio rendita”, il quale aspira ad essere adorato a livello globale – da San Francisco a Port Arthur, dalla costa americana del Pacifico al Mar Giallo attraversando Europa e Asia – e sostituisce rapidamente con i suoi simboli, con la sua immagine allettante ma terribile nella sostanza, i vecchi miti, le ideologie del passato e gli dei più remoti, invadendo con una certa qual facilità le menti, le coscienze e gli immaginari dell'umano genere.
Chi lo venera, votandosi a lui e aggrappandosi al suo feticcio come ad un’ancora di salvezza, per non essere risucchiato verso il basso della scala sociale, può di certo ricevere doni dalla banca – che se lo tiene ben stretto come cliente, grazie alle commissioni che gli fa incassare attraverso le operazioni del borsino – e portarsi a casa in occasione delle feste gli omaggi e i regalini pelosi elargiti dall’”impresa del credito” alla migliore clientela, quali cassette di vini Barolo di gran pregio, dal bel prezzo di cento euro la bottiglia.

Chi lo venera può talvolta permettersi di sognare tappeti d’oro stesi ai suoi piedi, non appena varca la soglia della filiale in cui ha i conti, a differenza di quanto accade ai miserabili, ai disgraziati pensionati, ai lavoratori dipendenti che entrano in una banca – tempio ufficiale della divinità protettrice del capitale-rendita – per mendicare mutui o crediti al consumo, sempre più spesso negati, o quanto meno razionati con la giustificazione delle cautele imposte dalla situazione di crisi in atto. Ma il culto di un simile dio porta anzi tutto angoscia, incertezza profonda, impossibilità di pianificare serenamente il futuro, estrema solitudine condita da un controproducente egoismo, e infonde agli umani una falsa forza d’animo, che è smascherata dal cinismo puramente “difensivo” riflesso nelle parole del piccolo giocatore di borsa e che in ogni momento – complici i listini avversi, i falsi rumors, le improvvise svolte degli indici e qualche altro indesiderato scherzetto del caso – può trasformarsi repentinamente in disperazione.

Il suo culto rappresenta, in definitiva, l’accettazione supina del potere e dei privilegi della nuova aristocrazia, il dominio incontrastato della Global class, ma soprattutto l’abbandono definitivo della speranza di una vera crescita umana e di un avanzamento culturale futuro, di un miglioramento generale delle condizioni di vita, barattati incautamente con un presente incerto, carico di angoscia anche per i nuovi “omologati”, attraversato da iniquità sempre più evidenti sul piano sociale e segnato dal rischio che per moltissimi non vi sarà più un futuro degno di questo nome.

Il capolavoro finale, nel testo della mail del piccolo giocatore di borsa, è il riferimento finale alla necessità di conquistarsi la “libertà” fuggendo dal lavoro dipendente.
Anche le nuove forme di alienazione sono nate in relazione al Lavoro, cioè a quella attività dell’uomo che lo pone in relazione con l’ambiente esterno e che è indispensabile per “lo sviluppo della personalità” del singolo e per il raggiungimento dell’autocoscienza individuale.
Ma il “Dio rendita” indica ai suoi adepti una strada diversa, nuova, riservando il lavoro tradizionale, puramente esecutivo, sempre di più a lavoratori sottopagati o a veri schiavi, oppure, salendo ai livelli di controllo delle produzioni materiali e culturali, a minoranze che sono in posizione di servizio rispetto agli strati più alti della classe globale. In tale contesto, il Lavoro non può più rappresentare un valore, e men che meno una strada maestra per il raggiungimento dell’autocoscienza, ma diventa sempre più spesso, per molti, un fardello del quale liberarsi, un peso, una via che porta verso il basso o finisce in un vicolo cieco.

La libertà alla quale fa riferimento il mio [ex]corrispondente è quella dal lavoro, svalutato e flessibilizzato, sottopagato e completamente ri-mercificato, e l’unica via che lo stesso vede per la salvezza individuale è quella “di votarsi” completamente al solito “Dio rendita”, accettando supinamente, oltre che i suoi riti, le nuove dinamiche sociali, anzi, coprendosi gli occhi per non vedere le ingiustizie che crescono intorno a lui, sperando che mai riescano a toccarlo direttamente.

