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Modernità inumana

di Massimiliano Viviani - 18/03/2010

    



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Si tratta di un fatto accaduto cinque anni fa, ma è spunto per riflessioni importanti che vanno molto al di là della mera attualità. Nel 2005 in una casa d'aste londinese furono venduti per oltre 21.000 euro tre quadri dipinti da uno scimpanzè, uno dei quali è riprodotto nella foto qui sopra. Si tratta di alcuni tra le diverse centinaia di quadri dipinti durante gli anni '50 dallo stesso animale sotto la guida dell’antropologo Desmond Morris, che voleva studiare le capacità artistiche e di apprendimento dei primati.
In realtà non ci stupiamo certamente che un antropologo abbia voluto fare questo tipo di esperimenti. La cosa invece che ci fa pensare è che lo stesso Morris si sia accorto di una certa vena artistica dell'animale e che abbia addrittura esposto alcune opere alla fine degli anni '50. Ma in realtà il celebre antropologo non fu il solo a restare meravigliato dalle capacità artistiche dello scimpanzè: molto entusiasmo sorse in diversi ambienti -anche artistici- per la scoperta di presunte inclinazioni creative negli istinti di animali così vicini all'uomo.
Questi eventi ci portano a fare alcune riflessioni. La prima è che il quadro presenta un qualche interesse artistico. Certo è questione di gusti, ma chi bazzica l'arte contemporanea non può negare che sia sostanzialmente in linea con le avanguardie dominanti nel primo dopoguerra (e gli elevati prezzi di vendita lo confermano). Ma a questo punto ci chiediamo: come può un animale avere una simile vena artistica? Si badi bene, non vogliamo tirare in ballo la solita fisima della civiltà moderna di scompigliare qualunque norma, di considerare "superabile" ciò che agli occhi di una persona normale pare una certezza acquisita, di considerare l'onnipotenza di ambiente ed educazione, di democratizzare tutto e di rendere tutto potenzialmente partecipe di tutto, generando un caos senza nome. Questo lo diamo per scontato.
Qui invece ci chiediamo una cosa sola: se gli animali possono dipingere in linea con le avanguardie artistiche del momento (perchè non ci sono solo gli scimpanzè: si cerchi nel web e si troverà che anche i maiali e i cavalli a tutt'oggi, con un pennello inserito nella bocca, dipingono quadri che trovano mercato!) pur sotto la guida di un etologo, siamo proprio sicuri che si tratti di "vena artistica" del suddetto animale, o non piuttosto della degenerazione sub-umana dell'arte stessa?
Ci rendiamo conto che stiamo trattando un tema tabù. Da più di un secolo, chi tocca questo genere di argomenti può venire tacciato di essere un oscurantista, un retrogrado, ma noi rigiriamo la domanda ai nostri amici modernisti: chi è il vero retrogrado? Se da ben sessant'anni con l'avanzare della società post-industriale l'Occidente moderno ha cancellato ogni possibilità di creare vero sapere che non sia delirio tecnico-razionalistico o accondiscendenza alle leggi del Mercato, in ogni campo dello spirito, in letteratura, in filosofia, nella musica, nella pittura, nella scultura, nella poesia, non parliamo della religione, persino nella scienza (perchè oramai anch'essa si è ridotta a poco più che una raccolta di dati statistici), se siamo immersi in un mondo completamente incapace di creare, nel senso più alto e nobile del termine, non è forse questo di per sè un indice di oscurantismo? Se diminuiscono le visioni di insieme, e di fatto ci troviamo a sopravvivere come materia inerte, in cui trionfano solo la tecnica e i dati statistici, siamo proprio sicuri che non sia il caso di riconsiderare i termini del cosiddetto "progresso"?
