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La lezione di Billy Chapel: quando pensi di aver toccato il fondo arriva la "partita perfetta"

di Roberto Alfatti Appetiti - 09/03/2010

 
 
Gli appassionati di baseball lo sanno: riuscire a giocare la partita perfetta è un evento più che raro. Negli States, patria di questo sport affascinante, in centocinquanta anni sono state lanciate soltanto sedici partite perfette. Per farlo, il lanciatore e la sua squadra devono vincere eliminando tutti i ventisette battitori avversari. Quando accade, l’intero paese si ferma ad applaudire. È da sempre il sogno di ogni piccolo americano. «Se siete negli Stati Uniti e vedete un ragazzino con un guantone e un cappellino da baseball che parla da solo mimando i movimenti del lanciatore, lasciatelo tranquillo: sta sognando a occhi aperti, sta lanciando la sua partita perfetta».
È con questa avvertenza che la casa editrice romana 66th and 2nd ha appena pubblicato La partita perfetta (pp. 165, € 13), il romanzo “perfetto” di Michael Shaara, pubblicato postumo dal figlio Jeff nel ’91.
Nato nel ’28 in New Jersey (dov’è morto nel ’88), lo scrittore americano – con tanto di Pulitzer all’attivo per il romanzo The killer angels, suggestiva ricostruzione della cruenta battaglia di Gettysburg nella Guerra di Secessione – era di inequivoche origini italiane. Proprio come il suo mito giovanile: il campionissimo Joe Di Maggio. Shaara, infatti, è l’americanizzazione del nostro Sciarra.
«Mio padre aveva giocato come lanciatore ai tempi del college – scrive nella prefazione il figlio Jeff – ma l’ipotetica carriera era stata stroncata da un infortunio alla spalla. Questo non gli fece perdere il gusto di lanciarsi con il paracadute o di fare il pugile dilettante e soprattutto l’amore per il baseball».
È questa grande passione a fargli raccontare la storia di Billy Chapel, un campione d’altri tempi, in cui i giocatori erano fedeli alla maglia e i contratti si firmavano con una stretta di mano, senza procuratori e badando poco ai soldi. Da quando aveva vent’anni e per diciassette anni consecutivi (“militanza” pari a quella di Del Piero nella Juve) ha lanciato per la stessa squadra. Un rapido declino l’ha relegata nella bassa classifica, ma lui non ha nessuna intenzione di trasferirsi e fare cassa altrove. Solo quando viene a sapere che la società ha intenzione di cederlo e vede finire la storia d’amore con «l’incantevole Carol», capisce che è arrivato il momento di rimettersi in gioco, di capire cosa vuole davvero, di diventare adulto. E lo fa a modo suo: lanciando la partita perfetta contro gli Yankees nella loro New York.
Sbaglierebbe, però, chi pensa che si tratti solo di un romanzo sportivo. C’è nella minuziosa cronaca dell’incontro – arricchita, per i non iniziati, da un vero e proprio “breviario del baseball”– tutta l’educazione sentimentale del protagonista. Mentre si concentra per eliminare un ricevitore dopo l’altro, ricorda i genitori scomparsi in un incidente e ripercorre la sua vita passo dopo passo: i primi lanci con il padre, l’amicizia con il vecchio proprietario della squadra, scomparso da poco, e la sua relazione con Carol.
«Era un vagabondo che amava il baseball e gli aeroplani e che non si era mai sposato, anche se la cosa che amava di più, dopo il suo sport e il volo, erano le belle donne». Alla descrizione offerta da Shaara, Kevin Costner ha dato la faccia nel ’99 in Gioco d’amore, il bel film diretto da Sam Raimi. Non era la prima volta, del resto, che l’attore americano si misurava con il baseball. Già dieci anni prima aveva interpretato il ruolo di Ray ne L’uomo dei sogni di Phil Robinson, altra storia estremamente affascinante tratta dal romanzo Shoeless Joe di William P. Kinsella, pubblicato pochi mesi fa e sempre da 66th and 2nd (pp. 297, € 15).
Ray gestisce una fattoria, ma sente che nella sua vita manca qualcosa. Ne ha la conferma quando sente una voce dirgli: «Se tu lo costruirai, lui verrà». Preso per matto da amici e parenti, decide di sacrificare la sua fonte di sostentamento, la piantagione di mais, per realizzare un campo di baseball. Invece il miracolo si avvera: proprio su quel “diamante” riprendono vita Shoeless Joe Jackson e gli altri campioni defunti dei Chicago White Sox che, in vita, erano stati squalificati con l’accusa di aver venduto una partita. E torna anche il padre di Ray, scomparso troppo presto. Per giocare ancora una volta insieme, come quando era bambino. Nel libro tra i personaggi compare anche J. D. Salinger e Ray intraprenderà un viaggio verso l’East Coast proprio per strappare il grande scrittore al suo isolamento volontario e portarlo a vedere il campo, altra condizione necessaria affinché loro “tornino”. Ma nel film, per le solite resistenze salingeriane, il personaggio sarà trasformato nello scrittore Terence Mann. Alla fine i vecchi campioni torneranno a esibirsi e migliaia di americani arriveranno per vederli giocare ripagando così i sacrifici di Ray. Attenzione, però: solo i puri di cuore potranno vederli giocare, per tutti gli altri il campo resterà vuoto. Perché la magia dello sport vale solo per chi sa guardarvi oltre.
«Mio padre coglieva la purezza del baseball – ha detto Jeff Shaara – e poco importa quanto cambino le regole o quanti record vengano battuti, perché noi saremo sempre lì fra il pubblico, per amore del gioco».