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Ivan Illich: una voce fuori dal coro

di Carlo Conte - 18/05/2010

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Quello di Ivan Illich è un pensiero senza dubbio originale, che non si presta ad essere inserito in una
categoria specifica. E tanto meno si prestava negli anni ’70, quando la sua era una voce decisamente
fuori dal coro. Questo non fa che aggiungere fascino alla lettura dei suoi scritti, anche se il loro
pregio maggiore non sta tanto nell’originalità quanto nell’attualità.
Oggi Ivan Illich è considerato il padre del movimento per la decrescita: così lo ha definito in più di
un’occasione il filosofo Serge Latouche, il quale in un articolo intitolato “La buona notizia di Ivan
Illich”, reperito nel sito Filosofiatv.org, scrive:
“Ma se l’insostenibilità della crescita e dello sviluppo sono una buona notizia è sopratutto perchè
crescita e sviluppo non sono auspicabili e non lo sono per almeno tre ragioni:1) generano una
crescita delle diseguaglianze e delle ingiustizie mai vista. 2) Creano un benessere largamente
illusorio. 3) Non generano, anche per i ricchi stessi, una società conviviale, ma un’anti-società
ammalata della sua ricchezza (con stress, malattie di ogni sorta: insonnia, obesità, ecc, e infine la
solitudine e il suicidio)”.
Effettivamente questi temi sono rintracciabili negli scritti di Illich, ed in particolare ne La
Convivialità, anche se egli non ha mai usato il termine “decrescita”, come lo stesso Latouche
ammette. Comunque, egli non ha risparmiato critiche a quegli ecologisti (e sono la maggior parte)
che partono dal presupposto utilitaristico che il mondo va preservato perché altrimenti non sarà più
possibile viverci. All’utilitarismo Illich preferisce l’edonismo, inteso come capacità di godere di ciò
che è bello:
“La gente che parla di Gaia e della responsabilità globale, e che fantastica sul fatto che noi
dovremmo fare qualcosa in proposito, balla una danza folle che li farà impazzire […] La sensazione
di essere in grado di celebrare il presente e di celebrarlo usandone il meno possibile, perché è bello
e non perché è utile per salvare il mondo, può creare la tavola imbandita che simboleggi
l’opposizione a quella danza macabra dell’ecologia, la tavola imbandita dove la vitalità viene
consapevolmente celebrata in opposizione alla vita.”1
Il bersaglio degli scritti di Illich, indipendentemente dall’argomento specifico che aveva scelto di
approfondire, è sempre stata l’idea di sviluppo affermatasi nel mondo industriale. La sua opera, per
essere compresa, va letta tutta insieme: la medicina, la scuola, il lavoro, i trasporti e tutte gli altri
“strumenti” vanno studiati in quanto ci fanno capire le contraddizioni ed i paradossi delle società
1 DAVID CAYLEY: Conversazioni con Ivan Illich, pag. 216, Elèuthera - 1994

