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La sinfonia della natura nelle tele impressioniste

di Simona Maggiorelli - 09/03/2010

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L’interesse degli impressionisti per il paesaggio non fu solo legato alla sperimentazione sulla luce e sul colore e a un’idea della natura poeticamente intesa come “specchio” dell’animo umano. Ma nelle marine di Sisley, nelle mosse campagne di Pissarro così come nei giardini segreti di Monet, in senso culturale più lato, si possono cogliere anche i segni di una moderna attenzione alla natura, avvertita non più come una nemica (come lo era stata per secoli, fin dal medioevo), ma come patrimonio universale da valorizzare e da tutelare. La rivoluzione industriale, con la diffusione delle ferrovie che in Francia e in Inghilterra, portarono collegamenti più veloci fra città e campagna (determinando la nascita del turismo) mutò radicalmente il modo di percepire la natura. Un cambiamento che non riguardò solo ristrette élite ma larghi strati sociali.
 
Nel frattempo uno scienziato come Charles Darwin aveva contribuito con la teoria evoluzionista a validare un’idea di mondo come sistema naturale integrato di cui l’essere umano fa parte al pari degli altri esseri viventi avendo anch’esso una nascita biologica. «E come è noto gli impressionisti erano artisti molto attenti allo sviluppo delle scienze e a ciò che di nuovo e di valido portava l’epoca moderna» ricorda Stephen F. Eisenman curatore della mostra Da Corot a Monet. La sinfonia della natura (al Vittoriano di Roma fino al 29 giugno, catalogo Skira). Insieme a John House e a un’equipe internazionale di studiosi è l’ideatore di questa rassegna che squaderna centosettanta opere provenienti dai maggiori musei d’Europa e d’ Oltreoceano e che porta per la prima volta a Roma una serie di capolavori, da Corot a Monet, mai prima esposti in Italia.
 
Il progetto scientifico sotteso a questa rassegna è documentare la svolta nella percezione della natura che avvenne nel XIX secolo. Una svolta che si percepisce chiaramente mettendo a confronto le solitarie e antimoderne rappresentazioni della foresta di Fontainbleau di un pittore come Rousseau con le vitali scene cittadine di impressionisti come Pissarro: visioni rutilanti di carrozze, piene di gente per le strade e che rappresentano il dinamismo urbano e la modernità come aspetti affascinanti e positivi. Intanto - come racconta un consistente nucleo di opere di Pissarro in mostra - immagini di una campagna antropizzata, coltivata o selvaggia, diventano protagoniste di una pittura di paesaggio realizzata en plein air e che rappresenta terra cielo e personaggi come un organismo unitario, senza soluzione di continuità fra gli elementi.
 
«Il tentativo degli impressionisti - spiega ancora Eisenman - era di restituire allo spettatore una visione armonica, unitaria, non parcellizzata di uomo e natura». Una visione organica che però nella pittura di Monet a un certo punto sembra andare in crisi. «Lo vediamo bene alla fine di questa mostra romana - raccon ta Eisenmann - dove sono esposte una serie di tele in cui la pittura del maestro francese si fa via via sempre più sfocata». Le visioni chiare del primo impressionismo sono diventate nebbiose, introverse. Lo raccontano gli ultimi quadri che Monet realizzò nella casa e nei suoi appartati giardini di Giverny. «Esempio perfetto della tendenza antiurbana e introspettiva dell’arte moderna fin de siècle» commenta lo studioso. Voltando le spalle al mondo, Monet con il ciclo delle ninfee dell’Orangerie di fatto fuggiva in una natura separata dall’umano.