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Ivan Illich: energia ed equità

di Carlo Conte - 18/05/2010

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Illich, nell’opera La convivialità, ha affermato che gli strumenti “dominanti” minacciano di
distruggere cinque forme di equilibrio che finora hanno permesso all’uomo di sopravvivere.
In questa sede vorrei esemplificare tale affermazione mostrando come queste cinque
minacce riguardino uno degli strumenti che più caratterizza la civiltà industriale: il sistema
dei trasporti. Per fare questo faccio riferimento al saggio Energia ed equità, pubblicato per
la prima volta nel 1973. Credo sia importante sottolineare questa data, perché ci permette
di evidenziare ancora una volta la natura quasi profetica degli scritti di Illich. Infatti
chiunque si può rendere conto che i problemi sollevati in questo saggio sono, 36 anni
dopo la sua uscita, peggiorati. La scelta della società industriale di non porre limiti a ciò
che produce non può che avere delle conseguenze negative, non può che generare una
Nemesi. Illich vuole mettere in evidenza, usando l’esempio del trasporto, come l’utilizzo di
una quantità eccessiva di energia generi necessariamente situazioni di disuguaglianza.
Non tutti, infatti, possono permettersi di consumare alti quantitativi d’energia: c’è chi può
prendere il Concorde e chi la bicicletta, dice Illich. Il problema è che il sistema si fonda sul
continuo aumento dei consumi d’energia, lasciando dunque indietro chi non possiede una
sufficiente quantità di questa preziosa merce. Inoltre, l’impiego sempre crescente
d’energia ha imposto l’utilizzo degli strumenti dominanti a scapito di quelli conviviali. E
mentre questi ultimi sono disponibili per tutti, gli strumenti dominanti sono merci
acquistabili solo da chi può pagarne il prezzo.
Il tema dei trasporti permette ancora una volta di mettere in rilievo il carattere paradossale
degli strumenti industriali, come sottolinea Franco La Cecla, a commento di questo saggio:
“L’automobile è un ossimoro. La risposta individuale alla mobilità finisce per impedire
all’individuo di spostarsi: il traffico e l’imbottigliamento non sono un effetto secondario del
sistema, ne sono l’essenza.”1
Illich non solo intuisce questo, ma lo dimostra presentando dati ufficiali: un americano
medio passa 1600 ore all’anno in attività connesse all’automobile, dal lavorare per poterla
comprare e pagarci tasse e assicurazione, al lavarla, utilizzarla, parcheggiarla e via di
seguito. In cambio percorre con l’autovettura una media di 12.000 km l’anno. Con un
semplice calcolo risulta così che la velocità media raggiunta in automobile da un cittadino
1 IVAN ILLICH: Elogio della bicicletta, pag. 80, Bollati Boringhieri Editore, Torino 2006

