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Il modernismo architettonico e urbanistico

di Claudio Lanzi - 09/03/2010

Breve commento al testo di Nikos A. Salìngaros dal titolo “No alle archistar” (il manifesto contro le avanguardie) Editrice Fiorentina, 2009 .

Per chi non conoscesse Salìngaros varrà la pena di ricordare che si tratta di un matematico, che insegna a S. Antonio (Texas) ed è professore visitante alla Facoltà di Architettura di Roma III. E’ inoltre professore d’urbanistica in molte altre università fra le quali Monterry, Delfi (Olanda) ecc. Un suo testo fondamentale è “Architettura e demolizione” (ed. Fiorentina 2008)

In questo libro, a cui contribuiscono molti altri autori (Natalia Albensi, Michel Bauwens, Peter Glidewell, Léon Krier, Kenneth Masden, Michael Mehaffy, Giorgio Muratore, Pietro Pagliardini, Giancarlo Puppo, Giorgio Santilli), si parla della degenerescenza architettonica ed urbanistica, con delle puntate specifiche su dei “mostri sacri, o “archistar” appunto, quali il famosissimo Le Corbusier, o i componenti della Bauhaus, per finire a Gropius o a Mies van der Rohe ed infine agli esponenti dell’attuale… “star system” architettonico come Fuksas, o Richard Meier, il responsabile della “morte” dell’Ara Pacis.

Il testo affronta alcuni degli ambienti sociopolitici nei quali si sviluppa la civiltà dei grattacieli: quella delle enormi superfici in cemento armato, dei mostri in resina, acciaio e vetro, quella della esaltazione del “colossale” a facciate continue, e della superenfasi dell’altezza quale soluzione urbanistica. Il testo mostra come tali impostazioni siano il risultato di una cultura sempre più svincolata dalla terra, dalla natura, e derivino da una precipitazione dell’uomo nella dimensione “macchina per consumare”, in una totale mancanza di rispetto verso la osmosi fra uomo e ambiente. Assai interessanti e inconsueti sono i paralleli che vengono condotti fra Nazismo e mega-architetture, destinate principalmente alla ostentazione del sistema politico, senza alcun interesse per l’individuo (ma la cosa è più o meno estensibile a tutte le “culture”, marxiste e capitaliste moderne).

Da molti anni anche il sottoscritto (v. Ritmi e Riti e Sedes Sapientiae) ha cercato di porre in evidenza la necessità di mantenere salda l’osmosi fra uomo ed ambiente circostante (con particolare riguardo al concetto di sacro e alla interazione fra geometria, architettura, natura, uomo, musica) e ci fa un immenso piacere che delle voci organizzate e “addette ai lavori”, come quelle che fanno riferimento a Salìngaros, elevino la loro protesta contro questo inarrestabile degrado.

Se a Roma e a Milano esistono dei quartieri come Corviale, se a Viterbo esiste un ospedale che distrugge un’intera vallata appestando il paesaggio con la sua mole spaventosa, se esistono delle non-chiese come quella di Renzo Piano a San Giovanni Rotondo, o altri mostri della vanagloria e a volte dell’affarismo, è sicuramente anche colpa delle “archistar” (come le chiama Salìngaros) ma, a nostro avviso, è colpa assai maggiore della disconnessione fra la sacralità dell’ambiente, fra la religiosità della ritmica della vita e lo scientismo utilitaristico, funzionale, consumistico che, in poco meno di cento anni ha divorato il mondo.

Il discorso dei politici che inaugurarono la “teca” dell’Ara Pacis fa rabbrividire (basta andare su Wikipedia e leggere le commemorazioni entusiastiche di qualche anno or sono) ma sono semplicemente un prodotto di questo tipo di cultura desacralizzata.

La “teca”, appunto: un cocktail fra un funereo assembramento di loculi cimiteriali, e un parcheggio sopraelevato, ha massacrato uno dei monumenti più importanti di Roma e ha consentito a manifestazioni, del tutto incoerenti con il luogo, di celebrare mode, sfilate, offendendo, in un certo modo la sacralità del monumento.