contemporanee. Sono sintomi diversi della stessa malattia. E’ difficile, perciò, e forse anche
sbagliato, isolare delle parti dal discorso complessivo di questo autore. Del resto, rispondendo ad
un’intervista immediatamente successiva alla pubblicazione in Italia di Nemesi Medica, lo stesso
Illich afferma:
”Mi sono occupato di medicina soprattutto per illustrare una tesi economica […] Per me dunque
Nemesi Medica non è un libro di medicina, ma un libro che vuole spingere a un’analisi tendente a
rovesciare l’attuale nostro modo di vedere la realtà politico-economica […]”2
Per accrescere la salute dell’uomo la medicina non basta: questa, superato un certo limite, diventa
addirittura dannosa. E questo vale per ogni istituzione ed ogni strumento “dominante”. Quanto le
argomentazioni di Illich riguardino temi politico – economici lo si capisce facilmente, già ad una
prima lettura, ma, rimanendo un attimo sull’esempio della medicina, banalmente vorrei evidenziare
che il legame tra questi aspetti e le condizioni di salute è considerato un dato di fatto. Che la povertà
generi malattia è stato dimostrato da molte ricerche, tra cui quella condotta in Italia
dall’epidemiologo Enrico Materia alla fine degli anni ’90, soprattutto se la questione viene posta in
termini assoluti: l’aspettativa di vita alla nascita nei paesi economicamente sviluppati è superiore di
oltre 50 anni rispetto ai paesi più poveri dell’Africa sub sahariana. Ma non sono pochi gli studi
(forse il più celebre è il “Black Report” commissionato dal governo inglese negli anni ’70) che
mettono in risalto anche il ruolo della povertà relativa, il ruolo cioè che la distribuzione della
ricchezza svolge nel determinare lo stato di salute dei cittadini dei paesi più ricchi.
Tuttavia tutti questi lavori si soffermano prevalentemente sui fattori materiali e sul problema,
comunque importantissimo, dell’iniqua distribuzione della ricchezza. Ma non sono solo questi i
danni prodotti dall’economia di mercato, ed è a questo riguardo che trova vigore l’analisi di Illich.
Si trascurano le aberrazioni culturali che essa ha prodotto e continua a produrre, e che possono
diventare visibili al di là delle ricerche epidemiologiche ricche di dati, ma solo con uno sguardo un
po’ più approfondito rivolto al nostro mondo quotidiano. Mentre l’Occidente bombarda gli Stati
“canaglia” per portarvi democrazia e libertà, proprio ciò che si vuole esportare
“non fa altro che privare le sue vittime della libertà e del potere di agire autonomamente, di vivere
in maniera creativa.”3
2 A cura di L. BOVO e P. BRUZZICHELLI: Illich risponde dopo “Nemesi medica”, pagg.24, 25, Cittadella Editrice, Assisi -
1978
3 IVAN ILLICH: Per una storia dei bisogni, pag.7, Arnoldo Mondadori, 1981

Non si tratta di sottovalutare le disuguaglianze economiche, ma di riflettere anche su quella povertà
che gli strumenti convenzionali delle scienze economiche non sono in grado di rilevare.
“Ovunque si posi l’ombra della crescita economica, noi diventiamo inutili se non abbiamo un
impiego o se non siamo impegnati a consumare; il tentativo di costruirsi una casa o di mettere a
posto un osso senza ricorrere agli specialisti debitamente patentati è considerato una bizzarria
anarchica.”4
Illich parla di modernizzazione della povertà, la quale produce come effetto il fatto
“che la gente non è più in grado di riconoscere l’evidenza quando non sia attestata da un
professionista, sia egli un meteorologo televisivo o un educatore; che un disturbo organico diventa
intollerabilmente minaccioso se non è medicalizzato mettendosi nelle mani di un terapista; che non
si hanno più relazioni con gli amici se non si dispone di veicoli per coprire la distanza che ci separa
da loro (e che è creata prima di tutto dai veicoli stessi).”5
L’organicità delle tesi del nostro autore è testimoniata anche da Thierry Paquot, filosofo, professore
all’Iup Parigi XII, editore e amico di Ivan Illich, il quale, riferendosi alle sue opere scrive:
“Questi libri vanno letti insieme, tanto evidente è la loro appartenenza a un unico progetto: la
liberazione totale della singolarità di ogni individuo – a prescindere dalla sua cultura, il suo reddito,
il suo ruolo nel sistema produttivo.”6
L’intento dell’autore è dunque quello di offrire una critica della società contemporanea a tutto
tondo, a partire dall’ideale della produttività che caratterizza tutte le istituzioni, portandole ad uno
stato paradossale. Non solo la medicina, dunque, ma anche la scuola, i trasporti, le abitazioni, la
Chiesa, il sistema politico e così via.
Bisogna sottolineare che in Illich non c’è solo una critica, ma troviamo anche una proposta, forse
non fondata su basi solidissime, sicuramente utopica, ma anche affascinante. Mi riferisco all’ideale
della convivialità, che egli ha sicuramente tentato, credo riuscendovi, di realizzare nella sua vita.
Ideale che oggi viene accostato al concetto di decrescita, e che dunque si mantiene ancora
perfettamente attuale.
4 Ibid. Pag.9
5 Ibid. Pag. 10
6 THIERRY PAQUOT: La resistenza secondo Ivan Illich – pensare la liberazione di tutti gli individui, “Le Monde
Diplomatique”, gennaio 2003