Che razza di libertà è dunque questa?
Una libertà provvisoria, a tempo e precaria, come tutto il resto nelle nuove dimensioni culturali del capitalismo contemporaneo, con il rischio costante di scivolare verso il basso, di passare una lunga stagione della propria vita “all’inferno”, assieme a “coloro che non ce l’hanno fatta”.
Una libertà che è una nuova forma di schiavitù, o ancor meglio, una forma di schiavitù che in rapporto alle altre che si prospettano diventa libertà, come si potrebbe dire rovesciando lo slogan Freedom is slavery dell’Orwell di 1984, espresso in neolingua, ed è una delle poche “libertà” concesse dal “Dio rendita” a chi si vota a lui, o davanti a lui è costretto dalle circostanze a prostrarsi.
Una libertà che nasce dal condizionamento e dall’atomizzazione sociale, dalla precarizzazione dell’uomo e dalla svalutazione progressiva del suo lavoro, diversa dalla Libertà obbligatoria cantata negli anni settanta dal poeta un po’ filosofo Giorgio Gaberscik, in arte Gaber, anche se davanti alla libertà agognata dal piccolo gambler si potrebbe certamente preferire [con le parole di Gaber] la libertà di non essere liberi. Se il lavoro non potrà più garantire le basi materiali per una vita dignitosa, cosa le potrà garantire? La speculazione finanziaria azzeccata? I patrimoni di famiglia fin tanto che durano?

Nel caso di fallimento di alcune operazioni finanziarie per lui cruciali, di importanti speculazioni in titoli andate male, il giocatore di borsa in questione potrà trovarsi alle strette, rassegnandosi a dover [soprav]vivere per il futuro in una condizione sempre più sfavorita assieme a tutti coloro che subiscono questo cambiamento epocale, ma in tale caso il nostro chi incolperà del suo personale fallimento?

Sicuramente non il “Dio rendita”, che nel suo immaginario colonizzato gli ha offerto la possibilità di [un relativo] successo e l’opportunità di essere libero, posto che la speculazione finanziaria possa veramente rendere liberi e portare sulla strada dell’autorealizzazione, o ad una nuova forma di autocoscienza non legata al Lavoro …
cosa che io mi sento di escludere nella maniera più assoluta.
Incolperà i sacri meccanismi del Mercato, che regolano la creazione del valore finanziario in nome e per conto della divinità dell’epoca?
Probabilmente no, perché si tratta degli stessi meccanismi che in passato, grazie anche alle sue indiscusse capacità [trattandosi di un gioco d’abilità e non di pura sorte], gli hanno permesso di “vincere” e di sottrarsi al lavoro sottopagato.

Alla fine non gli rimarrà altro da fare che incolpare sé stesso, giungendo alla conclusione di aver commesso errori, di non essere riuscito [magari per una sola incollatura …] ad approfittare di situazioni di investimento e speculative allettanti, in un processo di “autocolpevolizzazione” che isola gli individui, li rende inoffensivi quanto depressi, incapaci di reagire veramente, contribuendo in modo significativo ad impedire reazioni collettive diffuse, ad evitare l’esplosione del conflitto [interno alla formazione sociale] fra dominanti e dominati, a prevenire opposizioni di massa al sistema che serve adeguatamente il “Dio rendita” e quindi gli interessi della classe globale.

In caso di fallimento individuale, posseduti dallo spirito del “Dio rendita”, vittime delle sue illusioni, tutti o quasi “Scenderemo nel gorgo muti”, ma non sarà la morte, l’atto finale, come nei celebri versi del Cesare Pavese di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, si tratterà semplicemente di una nuova condizione economico-sociale ed esistenziale senza scampo, che caratterizzerà in occidente ed in Europa gli strati superiori della nuova Pauper class.