Non sarà facile tornare indietro. L’ignoranza è una forma di… beotitudine indotta dalla furia mediatica, che plagia le coscienze. Purtroppo, milioni di uomini alienati dalle forme e dagli usi dei loro PC o dei loro i-pod, o dei loro telefonini, caro Salìngaros, si riconoscono facilmente in quelle disgustose architetture che lei descrive così efficacemente nel suo testo.

In piccolo, ma hanno lo stesso input filosofico.

Abbiamo trovato un capitolo bellissimo, a nome di Salìngaros e Pagliardini, intitolato “Geometria e vita dello spazio urbano” E’ un’insieme di proposte per far “vivere” una città, considerata come rete vivente, come organismo che necessita di flussi dinamici ma non caotici.

Finalmente ho letto di un’architettura narrata dagli architetti, che vedono la città come un antropocosmo e non come un ammasso di parti disomogenee, asservite alla tecnica del cemento armato che consente di costruirle.

Mi piace ricordare la bellissima cattedrale di Anagni, che consiglio tutti (architetti e non) di visitare. Sotto questa cattedrale c’è una cripta dove è disegnato (siamo nel XII secolo), un uomo “cosmico”, con i suoi “umori” e le sue estensioni fino ai confini dell’universo. Ecco: questo è il senso dell’”unicum” che nel medioevo aveva modo di esprimersi anche attraverso le sue splendide architetture.

Architetture coese, unitive, orientate, sapienti, armoniche; e non solo perché asservite alla serie di Fibonacci o all’aurea proporzione, ma perché vivificate dall’amore dell’uomo nell’edificarle a sua misura ma anche ad majorem Dei gloriam come diceva Gregorio Magno.

Separare il cervello dalle mani, le mani dal cuore, il cuore dalla mente. Inventare un ambiente fasullo, uno scenario artificiale dove le linee curve e dritte fanno a cazzotti con qualsiasi codice antropometrico: ecco il risultato di una certa urbanistica moderna.

E’ un problema di civiltà totale. Gli architetti possono sicuramente contribuire a evitare lo scempio dell’Ara Pacis perpetrato a Roma, o quanto meno possono incazzarsi come giustamente ha fatto Sgarbi, dopo che tale scempio è stato compiuto. Ma io credo che se non si capisce che l’intera scelta tecnologica di vita, che privilegia sempre Techné separandola da Mousiché, è la causa fondante di tale barbarie spirituale, troveremo sempre delle pezze a colori per ricucire alcuni strappi ma il danno è fatto, e, ammesso che qualcuno lo voglia, sarà riparabile solo in centinaia d’anni.

Ogni tanto mi è capitato di scoprire una piccola chiesa, soffocata in mezzo ad orrori architettonici. Molti non sanno, ad esempio, che esiste un piccolo gioiellino romanico, sommerso da quell’orrido mostro in calcestruzzo che è la Pretura di Roma. Chissà perché ma è sopravvissuta. Altre volte ho assistito con rabbia alla demolizione della vecchia casa “vittoriana” per dar luogo ad un tripudio di vetrate. E’ accaduto quaranta anni or sono nel quartiere Prati di Roma e in tanti altri posti, per insediare le strutture della Rai, ad esempio. Ma seguita ad accadere.

Dunque ben venga una protesta come quella visibile nel sito www.ilcovile.org, dove alcune persone, provenienti da esperienze diverse, si appellano … a tutti, per modificare qualcosa. Ben vengano gli appelli al Papa, perché … scomunichi quei vescovi e quei parroci che hanno consentito di costruire quelle chiese supermercato, quelle chiese frigorifero, che mortificano qualsiasi incontro con la spiritualità, che abbattono ogni orientamento sacro.

A questo gruppo va l’appoggio e il plauso, modesto ma convinto, di un vecchio becero come il sottoscritto e credo di tutta “Simmetria”. Non ci importa nulla degli orientamenti politici di coloro che tenteranno di costruire qualcosa che non faccia rabbrividire per la disarmonia e la freddezza. Ci importa che …esista ancora qualcuno che si ricorda che la Saint Chapelle, sopravvissuta, guarda caso, alla furia giacobina va conservata così com’è e non mortificata avvicinandola a strutture prive di vita. Ci importa che esista chi ha voglia di costruire città animate da geometrie che contengono la vita, come dice Salìngaros.

Claudio Lanzi