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Riletture: Louis Dumont (1911-1998)

di Carlo Gambescia - 20/04/2006

 

Nel quadro del pensiero antropologico della seconda metà del Novecento, l'opera di Louis Dumont, che non può essere ristretta agli studi sulla civiltà indiana, spicca proprio per l'eccentricità. Geloso della sua indipendenza e spesso incompreso dagli stessi colleghi universitari, Dumont ha condotto una vita intellettuale appartata, e pur viaggiando e insegnando in tutto il mondo, i suoi libri (non molti per la verità, ma tutti notevoli) non hanno mai ricevuto quel consenso che meritavano, soprattutto in Francia.
Louis Dumont (1911-1998) nasce a Salonicco nel 1911. Dopo gli studi liceali, all'inizio degli anni Trenta, e ancora giovanissmo, frequenta gli ambienti delle avanguardie intellellettuali parigine. Si iscrive al partito comunista. Nel 1939 scopre l'etnologia, frequentando al College del France i corsi di Marcel Mauss. Nel 194o cade prigioniero dei tedeschi. Rinchiuso in un campo di prigionia nei dintorni di Amburgo, ne approfitta per studiare il tedesco e il sanscrito. Nel 1944, disilluso dalla politica e timoroso della carica di violenza insita in ogni forma di totalitarismo, torna agli studi scientifici. Nella seconda metà degli anni Quaranta, Dumont inizia a lavorare al Musée de l'Homme, come segretario dell' etnografo G.-H. Rivière, che gli suggerisce di dedicarsi allo studio della cultura popolare francese, in particolare della "Tarasque" provenzale ( La Tarasque: essai de description d'un fait local d'un point de vue ethnographique, Gallimard, Paris 1991). Ha l'opportunità di leggere per primo il manoscritto di Strutture elementari della parentela, affidatogli per batterlo a macchina dallo stesso Lévi-Strauss. Scopre e rivaluta la scuola tedesca di etonologia. Collabora, divenendo amico del direttore J. Renoir, con la rivista "Cine Liberté". E' tra gli editori del "Mois d'Ethnographie Francaise" Nel 1949 si reca in India. Viaggio che gli consente di scrivere la sua prima monografia su due subcaste ( Pramalai Kallar e Tami Nandù), lavoro che dedica a Lévi-Strauss. Dal 1951 al 1955 insegna all'Istituto di antropologia di Oxford. Nel 1955 diviene direttore dell' Ecole Pratique des Hautes Etudes, dove crea un centro di indianistica. E negli anni successivi inzia a recarsi periodicamente in India, in particolare nel Nord (Uttar Pradesh). Nel 1957 fonda la rivista "Contributions to Indian Sociology", con il discepolo D. Pocock. Lo stesso anno pubblica la sua tesi di dottorato di stato, Une souse caste de l' Inde du Sud (Mouton, Paris 1957). Segue la raccolta La civilisation indienne e nous: esquisse de sociologie comparée (Armand Colin, Paris 1964, trad. it. Adelphi, Milano 1975). Due anni dopo, all'età di 55 anni, pubblica l'opera che lo consacra come antropologo sociale: Homo ierarchicus. Essai sur le systéme des castes (Gallimard, Paris 1966, riedizione, ivi, 1979, con una nuova notevole prefazione, pp. I-XL, e un'interessante postfazione, Vers une théorie de la hiérarchie, pp. 396-403, trad. it. Adelphi, Milano 1991). Segue lo studio Introduction à deux théories d'anthropologie sociale:groupes de filiation et alliance de mariage (Mouton, Paris 1971). Dopo di che i suoi interessi antropologici si rivolgono allo studio della civiltà occidentale. Seguono nell'ordine: Homo Aequalis I: genése et épanouissement de l'idéologie économique (Gallimard, Paris 1977, trad. it. Adelphi, Milano 1984); Essais sur l'individualisme: Une perspective anthropologique sur l'idéologie moderne ( Seuil, Paris 1983, trad. it. Adelphi, Milano 1993); Homo Aequalis II: L'idéologie allemande. France-Allemagne et retour ( Gallimard, Paris 1991) .
Louis Dumont muore a Parigi nel 1998 alla venerabile età di 87 anni.
La sua opera segue tre direttrici principali.
