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Egoisti al cento per cento

di Carlo Gambescia - 26/04/2006

Le ideologie volevano cambiare la società. E addirittura il genere umano. Ma questo accadeva tanto tempo fa...

Vietato parlare di democrazia senza ideali.
Insomma, di un sistema politico bloccato,
dove come oggi, destra e sinistra si confrontano
stancamente solo su tasse e spesa
sociale. Ovviamente, nei giorni successivi
alle elezioni, i media hanno glissato sul
problema, preferendo concentrarsi sull’Italia “irrimediabilmente”
divisa in due. Come se poi la democrazia, oltre che
consenso, non fosse anche conflitto e divisione. Tuttavia il
problema esiste.
Infatti, se c’è un fantasma che si aggira oggi per l’Europa,
per parafrasare ancora una volta Marx, è sicuramente quello
della democrazia.
Che non spaventa
nessuno, anzi
annoia, e soprattutto
viene sistematicamente
rimosso.
Facciamo un esempio.
Se la democrazia
è la “macchina
che fabbrica cittadini”,
nel senso che il
voto rappresenta l’esercizio
di una libera
scelta attraverso cui
l’elettore può “cambiare
le cose”, allora
la democrazia italiana
non “fabbrica”
più cittadini dal 1948. Anno in cui gli italiani votarono,
facendo una precisa scelta di campo (che può piacere o
meno, ma questa è un’altra storia). Dopo di che il sistema
dei partiti, diviso in due blocchi, sprofondò in una specie di
limbo, durato fino alla caduta dell’Unione Sovietica. Negli
anni Novanta l’apparizione di Berlusconi, ha agitato le
acque, ma dopo le ultime politiche, l’ Italia sembra decisamente
tornata alla “normalità”.
Persiste il sentimento diffuso che recarsi alle urne non abbia
ormai alcun valore. In Italia votano 3 cittadini su 4 , in
Europa 2 su 4, negli Stati Uniti 1 su 4. Tutto sommato, l’
Italia, non è messa così male. Ma se si intervista il cittadino
che vota, si scopre che 1 su 2 non crede più nell’importanza
del suo voto, e soprattutto non ha alcuna fiducia nella classe
politica, che spesso giudica corrotta e inefficiente
Ma se la democrazia non “fabbrica” più cittadini, attraverso
l’esercizio del voto, come li “fabbrica”? Il circuito della
legittimazione e del consenso segue oggi altre strade.
In primo luogo, va ricordata la “cittadinanza mediatica”. Gli
studi sui contenuti dei programmi e delle notizie veicolate
dai media, provano che viene costantemente ripetuto un
solo messaggio: il nostro sistema di vita, quello italiano,
europeo, occidentale, è il migliore in assoluto. E le disfunzioni,
che tra l’altro non sono poche (ambientali, sociali,
economiche), sono sempre presentate come fisiologiche:
come un prezzo, fin troppo lieve, da pagare al giusto progresso.
In secondo luogo, non può essere ignorata la “cittadinanza
economica”. Il sistema produttivo, tutto sommato, finora ha
retto. Il che ha permesso una redistribuzione regolare del
prodotto sociale e garantito tutele sindacali, previdenziali e
assistenziali. Di qui proviene il consenso delle classi lavoratrici,
ma anche la trasformazione del dibattito politico in
economico: la “politica”
ormai ruota
esclusivamente
intorno ai criteri
fiscali di divisione
del prodotto sociale.
Il terzo luogo, va
segnalata la “cittadinanza
consumistica”.
Assicurare a tutti (o
quasi) la possibilità
di acquisire beni e
servizi, rappresenta
la carta vincente. La
“riprova” che il
sistema funziona.
L’iperconsumo viene
giudicato dalla gente
comune, che subisce l’ipnotico effetto della cittadinanza
mediatica, come il sognato traguardo della cittadinanza economica.
E così il cerchio si chiude. Se si vive in una specie di Paese
dei Balocchi, che senso può avere per la gente la cittadinanza
politica? Perché dovrebbe votare per cambiare? Se, nonostante
i casi di corruzione, tutto sembra “marciare” per il
meglio, perché l’elettore dovrebbe punire i corrotti ? Perché
dovrebbe votare forze politiche “antisistemiche”? E per
giunta animate da “ideali retrivi”? Forze che, se vincessero,
potrebbero distruggere questo meraviglioso Paese di Bengodi?
Un’ultima osservazione: le cittadinanze mediatica, economica
e consumistica sono inversamente proporzionali alla
cittadinanza politica. Se si consolidano le prime tre, si indebolisce
la seconda. Come ormai regolarmente avviene da
mezzo secolo.
No, l’Italia non è divisa in due, come pontificano i media in
modo interessato. È solo un enorme agglomerato di egoisti.