americano è di sette chilometri e mezzo all’ora, praticamente la velocità di un pedone. Ma
la cosa più importante, implicita in questo esempio, è che il cittadino medio dedica
all’automobile un sesto della propria giornata, di ogni giornata. Per questo lo strumento
industriale è uno strumento dominante.
Nonostante tutto ciò, nessun politico in nessuna parte del mondo ha in programma
l’eliminazione del traffico, e questo perché il mito della velocità, esaltato per la prima volta
un secolo fa dal movimento futurista, si è trasformato in una vera e propria fede. Questo
rende il contenuto di questo scritto come minimo impopolare, e ne fa ritenere l’autore un
utopista nel migliore dei casi, un pazzo nel peggiore. Scrive Franco La Cecla:
“Illich ci ha sempre provocato con capovolgimenti impopolari, ci ha ricordato cosa
avevamo perso per un piatto di lenticchie e ci ha messo in guardia contro i pericoli di
sistemi che si propongono come soluzione di tutto e finiscono per mettere la nostra vita in
prigione. Per questo, il suo pensiero è impopolare anche oggi […]”.2
Si è detto che lo strumento industriale sovrefficiente mette in pericolo cinque equilibri
fondamentali per la vita dell’uomo e che essi sono tra loro collegati e vanno salvaguardati
assieme. Quella diretta contro l’ambiente è la prima, ma non l’unica minaccia causata dal
traffico. Non è perciò sufficiente pensare che il traffico abbia come controindicazione
soltanto l’aumento di inquinanti: esso infatti distrugge non solo l’ambiente, ma anche le
relazioni sociali. Rinchiusi all’interno del loro abitacolo gli automobilisti non solo non
incrociano altre persone, non possono scegliere il percorso che preferiscono (magari
quello che passa vicino alla casa di un amico), ma si incattiviscono. Le tipiche relazioni tra
automobilisti consistono nel mandarsi reciprocamente a quel paese in occasione di
semafori e precedenze, ed è successo che qualcuno sia morto a seguito di una lite per un
parcheggio. Inoltre la presenza di propulsori ecologici migliorerebbe la qualità dell’aria, ma
non eliminerebbe certo gli ingorghi né gli incidenti. Illich propone una metafora dal
contenuto piuttosto forte: passare all’utilizzo di “motori puliti” (se mai fosse possibile) è
come passare dall’eroina al metadone, si salvaguarda il corpo ma si continua a sacrificare
la psiche. Si continua a restare dipendenti, degradando la propria condizione a schiavo
dello strumento:
2 Ibid., pag. 95

“ […] il passeggero abituale deve adottare una nuova serie di credenze e di aspettative.
“Incontrarsi” significa per lui essere collegati dai veicoli. […] Ritiene che la libertà di
movimento consista in un diritto alla propulsione. Crede che il livello della democrazia sia
in correlazione con la potenza dei sistemi di trasporto e di comunicazione. Non ha più fede
nel potere politico delle gambe e della lingua. Di conseguenza non vuol essere
maggiormente libero come cittadino, ma essere meglio servito come cliente. […] Vuole un
prodotto migliore, non vuole liberarsi dall’asservimento ai prodotti.”3
E quanto vale per l’individuo vale anche per gli Stati visto che, come già Platone
affermava, il cittadino non è che uno Stato in miniatura:
”Nel momento in cui un paese povero sposa l’idea che una maggiore quantità di energia
più attentamente gestita darà sempre come risultato un maggior volume di beni per più
persone, quel paese si chiude nella gabbia dell’asservimento al massimo sviluppo del
prodotto industriale.”4
Dunque non è sufficiente pensare alla salvaguardia dell’ambiente, perché i danni del
traffico si manifestano soprattutto a causa di due delle cinque minacce esaminate da Illich
ne La convivialità, cioè il monopolio radicale e la polarizzazione del potere. Prima di
prenderle in considerazione va comunque detto che le due minacce rimanenti
(l’obsolescenza e la superprogrammazione) riguardano anch’esse in qualche modo il
traffico. Sul rapporto obsolescenza – traffico si può facilmente portare un esempio: basta
ricordare come qualche anno fa, per costringere le persone a sostituire la propria
automobile con una più sicura ed ecologica, è stata soppressa per legge la cosiddetta
“benzina super”, sopprimendo così anche il diritto ad utilizzare vetture che funzionavano
con quel carburante. La mossa successiva è stata quella di modificare costantemente e
periodicamente le caratteristiche che rendono un motore “ecologico”: così oggi compro
un’auto con motore “euro 5”, ma probabilmente il prossimo anno potrò entrare in città solo
se avrò un “euro 6”. Pare (perché anche tra gli ingegneri queste definizioni si mantengono
misteriose) che la differenza tra euro 4 ed euro 5 siano i secondi necessari al catalizzatore
per raggiungere la piena efficienza: nel primo caso venti secondi, nel secondo venticinque!
Si può perciò affermare che
3 Ibid., pag. 30
4 Ibid., pag. 16