Ivan Illich è uno di quei rari pensatori che riescono a mantenersi sempre coerenti tra ciò che
affermano e ciò che fanno. Per questo ritengo possa essere importante ricordare brevemente anche
la sua biografia.
Nacque a Vienna nel 1926 da un padre cattolico di nobili origini dalmate e da una madre ebrea
sefardita. La famiglia fu costretta a lasciare Vienna nel 1941 e ciò contribuì a fare di lui, fin da
piccolo, un instancabile viaggiatore. La sua formazione iniziò ufficialmente a Salisburgo ma, a detta
del Nostro, le cose più importanti le apprese da autodidatta; proseguì all’Università di Firenze dove
studiò istologia e cristallografia. Dal 1942 al 1946 studiò teologia e filosofia presso la Pontificia
Università Gregoriana a Roma ma, come ha scritto Filippo Trasatti,
“Illich non ebbe mai un buon rapporto con le scuole, né con le discipline. Era sociologo, filosofo,
linguista (conosceva una decina di lingue), teologo, ma forse più di ogni altra cosa uno storico delle
istituzioni.”7
A dire il vero pare che di lingue ne conoscesse quattordici, e questo è un dato importante perché
spesso le sue riflessioni partono proprio da analisi linguistiche, confrontando le espressioni che
lingue, e dunque popoli, differenti utilizzano per riferirsi ad un certo concetto. In questo modo Illich
era alla costante ricerca di un diverso punto di osservazione che gli permettesse di giungere a nuove
intuizioni, e di rivedere e correggere quanto fin lì sostenuto.
Dopo la formazione teologica, fu ordinato sacerdote e mandato in una parrocchia a prevalenza
portoricana a New York. Fu qui che iniziò ad interessarsi dei meccanismi dell’esclusione degli
individui attraverso l’istituzionalizzazione della vita. Nel 1998 ha affermato:
“non ho mai dubitato, e oggi più che mai, che un ambiente “monastico” sia il requisito
dell’indipendenza necessaria ad ogni denuncia sociale fondata su basi storiche.”8
Nel 1956 fu nominato vice-rettore dell’Università Cattolica di Porto Rico.
“Nel 1957, vice-rettore da appena un anno […] sentii il bisogno di mettere in discussione
l’ideologia dello sviluppo a cui aderiva Castro non meno di Kennedy. Investii tutto il denaro di cui
disponevo […] nell’acquisto di una baracca in legno con un unico locale”.9
7 Ripensando Ivan Illich, dossier pubblicato su “A Rivista Anarchica”, anno 33, n. 294 – novembre 2003
8 IVAN ILLICH: Elogio della cospirazione, discorso tenuto il 14 marzo ’98 a Villa Ichon in occasione del conferimento del
Premio per la cultura e la pace della città di Brema
9 Ibid.
5
Iniziò qui anche la sua contestazione al sistema scolastico.
Illich, dopo aver girato a piedi e in bus tutta l’America latina, si trasferì a Cuernavaca, in Messico,
con l’intento di aprire quello che lui stesso ha definito un “pensatoio”, e che nel 1961 si trasformò
nel CIDOC, Centro Interculturale di Documentazione. Questo centro aveva lo scopo di raccogliere
documentazione principalmente su due temi: la cultura popolare e gli effetti del produttivismo su
educazione, salute e sviluppo economico. Fu un luogo d’incontro per molti intellettuali radicali. Ma
qui si accentuarono le critiche di Illich verso il modello di sviluppo e iniziò l’impegno contro le
guerre, le banche, le grandi corporation e gli aiuti ai paesi poveri. Egli divenne perciò sospetto alla
CIA che presentò rapporti al governo americano e al Vaticano. Nell’articolo già citato di Thierry
Paquot si dice che Illich in quel periodo subì minacce e violenze fisiche. Di certo si aprì nei suoi
confronti un procedimento da parte del Santo Uffizio che lo portò all’abbandono della Chiesa.
Stando alle parole dell’autore, al CIDOC si respirava
“un clima di tolleranza reciprocamente armonizzata. Fu grazie a quest’aura, a questa qualità
dell’aria, che quell’effimero azzardo potè diventare un crocicchio internazionale, un luogo
d’incontro per coloro che mettevano in dubbio l’innocenza dello “sviluppo” ben prima che ciò
diventasse di moda.”10
Dieci anni dopo la sua fondazione, il centro era diventato importante al punto di trasformarsi
anch’esso in istituzione, e perciò, coerentemente, fu chiuso.
Gli anni ’70 sono quelli della pubblicazione delle opere più importanti. Successivamente continuò il
suo lavoro cambiando però stile: partecipò a conferenze in tutto il mondo, scrisse saggi brevi su
moltissimi argomenti, tenne seminari. Fu anche nominato Visiting Professor di Filosofia, Scienza,
Tecnologia e Società presso la Penn State, infine insegnò all’università di Brema. E’ stato anche
considerato uno dei padri dei movimenti ambientalisti e di ecologia sociale degli anni Ottanta e
Novanta.
Negli ultimi anni fu colpito da un tumore che gli deturpò il volto e che lo ha condotto alla morte il 2
dicembre 2002. Inizialmente consultò un medico per rimuoverlo chirurgicamente, ma essendogli
stato prospettato il rischio di perdere l’uso della parola, preferì convivere con la malattia, che
chiamava “la mia mortalità”.
10 Ibid.

