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In aumento in tutto il globo i conflitti bagnati dall'acqua

di Gianpaolo Silvestri - 30/03/2010



Sempre più numerose le crisi e le guerre tra Stati collegate agli approvvigionamenti idrici. Per la Banca mondiale oggi sono 263, dal Nilo al Mekong, i bacini fluviali contesi tra Paesi differenti.

Anche se il nostro pianeta è ricoperto d’acqua per più del 70 per cento della sua superficie, la quantità di quella “dolce” è circa il 2,5 del totale, con una distribuzione assai diversificata nelle varie aree della Terra. Circa il 40 per cento della popolazione mondiale (oltre 6 miliardi di persone) vive in 80 Paesi classificati come aridi o semiaridi.
 
Otto milioni di persone l’anno muoiono a causa di malattie collegate alla mancanza d’acqua potabile e servizi igienico-sanitari: secondo le stime dell’Onu nel 2030 circa 3 miliardi di persone potrebbero rimanerne completamente prive. L’acqua è vitale e insostituibile: alle esigenze biologiche si aggiungono quelle per irrigazione dei campi e per far fronte alle crescenti necessità industriali.
 
Per costruire un autoveicolo del tipo Panda consumiamo 150mila litri d’acqua, 40mila per ottenere una tonnellata di carta, 29mila per fare un chilo di cotone, 20mila per una tonnellata di carne. In questo contesto, sempre più l’acqua sta diventando un bene raro e prezioso causa di guerre e conflitti al pari del petrolio.
 

La Banca mondiale valuta che 263 bacini fluviali, dal Nilo al Mekong, rappresentino attualmente un grave fattore di crisi tra Stati, che potrebbe degenerare in conflitti armati. È nel conflitto Usa-Messico del 1895 per lo sfruttamento delle acque del Rio Grande che fu formulata la dottrina Harmon, secondo la quale l’acqua appartiene agli Stati dove scorre la parte alta del corso del fiume (a monte) indipendentemente dai problemi che sorgono a valle.
 
Le aree a rischio guerre riguardano l’intero globo. In Africa le acque del Nilo bagnano 10 Paesi diversi e sono state causa di molti conflitti sia prima sia dopo la costruzione della diga d’Assuan (1959); lo sfruttamento del fiume Zambesi ha determinano scontri armati tra la Namibia e il Botswana. In Asia centrale la dissoluzione dell’Urss ha determinato conflitti legati al corso di grandi fiumi che attraversano Stati ora indipendenti. Il Bangladesh, l’India e il Pakistan hanno rapporti tesi anche a causa della spartizione dei fiumi Gange e Indo. Il continente americano è in difficoltà: gli Usa hanno risorse sufficienti per i prossimi quindici anni, dopo avranno problemi per l’approvvigionamento idrico di alcuni Stati come il Texas e l’Arizona; l’America Latina, dotata di fiumi e laghi sufficienti al fabbisogno dell’area, paradossalmente si trova in una condizione d’emergenza a causa delle privatizzazioni del servizio idrico come nella regione del Cochabamba (Bolivia) e Città del Messico.
 
In Medio Oriente i sistemi fluviali del Giordano, del Tigri e dell’Eufrate sono insufficienti a coprire la crescita dei consumi prevista e sono oggetto di contesa tra Israele, Siria, Giordania e Turchia (notissimo il progetto turco Gap: si canalizzano le acque del Tigri e dell’Eufrate per favorire lo sviluppo dell’Anatolia, mentre Siria e Iraq perderebbero milioni di metri cubi d’acqua); nel 1964 Tel Aviv bombardò la diga in costruzione sul fiume Yarmuc (un affluente del Giordano, in Giordania), per prevenire possibili riduzioni della portata del fiume; sempre Israele, dopo avere occupato le alture del Golan in Siria, si aggiudicò il controllo di tutto il bacino del Giordano superiore, con pesanti conseguenze nei territori palestinesi.

La prima conferenza mondiale sull’acqua si è svolta nel 1977 a Mar del Plata, Dopo oltre vent’anni la Dichiarazione del millennio delle Nazioni unite ha previsto un poco credibile impegno a dimezzare entro il 2015 il numero di persone prive di sufficienti risorse idriche. 
 

E nel frattempo l’Organizzazione mondiale del commercio ha inserito - in accordo con gli altri organismi internazionali - i servizi idrici tra le materie di competenza dell’Accordo generale sul commercio dei servizi (Gats). Ma è alla Dichiarazione di Dublino del 1992 che si deve guardare se si è alla ricerca della “madre di tutte le rapine idriche”. È stato infatti in quell’occasione che si è affermato il principio secondo cui «l’acqua ha un valore in rapporto ai suoi usi e deve, dunque, essere riconosciuta come un bene economico».