“I continui perfezionamenti tecnologici che vengono apportati a certi prodotti già affermati
sul mercato si traducono spesso in un vantaggio per il produttore assai più che per il
consumatore. La complessità crescente dei procedimenti produttivi fa sì che solo i grandi
produttori siano in grado di sostituire in continuazione i modelli superati, mentre la
domanda del consumatore tende a concentrarsi sui miglioramenti marginali del prodotto
senza alcun riguardo per gli effetti collaterali concomitanti, cioè prezzi più alti, minore
durata, utilità più limitata, maggiore onerosità delle riparazioni.”5
E’ giusto ricordare che negli ultimi anni la costrizione all’acquisto di un nuovo modello è
stata mascherata da “incentivo” governativo. Insomma, non si può dire che Illich
sbagliasse quando agli inizi degli anni ‘70 scriveva:
“Le stesse istituzioni politiche funzionano come meccanismi di pressione e di repressione
che indirizzano il cittadino e raddrizzano il deviante, per renderli conformi agli obiettivi di
produzione.”6
Per quanto invece riguarda la superprogrammazione, va ricordato che anche per guidare
è necessario superare un esame, e solo in seguito a ciò viene conferita la patente di
guida. E a quanto pare anche questo tipo di istruzione è perfettamente inutile, visto che gli
incidenti più gravi vedono spesso come protagonisti proprio i neo – patentati, cioè coloro
che dovrebbero avere più fresche nella memoria le regole della sicurezza stradale. E
come per la scuola, anche questo tipo di istruzione crea gerarchie, perchè chi non ha la
patente è di fatto estromesso da una serie di possibilità, anche lavorative: non solo le zone
industriali sono spesso fuori dai percorsi dei mezzi pubblici, ma anche molti concorsi per
accedere ad un pubblico impiego richiedono la patente come titolo d’accesso. Questo
discorso ci introduce al tema dell’equità e alla polarizzazione del potere. Infatti le auto
hanno trasformato le città in luoghi pericolosissimi per tutti, in particolare per i bambini che
possono giocare solo in luoghi protetti, in cui sono accompagnati solitamente da un adulto
in automobile. Che a fare le spese del traffico siano le persone più deboli è messo in
evidenza da La Cecla:
“Si crede ancora che l’auto e il sistema a essa connesso […] sia una soluzione alle
“urgenze”. Se uno deve andare in ospedale? E i vecchi che non hanno le gambe per
5 IVAN ILLICH: Per una storia dei bisogni, pag. 92, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1981
6 IVAN ILLICH: La convivialità, pag. 31, Boroli Editore, Milano 2005

camminare? E i bambini? Bisogna dire che se ci sono categorie punite dal sistema sono
proprio queste tre. Un’ambulanza diventa molto spesso un feretro vista la vischiosità e
l’impenetrabilità del traffico urbano. E quanto a vecchi e bambini le città sono diventate
paurosamente prive di queste due classi, nuove riserve sono state inventate per
rinchiuderli dove non diano fastidio, si chiamino scuole, ospizi, giardinetti o centri per
“attività ludiche”. Una città dove non si può giocare per strada, dove gli anziani non
possano stare seduti o appoggiati a osservare la vita che gli passa accanto e che li
coinvolge, una città che ha eliminato la plurifunzionalità degli spazi pubblici è un
parcheggio.”7
Illich afferma che al di sopra di una certa soglia di energia è inevitabile che venga meno
l’equità sociale, e questa soglia è inferiore a quella che provoca degrado ambientale.
Infatti il trasporto (cioè il traffico industrializzato, lo spostamento che utilizza energia
ulteriore rispetto a quella metabolica) crea delle distanze ed obbliga la gente a percorrerle.
E’ la nemesi: ciò che dovrebbe eliminare le distanze in realtà le crea. Nel momento in cui
le distanze si dilatano viene meno l’uguaglianza: tutti gli uomini hanno le gambe per
muoversi, ma con le gambe soltanto non si possono fare centinaia di chilometri in poche
ore. Tutti quei chilometri li potrà fare solo il possessore di automobile. Se ci sono le
automobili devono anche esserci strade per farle correre. Ma lungo queste strade
crescono pian piano abitazioni, fabbriche, uffici, supermercati, e così sempre più persone
si ritrovano costrette a percorrerle. Ed essendo queste strade nate per le automobili, non
saranno percorribili che con tali mezzi. La maggioranza di chi lavora oggi deve percorrere
numerosi chilometri al giorno per poterlo fare, e per farlo deve procurarsi un’automobile.
Così ha bisogno dell’auto per andare al lavoro, ed ha bisogno del lavoro per comprare e
mantenere l’auto. Tutto questo risulta evidente se si prendono in esame gli effetti dovuti
all’introduzione dell’automobile nei paesi in via di sviluppo:
“All’inizio degli anni Trenta […] il Messico si dotò di un sistema di trasporti moderno. […] I
principali villaggi furono collegati da piste o strade in terra battuta. Grossi camion, semplici
e solidi, cominciarono a percorrere i loro tragitti a velocità non superiori a 30 km l’ora. […]
Sulle distanze brevi il camion non costituiva un’alternativa per della gente che era abituata
a camminare con pesanti carichi, ma tutti ebbero la possibilità di percorrere lunghe
distanze. L’uomo non andava più a piedi al mercato spingendosi avanti il suo maiale: se lo
7 IVAN ILLICH: Elogio della bicicletta, pagg. 93 e 94, Bollati Boringhieri Editore, Torino 2006

