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“The italian bet”

di Lorenzo Borrè - 04/03/2010

Sembra che in Inghilterra, patria delle scommesse, stiano già raccogliendo le puntate sulla riammissione della lista del PdL alla competizione elettorale laziale del 28 marzo. E sembra che gli allibratori diano "100 a 1" la conferma dell'esclusione, il che significa -per i profani- che se si giocasse una sterlina sulla rentrèe del PdL, e questa non si verificasse, si vincerebbero cento sterline; la puntata sul sicuro (e cioè sulla riammissione della lista pidiellina) frutterebbe invece, in caso di vincita, solo 1 centesimo.
E' da escludersi che le quotazioni dei bookmakers si fondino sulla conoscenza della nostra normativa elettorale; piuttosto è da pensare che la certezza degli scommettitori d'oltremanica si fondi sulla convinzione che qui da noi alla fine si troverà la classica "soluzione all'italiana".
L'opinione che gli inglesi hanno di noi abitanti dello Stivale non è nuova ed è peraltro largamente condivisa dall'Alaska allo  Zululand (meglio: da tutte le nazioni ricomprese, in ordine alfabetico, tra lo stato americano e la provincia del Sudafrica), ma la questione, qui in Italia, ha una sua emblematica crucialità in quanto  ripropone il conflitto tra il principio di Legalità e quello di Giustizia, principi che ciascuno dei due Poli interpreta a proprio piacimento.
Il PdL invoca la (presunta)  volontà popolare come valore superiore al quale piegare la Legalità (e cioè il rispetto delle regole precostituite); l’eterogeneo schieramento avversario ritiene invece che il rispetto della Legalità risponda, tout court, alla Giustizia.
Non è un caso che gli argomenti utilizzati dal Pidielle a sostegno dell’istanza di riammissione della lista centrodestrista riecheggino, nella sostanza, la vulgata berlusconiana di un’amministrazione della giustizia che vorrebbe soffocare la democrazia (e cioè la volontà degli elettori), e non è neppure un caso che la coalizione di controparte risponda con in mano il decalogo del buon manipulitista.
Il rispetto della legalità non sempre corrisponde a giustizia (in base alle leggi razziali del 1938 un cittadino italiano ben poteva perdere, legalmente, la cattedra universitaria, mentre in Unione Sovietica, sempre per previsione normativa, si poteva legalmente finire in un gulag siberiano per deviazionismo), e però la giustizia non può prescindere dal rispetto delle regole. 
Il problema è che oggi Diritto, Legge e Giustizia paiono perdere la loro funzione fondamentale per diventare strumenti di una partita  che si gioca sopra le nostre teste. Lo sintetizza bene Nietzsche in “Umano, troppo umano” : “dove la legge non è più, come da noi, tradizione, essa può essere solo imposta, solo costrizione; noi tutti non abbiamo più un senso tradizionale del diritto, perciò dobbiamo accontentarci di diritti arbitrari, che sono espressione della necessità che esista un diritto”.
La legificazione è diventata dunque, negli anni, la mera espressione di un atto di forza o meglio l’espressione della Forza politica di maggioranza che la impone a sostegno dei propri interessi, che non sono più quelli del Popolo o della Nazione, tantomeno quelli dello Stato.
Il concetto è ben espresso da Natalino Irti : “l’arbitrarietà rivela la solitudine del diritto moderno. Esso ha fatto deserto intorno a sè: rifiutando l’antico patrimonio del diritto romano e negando le voci che giungono o dal passato o dall’alto. Questo deserto, che respinge qualsiasi assoluto sapere intorno ai fini, è tuttavia gremito di contingenti volontà, di interessi occasionali, di scopi desiderati”.
Si producono norme come se fossero merci: sorgono dalla richiesta (caso) contingente  e finiscono nel nulla (con modifiche o abrogazioni) non appena la norma non servirà più o dovrà servire ad un altro scopo, secondo il medesimo criterio arbitrario, con l’effetto nichilista che  “nessuno sentirà verso una legge altro obbligo che quello di inchinarsi per il momento al potere che avrà introdotto la legge: per poi subito rivolgersi a minarla con un nuovo potere, con una maggioranza di nuova formazione” .
Oggi, che lo scacco al re sia dato con decreto legge o con ordinanza è questione che non interessa ai Bookmaker britannici.