Non si tratta quindi solo di arte. E' tutta la civiltà moderna che dietro i suoi lustrini nasconde una degenerazione colossale. D'altronde il lucchichìo serve proprio a questo, a mascherare il putridume che vi sta sotto. Se no che bisogno c'era di costruire una civiltà così scintillante?
La verità è che noi viviamo in una società non creata per l'uomo: è questo il senso di una società industriale. In futuro, è già segnato il destino di convivenza con i robot, il che significherebbe non solo uno straordinario progresso tecnologico, ma anche un parallelo abbassamento della nostra civiltà al livello di ammassi di acciaio mossi da corrente elettrica. Non diversa in fin dei conti è l'ansia da parte di molti ambienti progressisti, di inserire in un prossimo futuro certe anormalità nel processo lavorativo -persone affette dalla sindrome di Down per esempio: è chiaro che a parte il ribrezzo per una società siffatta, una "democratizzazione" di questo tipo non avrebbe nemmeno nulla a che vedere con un vero rispetto per dei malati o per degli anormali. Resta evidente inoltre che simili tentativi sarebbero abortiti miseramente in una società altamente intellettiva come per esempio il tanto disprezzato Medioevo, patria della filosofia scolastica di Tommaso D'Aquino, del "dolce stil novo" di Dante Alighieri, della "unio mystica" di un Meister Eckhart e delle cattedrali polifoniche di Josquin Desprez: quale robot potrebbe mai giungere a tali livelli?
A proposito di intelligenza. Questa società che mena vanto a destra e a manca di avere sviluppato forme tanto sofisticate di intelligenza, la vera intelligenza l'ha sotterrata sotto tonnellate di numeri e di statistiche. L'esasperazione logica di cui è pervasa la parte dominante del sapere moderno, il delirio analitico, ingegneristico e tecnicistico che tutto trascina con sè, rappresentano in realtà un'intelligenza morta, inerte, vuota, perchè capace solo di comprendere parti di realtà che ci si illude poi di unire nell'assemblaggio meccanico di pezzi slegati. Ma l'unità è un'altra cosa, non stiamo neppure a spiegarlo a gente che è convinta di potere misurare l'intelligenza umana tramite un numero (il cosiddetto Q.I.). La vita che conduce l'uomo moderno quindi è uno specchio di tali forme vuote di analisi.
In sintesi, siamo partiti da una considerazione in apparenza paradossale: la teorizzazione razionalistica sulle avanguardie novecentesche ha avuto come frutto la possibilità di permettere ad animali di dipingere come l'uomo! Ma non si tratta affatto di un paradosso. Prima dello scimpanzè di Morris, il delirio razionalistico novecentesco ha portato l'arte all'istintualità animale del gesto e alla casualità della materia pura come in Pollock. La brama di analisi senza limite è foriera di effetti nefasti anche verso la scienza stessa, il gioiello dell'intelligenza moderna: lungi dall'avere offerto una comprensione chiara del mondo -anzi, l'ha confusa in una pluralità di ipotesi spesso in conflitto tra loro- la moderna scienza statistica è diventata col tempo una cameriera al servizio del mercato e degli affaristi. Altro paradosso se si pensa che il fondatore del moderno sistema scientifico -Isaac Newton- era anche un alchimista!
Ci fermiamo qui, dovrebbe bastare. Più la modernità avanza, addentrandosi nei meandri perversi dell'analisi razionalistica, più -al contrario di quanto superficialmente ci si aspetterebbe- l'umanità precipita in un magma informe e in un fango senza fondo, come un disgraziato che si agita nelle sabbie mobili e affonda sempre più. Probabilmente un giorno l'uomo verrà affiancato dai robot, e noi sappiamo già che ciò verrà presentato come un progresso inequivocabile dell'umanità, nonostante sia ovvio che sarà l'uomo a doversi adattare alle macchine e non certo queste all'uomo. Per adesso ci dobbiamo accontentare: nei libri di storia dell'arte i nostri nipoti forse troveranno anche scimmie, maiali e cavalli. Non male come progresso.