caricava con sé sul camion. […] Dal 1945, ogni anno non si fa che spendere di più per la
rete stradale. Si costruiscono autostrade fra questo e quel centro maggiore. Fragili
automobili sfrecciano su strade lucide di asfalto . […] I vecchi camion buoni per tutti gli usi
sono stati respinti in montagna. In quasi tutte le regioni, il contadino deve prendere un
pullman per andare al mercato ad acquistare prodotti industrializzati, ma sul pullman non
può caricare il maiale e deve perciò venderlo al mercante ambulante di bestiame.
Finanzia, con le tasse, la costruzione di strade che recano profitto ai detentori dei vari
monopoli specializzati […] il messicano medio ha perduto gran parte della mobilità che il
vecchio sistema gli garantiva, senza peraltro guadagnare in libertà. Uno studio condotto in
due grandi Stati tipici del Messico […] conferma questo giudizio: meno dell’1 per cento
della popolazione, in ognuno di questi due Stati, ha percorso nel 1970 più di 20 km in
meno di un’ora. Un sistema di biciclette e carretti, eventualmente motorizzati, avrebbe
costituito, per il 99 per cento della popolazione, una soluzione tecnicamente molto più
efficace della tanto vantata rete autostradale.”8
Anche in questo modo si creano disuguaglianze: ad esempio i prezzi delle case variano a
seconda della distanza dalle strade principali, e mentre fino a qualche anno fa era
privilegiato chi aveva l’auto più potente e veloce, ora anche lui è imbottigliato in un ingorgo
insieme alle utilitarie, ed il privilegiato è colui che possiede un’auto che assomiglia ad un
carro armato e che in caso di incidente può considerarsi ben protetto. Ovviamente questa
è una forma di polarizzazione del potere: ci si può immaginare la fine che potrebbe fare il
pedone o il ciclista che dovesse impattare con uno di questi SUV. Inoltre queste auto, che
richiamano palesemente i veicoli militari, si propongono come oggetto esclusivo proprio
perché sono “fuoristrada”, non sono costrette come le altre a stare in coda, possono
(perlomeno simbolicamente) divorare qualsiasi superficie di terreno. La polarizzazione del
potere si mostra anche nel fatto che il tempo non è prezioso per tutti allo stesso modo:
“Oltrepassata una certa soglia nel consumo di energia per i passeggeri più veloci, si crea
una struttura di classe, su scala mondiale, di capitalisti di velocità. Il valore di scambio del
tempo diviene dominante, rispecchiandosi anche nella lingua: il tempo si spende, si
risparmia, s’investe, si spreca, s’impiega. Quando una società segna un prezzo sul tempo,
tra l’equità e la velocità veicolare si stabilisce una correlazione inversa. L’alta velocità
capitalizza il tempo di poche persone a un tasso spropositato, ma paradossalmente lo fa
8 IVAN ILLICH: La convivialità, pagg. 61 e 62, Boroli Editore,Milano 2005

