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I borsaioli del 25 aprile

di Antonio Serena - 29/04/2010

Fonte: liberaopinione



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Pensavamo che a 65 anni dalla fine della guerra certi equivoci fossero ormai chiariti e tutto quello che c’era da dire sulla guerra fosse ormai stato detto, delegando ovviamente gli storici al lavoro di ricerca e di necessaria revisione. E invece no. Storici, pseudo storici, politici, giornalisti e zitelle varie si danno appuntamento ad ogni 25 aprile per rispolverare - tra insulti e lanci di uova marce - pizzi, belletti e vecchi merletti incuranti del ridicolo e del totale disinteresse degli italiani sull’argomento.

Non si capisce cosa ci sia ancora da dire dal momento che, al di là delle riscoperte di pezzi di storia “dimenticati” negli armadi della memoria, ormai tutto è stato detto e ridetto. Il governo fascista, giusto o sbagliato si è alleato con i tedeschi; il re e Badoglio l’8 settembre 1943 hanno dato una pugnalata alle spalle all’alleato fuggendo al sud e lasciando i nostri soldati senza capi e direttive; una esigua minoranza di italiani si è ribellata a questo tradimento scegliendo l’adesione alla Repubblica Sociale e continuando la guerra a fianco dei tedeschi; un’altra ancor più esigua minoranza si è data alla macchia per non arruolarsi e, in qualche caso, ma solo alla fine, per combattere i tedeschi e provocando solo rappresaglie e morti inutili dal momento che la guerra era già stata vinta dagli angloamericani e i tedeschi erano in fuga. Onore e gloria per chi combatté da una parte e dall’altra con coraggio ed eroismo, vergogna per i terroristi e gli assassini di ogni colore, anche quelli che bombardarono le città facendo strage di civili, a Dresda come a Treviso. Problemi comunque che riguardarono una minoranza di italiani perché la stragrande maggioranza di essi rimase a guardare o si rintanò in casa aspettando la fine della guerra (la cosiddetta “zona grigia” citata da De Felice)pronta a saltare sul carro del vincitore. A differenza di tedeschi e giapponesi che la guerra la condussero e la persero fino in fondo e ripetendo un rituale del quale dovremmo solo vergognarci: non riuscire mai a terminare una guerra dalla stessa parte dove l’avevamo iniziata. Il sunto di quel periodo storico dovrebbe essere questo; se poi c’è qualcuno che non è d’accordo, ben venga. Un’altra cosa che non si capisce è perché qualche sedicente democratico continui a pretendere che una memoria storica debba essere assolutamente condivisa da tutti.

A cercare di scrivere cose diverse, facendo diventare eroi i vigliacchi o santi i farabutti, si rischia solo di scadere nel ridicolo offendendo la memoria stessa di chi scelse di servire – da una parte o dall’altra – la propria coscienza. Un po’ come certe vecchie signore che, non accettando la naturale sfioritura fisica, si truccano e si agghindano come alberi di Natale riuscendo, alla fine, a far emergere solo la loro goffaggine.

A parte i soliti personaggi da operetta del tipo del presidente della Camera che da “fascista del 2000” è passato in pochi anni ad elogiare quelle brigate partigiane ebraiche, autrici di efferati assassinii nel Tarvisiano e a Lienz e contestate giorni fa persino dai centri sociali a Milano; a parte il sindaco di Roma, ex sprangatore neofascista arrestato per aver organizzato eventi contro lo sbarco americano a Nettuno, che ha definito “piccole frange di mascalzoni” chi non condivide la memoria resistenziale; a parte gli ex partigiani che, essendo rimasti in pochi, hanno deciso di aprire le iscrizioni a gente nata dopo la guerra (80% degli iscritti ) per assicurarsi contributi statali pari a più di 500 milioni di euro annui (165.500 alla sola ANPI); a parte questi antifascisti per professione, meraviglia un poco che ad agitarsi scompostamente siano anche personaggi che, almeno per il ruolo ricoperto, quella di giornalisti o di intellettuali, dovrebbero usare più obiettività e maggiori cautele. E invece…
E invece sul “Corriere della Sera” del 26 aprile leggiamo, sbattuti addirittura in prima pagina, due articoli che puzzano di stantio. Uno, firmato da certo Goffredo Buccini, criminalizza, pubblicandone la foto, un gruppo di persone, tra le quali una ragazzina col basco della RSI, in pellegrinaggio a Giulino di Mezzegra sul luogo dove venne ucciso Mussolini, additandole alla pubblica riprovazione come istigatori di odio nelle piccole menti, dimenticando per anni nelle scuole di tutta Italia hanno fatto passerella partigiani o presunti tali miracolosamente scampati dai lager tedeschi esibenti toni e linguaggi non certo di pacificazione.

L’altro pezzo è firmato da un Claudio Magris che si vede “costretto da anni a ripetere le stesse cose, a esprimere il fastidio di dover difendere, dinanzi a tante becere denigrazioni, la Resistenza quale fondamento e Dna della nostra Italia… è triste doverlo fare, perché preferiremmo non dover fare tanta attenzione ai borsaioli che ce lo vogliono portar via”. E chi glielo fa fare, dal momento che più avanti il nostro scrive: “Sapevamo che la Resistenza comunista, quella più efficace e quella che ha pagato un alto prezzo di sangue, mirava a un altro totalitarismo, ma la caduta del fascismo, dovuta al sacrificio di uomini di fedi diverse, ha portato alla nostra democrazia, alle libertà di cui godiamo…Conoscevamo gli imperdonabili crimini compiuti in nome della Resistenza e non solo nel triangolo emiliano; era fra l’altro facile conoscerli a Trieste, dove la liberazione dall’incubo nazista (con la sua Risiera, l’unico lager di sterminio istituito in Italia) aveva coinciso con l’incubo dell’occupazione titoista e delle sue violenze”.
Insomma, da un incubo all’altro, attraverso timide ammissioni e macroscopiche falsità, come quella sulla Risiera di S. Sabba, che non fu un campo di sterminio, ma un campo di transito di prigionieri politici. Ma soprattutto tanta confusione, dalla quale si evince comunque che la liberazione da Hitler ci ha portati nelle mani di Stalin e dell’umanitarismo americano, un vangelo nato a Nagasaki ed Hiroschima e sviluppatosi poi nei lager stalinisti e nei più recenti stermini asiatici e mediorientali. Argomenti, questi ultimi, che non appartengono alla storia ma, purtroppo, alla cruda attualità.

Sarà un caso, ma a Novara, lo scorso 25 aprile, si è tenuta una manifestazione “PER la liberazione”, promossa da gruppi politici che fascisti di certo non sono e che si sono accorti che, nel lontano 1945, fummo forse liberati dai tedeschi ma contemporaneamente occupati da un’altra nazione che ci controlla economicamente e militarmente (sono esattamente 113 le basi militari U.S.A. in Italia) togliendoci ogni barlume di sovranità nazionale. Borsaioli del 25 aprile anche loro?