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Il paese di Frankenstein

di Andrzej Stasiuk - 12/01/2010

  
 
L'indipendenza ora è un business. Faremo nascere gli Stati solo se sarà conveniente
 
L'Unione europea manda in Kosovo 1.900 giudici, guardie di frontiera e poliziotti. Il Kosovo come Frankenstein è incapace di vita normale. Sotto il governo delle amministrazioni Onu si è trasformato nel maggior deposito europeo di eroina afgana. Per il Kosovo transitano anche le armi e le schiave dei bordelli dell'Europa occidentale. In quel Paese governano i gangster, che al tempo stesso si dedicano ad ampliare le reti mafiose in Spagna e in Italia. Il Kosovo, piccolo, torbido e abbandonato a se stesso, è arrivato al rango di un grande giocatore nel mondo criminale. Basterà un po' di pazienza, e muoverà alla conquista dell'America.

Il Montenegro confinante, la cui indipendenza è solo un tantino più remota, è a sua volta il paese di transito del contrabbando di eroina del Kosovo. Oltre a ciò il Montenegro piccolo e valoroso, unico paese dei Balcani riuscito a opporsi fattivamente e per secoli al dominio turco, sta diventando una colonia russa. I russi ne acquistano le coste, vi costruiscono alberghi e appartamenti. Si impossessano anche dell'interno del Paese, come Oleg Deripaska, il capo della RusAl, la più grande industria di alluminio al mondo. Ha acquistato la fabbrica d'alluminio di Podgorica, una miniera di bauxite, e ora si sta preparando a entrare in possesso dell'unica centrale elettrica del Paese. Sembra che il Montenegro in futuro non sarà altro che una stazione termale russa e al tempo stesso una portaerei russa nel cuore del Mediterraneo.

Tutto sta a indicare che la conquista dell'indipendenza a cui eravamo abituati un tempo sia diventata un fatto del passato. L'indipendenza ora è semplicemente un business. Faremo nascere dei paesi se la cosa sarà conveniente. Quando smetteranno di portare un utile li chiuderemo, come le fabbriche in passivo. Sarà presto anche del tutto indifferente chi sarà a investirci. Potrà essere a pari merito la mafia kosovara o lo Stato russo. Chissà se un qualche futuro gigante ipotetico, una nuova Microsoft o un nuovo Lukoil o Sybnieft non vorranno investire ad esempio nell'indipendenza della Corsica. O dei Paesi Baschi. La Serbia, dal cui corpo sono stati strappati brandelli autonomisti, era un paese debole. In futuro anche Francia o Spagna possono dimostrarsi troppo fragili per i giganti del business.


L'indipendenza dei piccoli paesi non vale molto. La accettiamo usando concetti da museo, del genere dei 'diritti dei popoli all'autodeterminazione'. Ma fra poco saranno i popoli stessi a venir chiamati in vita a seconda delle necessità del business o della politica. Nel mondo postmoderno, in cui tutto può essere oggetto di discussione e negoziazione, l'appartenenza nazionale diventerà una delle tante identità, uno dei tanti stili di vita. Chissà, forse avremo a che fare con i creatori di appartenenze nazionali, così come oggi abbiamo a che fare con i creatori di moda. Nulla sta a impedire che si versi sangue o si sacrifichi la vita per queste nuove nazionalità. I tifosi delle squadre di calcio si dichiarano guerra, muoiono, uccidono e onorano i loro eroi caduti.

Tre anni fa sono stato a Budva in Montenegro, una stazione termale sul mare che si sta lentamente trasformando in una sorta di riviera russa. Sedevo nell'antica piazza del mercato memore dei tempi veneziani e sorseggiavo un caffè. Su un grande schermo televisivo veniva proiettata una partita di calcio. Giocava la rappresentanza del Montenegro, allora ancora parte della Serbia, contro la rappresentanza della Transnistria, quel paese inesistente ma pericoloso che si trova ai confini della Moldavia.

La Transnistria è riconosciuta solo dalla Transnistria e silenziosamente appoggiata da Mosca. La maggior ricchezza del Paese sono i giganteschi depositi di armi lasciativi dai sovietici. Alle frontiere ci sono posti di blocco, esiste una valuta nazionale, e il tutto è governato dalla famiglia Smirnov, assai simile a una famiglia mafiosa. E allora, nel tiepido tramonto dell'Adriatico, ho avuto la sensazione di star osservando una realtà alternativa. Il mondo, l'Europa, certo, esistono ancora, ma da qualche parte, al loro fianco, sta nascendo un ordine completamente nuovo. Due paesi inesistenti si sono accordati per una partita internazionale e la proiettano in televisione. Gli uomini ai tavolini accanto erano agitati. Facevano il tifo per la rappresentanza del loro Paese inesistente. Ma anche la squadra della Transnistria aveva i suoi atout: giocava nel proprio stadio nazionale, costruito a Tiraspol con i soldi di Smirnov: comunista, gangster, mercante di armi.