Prima direttrice: lo studio della civiltà indiana e in particolare della società castale. Al di là delle ricchezza informativa in argomento (dovuta non tanto a un' antropologia da scrivania quanto a un' attenta ricerca sul campo), quel che stupisce della sua indianistica è il taglio metodologico. La società indiana è studiata come un fenomeno totale. La casta, che ha certo origine sociali economiche e istituzionali, non è però solo un fatto strettamente sociologico: è il risultato di una mentalità collettiva che ingloba l'individuo (l'inglobato), in modo automatico, all'interno di un ordine trascendentale di tipo religioso (l'inglobante). Ordine che giustifica in senso socioculturale la casta. Rendendo così armonico il sistema sociale. Certo, a un livello inconcepibile per un occidentale.
Seconda direttrice: lo studio della civiltà occidentale, come effetto dello sviluppo di una mentalità collettiva, portata anche questa a inglobare l'individuo (l'inglobato) in modo automatico, all'interno di un ordine egualitario (l'inglobante). Ordine che pur rifiutando la metafisica, gode comunque un fondamento forte, immanentistico. Che serve a giustificare in senso culturale la democrazia egualitaria. Con una differenza rispetto al sistema castale: il ruolo decisivo che 'individualismo gioca invece in Occidente. Infatti nell'universo indiano "l'armonia sociale" è garantita dall'assenza di una visione individualistica della persona. Di più: secondo Dumont il nazionalismo e il totalitarismo sarebbero frutto della sempre rinascente tensione tra individuo e concezione egualitaria della società. La nazione e lo stato totalitario, ma anche lo stesso ruolo, che si vuole taumaturgico, dell' economia (e del pensiero economico), vengono considerati in Occidente come strumenti per conseguire l'eguaglianza forzata degli individui. La contraddizione tra individuo e società, tipica del mondo occidentale, spinge di volta in volta l'individuo "secolarizzato" ad appellarsi a un Terzo in "carne e ossa" : lo stato, il partito, il mercato, che per lui dovranno realizzare, il paradiso della perfetta eguaglianza in terra, all'interno però di una sola entità universalisticamente intesa: la razza, la classe, l' economia capitalistica, eccetera.
La terza direttrice: lo studio di una teoria socioculturale di tipo olistico. A parere di Dumont il concetto di gerarchia rinvia a una visione della società di tipo prospettico. L'idea di gerarchia riflette l'organizzazione sociale indiana, ma anche un principio metodologico. Sotto il profilo conoscitivo studiare un fenomeno sociale significa collocarlo lungo una traiettoria gerarchica, non in termini di valori ( in senso qualitativo: di giudizi morali e politici) ma di diversità (in senso scalare: di disposizione nello spazio socioculturale). Ad esempio noi possiano studiare - come del resto ha fatto per tutta la vita, e bene, Dumont - la civiltà indiana e capire prospetticamente le differenze tra la nostra civiltà e quella indiana, partendo dal ruolo (gerarchico) che l'individuo gioca all'interno delle due società. Tenendo però sempre metodologicamente presente, che l'individuo non è che una parte di quel tutto, rapprentato dallo società come fatto socioculturale. E che quindi il "ruolo", o si preferisce la parte che l'individuo recita, dipende sempre dalla gerarchia di valori ai quali si ispira la società, come dire, dal copione , che ognuno di noi, come singolo attore, recita all'interno del grande dramma ( e qualche volta commedia) sociale.
In questo senso continuare a studiare la civiltà indiana o un'altra civiltà (che magari un giorno scopriremo su qualche lontano pianeta nello spazio) applicando i principi e i valori individualistici dell'Occidente non serve assolutamente a nulla. E può creare solo incomprensioni e conflitti.
E questo probabilmente è il lascito più importante dell'opera di Louis Dumont.