deprezzando il tempo di tutti gli altri. A Bombay solo pochissime persone posseggono
un’auto; esse possono raggiungere in una mattinata la capitale d’una provincia […] Due
generazioni addietro ci sarebbe voluta un’intera settimana per lo stesso viaggio […]
Adesso spendono una quantità maggiore di tempo per un maggior numero di spostamenti.
Ma quelle stesse poche persone, con le loro auto, scompigliano il flusso di traffico delle
migliaia di biciclette e di taxi a pedale che circolano nel centro della città […] La spesa
complessiva di tempo assorbita dal trasporto in una società cresce assai più in fretta del
risparmio di tempo conseguito da un’esigua minoranza nelle sue veloci escursioni.”9
Quest’ultimo passo ci ricorda che la velocità degli strumenti non ha modificato solo lo
spazio che ci circonda ed in cui viviamo, ma anche il tempo:
“Gli orari dei treni hanno introdotto il minuto nella società.”10
Nell’era della velocità il tempo è denaro, ma non per tutti allo stesso modo: il tempo di
qualcuno è più prezioso di quello di altri.
Concludo l’analisi di Energia ed equità esaminando molto brevemente una questione che
ormai dovrebbe essere chiara, quella cioè del monopolio radicale e dell’induzione dei
bisogni. Infatti
“Un’industria non impone un monopolio radicale a tutta una società per la semplice
scarsità dei beni che produce o perché elimina dal mercato la concorrenza, bensì grazie
alla capacità che possiede di creare e plasmare un bisogno che essa soltanto è in grado di
soddisfare.”11
Si è visto sopra come le cose sono andate per il trasporto: all’inizio l’automobile era un
lusso per pochi che nel tempo è stato trasformato in una necessità per tutti. Si sono create
le strade per permettere ai privilegiati di andarvi con la propria vettura, ma poi quelle
stesse strade hanno creato distanze percorribili solo in automobile. E’ il destino di
qualsiasi strumento dominante, è la sua natura, e non vi si può porre rimedio con interventi
di giustizia distributiva:
9 IVAN ILLICH: Elogio della bicicletta, pagg. 31 e 32, Bollati Boringhieri Editore, Torino 2006
10 IVAN ILLICH: Prigionieri della libertà, Discorso pronunciato l'8 novembre 1996 al Netherlands Design Institute di
Amsterdam. In: Libertaria, anno 3, n 4, ottobre - dicembre 2001.
11 IVAN ILLICH: Elogio della bicicletta, pag.46, Bollati Boringhieri Editore, Torino 2006

“Immagino che cosa accadrebbe se l’industria del trasporto potesse in qualche modo
distribuire più adeguatamente il suo prodotto: un utopico sistema di trasporto rapido e
gratuito per tutti porterebbe inevitabilmente a un’ulteriore espansione del dominio del
traffico sulla vita umana. Come si configurerebbe questa utopia? Il traffico sarebbe
organizzato esclusivamente in funzione dei mezzi di trasporto pubblici; verrebbe finanziato
mediante un’imposta progressiva, calcolata in base al reddito e in base alla distanza del
domicilio del contribuente dalla fermata più vicina e dal posto di lavoro; sarebbe concepito
in modo da permettere a chiunque di occupare qualunque posto, secondo il principio che
chi prima arriva viene servito prima: nessun diritto di precedenza verrebbe riconosciuto al
turista, al medico o all’autorità. In un simile paradiso degli sciocchi tutti i passeggeri
sarebbero uguali, ma anche tutti in egual misura consumatori coatti di trasporto. Ogni
cittadino di questa Utopia motorizzata sarebbe egualmente privato dell’uso delle gambe ed
egualmente impegnato a far proliferare le reti di trasporto.”12

12 Ibid., pagg. 47 e 48