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Filosofia della montagna

di Francesco Tomatis - 29/09/2005

Fonte: Coriere.it

 

Sulla montagna sono stati pubblicati libri di vario genere, alcuni dei quali ricchi di idee e in vario modo stimolanti; nessuno, tuttavia, ha finora raggiunto una ricchezza di contenuti e uno spessore spirituale come il nuovo libro di Francesco Tomatis, dal titolo Filosofia della montagna (con prefazione di Armando Torno, Bompiani, pp. 224, 8). La cosa, di primo acchito, può sorprendere, ma ben si spiega se si conosce l’autore, che è un grande amante dell’alpinismo, inoltre professore di Ermeneutica filosofica, discepolo di Luigi Pareyson, perfezionatosi a lungo in Germania, ospite di università spagnole (Cordoba, Mendoza, Madrid), esperto conoscitore di problemi di metafisica, di teologia e di mistica. La montagna di cui si parla è quella fisica, ossia quella reale, ma essa viene subito trasfigurata in simbolo mistico, che si impone non solo come esso pure «reale», ma come «realissimo», e dunque più reale di quello reale. Alla base del libro, quindi, non sta soltanto l’esperienza alpinistica, ma anche e soprattutto quella alpi-mistica, per dirla con un termine coniato dall’autore stesso.
Tomatis è ammiratore di Reinhold Messner e a conclusione del libro presenta come postfazione un’intervista al grande alpinista, il quale intendeva la montagna come esercizio dell’uomo al pericolo e al continuo rischio e diceva: «Senza il pericolo la montagna non è montagna, ma è un gioco sterile. Posso far costruire una montagna artificiale anche in una grande sala, e lì fare degli allenamenti o delle gare. Questo si fa oggi, ed è una forma di abilità nell’arrampicarsi. Però non è quello che è l’alpinismo. All’alpinismo è necessaria la difficoltà, l’esposizione, l’essere fuori nella wilderness , in un ambiente selvaggio e desolato, e anche il rischio. Il fascino delle montagne è dato dal fatto che sono belle, grandi, pericolose».
Ed ecco come Tomatis sviluppa queste notazioni alpinistiche in riflessioni alpi-mistiche: «Non c’è ascesa senza ascesi, continuo esercizio, costante rinuncia, faticoso cammino, disciplinata via, fedele amore, insonne preghiera di abbandono a ciò che, a tutto superiore, attende».
L’esito della alpi-mistica consiste nella liberazione da tutti quei pesi che ci incatenano alla realtà di tutti i giorni.
Già Plotino diceva: «Spogliati di tutto». L’esito della mistica della montagna è una sorta di «svuotamento» fisico e meta-fisico in tutti i sensi. Il suo rapporto con Dio è certo di preghiera, ma non in quanto richiesta di qualcosa, bensì come provocazione dell’anima di essere liberata. In essa ella chiede a Dio di liberarla da tutto: da ogni cosa del mondo, da ciascuna persona, anche da se stessa e persino da Dio. Liberazione da Dio va intesa come liberazione da Dio espresso dalla parola, in quanto la parola vuol definire l’in-definibile, esprimere l’in-esprimibile, e quindi rinchiude l’infinito nel finito. L’esito della mistica (come diceva già Platone nel Simposio ) consiste nell’identificazione dell’amante con l’amato, identificazione che può essere solo esperita e non detta.
La montagna è simbolo perfetto della trascendenza. Essa richiede la fatica della salita, con tutti i pericoli che comporta, ma non solo per giungere alla vetta. Infatti, se la vetta viene intesa come scopo ultimo e unico, comporta disillusione; la vetta deve portarci a comprendere ciò che sta oltre, ciò che è ad un tempo «più dentro» e «più fuori» di noi, e quindi ispira il senso della trascendenza. La montagna rispecchia il senso metafisico dell’uomo stesso che è homo erectus , l’uomo che si estende tra terra e cielo, tra visibile e invisibile.
La mistica e l’esperienza alpi-mistica non sono una fuga dal mondo, ma la più forte e la più radicale esperienza per un recupero del mondo nel suo vero significato. Già Platone aveva anticipato questo concetto in modo mirabile. L’uscita dalla caverna, la salita per l’erta via, il sorpasso della barriera che divide il sensibile dal soprasensibile e quindi la visione del Bene assoluto, comportano per l’uomo la necessità morale di tornare alla caverna, per portare aiuto ai contubernali, e quindi per dare un nuovo significato alla caverna stessa e ai suoi abitanti.
È proprio questa la tesi che Tomatis sviluppa e ribadisce a più riprese. La liberazione alpi-mistica si completa non solo con la salita, ma con il «ritorno al mondo».
Concludiamo con due pensieri sintetici che esprimono il pensiero di Tomatis (con lo stile del filosofo Eraclito, che si ispirava ai canoni tipici dei responsi oracolari di Apollo, proferiti dalla Pizia in Delfi): «Solo l’uomo cammina ai confini di ciò che non ha confini, sa vedere il mistero, ascoltare il silenzio, esperire l’infinito», e ancora: «Abitare illimitatamente il limite è già pensare, porsi in cammino nell’il-limite».