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Don Camillo siam figli tuoi

di Guido Conti - 18/03/2010


 
Secondo Guido Conti, Don Camillo, la raccolta di racconti di Giovannino Guareschi, è un’opera significativa nella letteratura italiana contemporanea, uno specchio del periodo storico in cui nacque.
Don Camillo fu infatti creato da Guareschi in un clima politico estremamente teso, all’indomani del Referendum del 1946 e nelle tensioni precedenti le elezioni del 1948. Per Conti si tratta di un’opera ricca di contenuti politici e che ritrae efficacemente l’attualità di quel periodo, che vide un forte coinvolgimento politico di Guareschi, anticomunista e monarchico convinto.

Don Camillo di Giovannino Guareschi è un libro politico. Il pretone della Bassa, nato sulle pagine del “Candido” il 23 dicembre del 1946, alla vigilia di Natale, ha un grandissimo successo. Il suo autore lavora alacremente per anticipare l’uscita della raccolta prima delle elezioni dell’aprile del 1948. Un mese prima, nel marzo di quell’anno, escono in volume i racconti Don Camillo-Mondo piccolo Giovannino Guareschi. Le ristampe si succedono a raffica. Il clima politico in Italia, dopo il referendum tra repubblica e monarchia, è incandescente. Sono le prime elezioni libere dopo venti anni di fascismo e cinque di guerra. C’è un clima d’intimidazione e di vendetta che porterà alla guerra civile, con vendette politiche, all’ammazzamento di quasi duecento preti non solo in Emilia Romagna.
Don Camillo è anche un libro politico perché Giovannino vuol far riflettere i suoi lettori, prima del voto, sul pericolo «rosso». Sul “Candido”, insieme a Mosca, conduce un’importante battaglia contro il Fronte Popolare, formato da comunisti e socialisti, a favore della Democrazia Cristiana. Una battaglia politica tesa e sferzante, con manifesti elettorali e slogan che sono passati alla storia come «Vai a votare! Mentre tu dormi Stalin lavora» oppure «Nel segreto della cabina, Dio ti vede e Stalin no!». Oppure pubblica un talloncino con scritto a caratteri cubitali «Cretino» e più sotto: «Talloncino da ritagliare e conservare. Il 19 aprile chi non avrà votato potrà appiccicarselo sulla fronte».
Sono anni in cui si decide il futuro dell’Italia. Giovannino dà voce a tutti gli italiani che vogliono un’Italia migliore. Pretende che, dopo la guerra, gli italiani vadano a votare perché non è solo un diritto ma è soprattutto un dovere civile anche verso i caduti per la Patria. Dopo aver appoggiato la causa monarchica e aver perso nel referendum del 2 giugno del 1946, l’impegno per la campagna elettorale nelle politiche è ancora più appassionato.
La popolare figura di don Camillo diventa così anche un’arma di propaganda. Gli ultimi racconti del libro, profondamente legati tra di loro, portano nel titolo la paura. Paura racconta del timore di Peppone di un ritorno alla dittatura fascista, mentre in La Paura continua c’è don Camillo che discute animatamente con il Crocifisso della paura del «pericolo rosso», e dimostra, ancora una volta, come questo sia il clima che si respira nell’Italia fino al 1948, tra aspirazioni rivoluzionarie, vendette trasversali, regolamento di conti, desiderio di pace, stabilità e democrazia, e paura di un ritorno alle dittature, di qualunque colore esse siano.
Il 14 luglio del 1948 l’attentato a Palmiro Togliatti, ferito con due colpi di pistola dall’estremista di destra Antonio Pallante, mettono in crisi la già difficile situazione politica e sociale. […]
Non siamo dunque nel campo del romanzo ma nel tempo dell’epopea. Giovannino fonde tempo storico e tempo mitico in un tempo ciclico. Attinge alle origini del mondo chiudendo insieme l’anno 1947 e il primo volume di racconti. In questo modo l’epopea di don Camillo Peppone e il Crocifisso che parla si chiude temporaneamente, e può ricominciare subito con una nuova serie di episodi. I racconti, fortemente radicati al tempo e alla cronaca che li ha visti nascere, sono così rilanciati in un’aura atemporale che li porta fuori dal loro tempo. Perché le storie di don Camillo sono «favole» non racconti realistici. Attingono alla storia per diventare «favola». Don Camillo è un libro che ridisegna la geografia umana e letteraria dell’Emilia. Nei primi tre racconti introduttivi, Guareschi fa un’operazione antropologica e culturale rivoluzionaria. Ridisegna la geografia letteraria della Bassa, quella fetta di terra tra gli Appennini e il Po, che diventa un fiume serio solo dopo Piacenza. In questa terra i cani hanno un’anima e spostano i binari del tram; i fantasmi dei morti parlano ai vivi e se c’è da parlare con Dio perché il figlio sta male, si va in chiesa con il fucile. Nella favola anche il Crocifisso parla agli uomini, alla faccia di Nietzsche e di tutto il nichilismo esistenzialista che segna il Novecento.
Don Camillo è un classico della nostra letteratura italiana con cui fa i conti. Guareschi con i racconti di don Camillo riporta nel Novecento, secolo del romanzo, la grande tradizione nella novella ciclica, popolare, e morale, della nostra grande tradizione letteraria, rilanciando così l’epopea. L’operazione ha un effetto esplosivo sul pubblico e costringe a rileggere la nostra storia letteraria con un’ottica completamente diversa. Oggi il volume di racconti non lo leggiamo più come un libro politico ma umano. I 347 racconti, scritti tra il 1946 e il 1968, segnano una delle più importanti epopee della nostra narrativa novecentesca. Un unicum che non potremo più ignorare se vorremo scrivere decentemente una storia letteraria del Novecento. […]