E’ difficile stabilire l’influenza di un pensatore così originale e per molti aspetti provocatorio. I suoi
concetti sono tuttavia ancora in circolazione, ed il suo nome compare, magari come avversario, in
numerose bibliografie. E’ recente ristampa di alcune tra le sue opere principali.
Per concludere, mi sembra importante anche citare alcune testimonianze di coloro che l’hanno
conosciuto e che si sono confrontati seriamente col suo pensiero, anche per sottolineare la coerenza
tra le sue idee e la sua vita:
Thierry Paquot: “ […] ben di rado lo si trova là dove ci si aspetta di vederlo. Piuttosto alto, magro,
uno sguardo invitante, un sorriso caloroso, un profilo dai tratti delicati, tranne che dal lato di
quell'impressionante escrescenza che gli sfigurava il volto, Ivan Illich sapeva metterti a tuo agio.
Una volta scambiate le prime parole sulla vita di tutti i giorni, il suo pensiero si attivava, seguiva il
ritmo della sua parola e ti ricolmava della sua intelligenza. Parlava degli «umori» di un medico
tedesco del XVIII secolo, risaliva ad Aristotele, faceva una deviazione su Diderot e Lavoisier,
evocava Claude Bernard, indugiava su Balint, ritornava al suo medico tedesco e si interrogava, ad
alta voce, su diagnosi, consulto, espropriazione di sé da parte di un altro - il medico - rifiuto del
dolore e descriveva con precisione l'apparato ospedaliero attuale, rimettendo in gioco, strada
facendo, alcune delle sue analisi, già datate, che si trovano in Nemesi medica. Un altro giorno, la
parola errabonda sceglieva un'altra strada, dimostrava che il silenzio può essere un'arma di
contestazione allo stesso modo della non violenza […]”11
Sajay Samuel: “In un tiepido pomeriggio toscano del settembre 2002, in un appartamento annidato
sulle colline verde-blu di Fiesole, Ivan Illich accolse l’invito di Aldo Zanchetta a venire in visita e a
parlare nella città di Lucca. Ivan non era troppo incline a tenere incontri pubblici quell’anno. D’altra
parte, era una sua caratteristica quella di rispondere, anche contro le sue inclinazioni, alla chiamata
di chi incontrava. Accettando l’invito di Aldo, Ivan visitò Lucca per la prima volta. Onorando
l’ospitalità dei suoi cittadini, Ivan regalò a Lucca quello che, retrospettivamente, fu il suo ultimo
discorso pubblico. È giusto parlare di strana combinazione di un ultimo discorso pubblico in un
posto visto per la prima volta se colui che parla è un pellegrino.”12
Aldo Zanchetta: “Con noi aveva intessuto subito un rapporto caloroso di comunicazione e si
riprometteva di continuarlo, lui che da molti anni lesinava gli incontri pubblici e le conferenze.
11 THIERRY PAQUOT:La resistenza secondo Ivan Illich – pensare la liberazione di tutti gli individui, “Le Monde
Diplomatique”, gennaio 2003
12 SAJAY SAMUEL: Prefazione agli atti del convegno “Le paci dei popoli” tenutosi a Lucca nel giugno 2003

Lucca è stata la sede della sua ultima apparizione in pubblico, e non potremo dimenticare presto
questa occasione privilegiata di averlo avuto fra noi. Prima dell’incontro a Palazzo Ducale aveva
voluto passeggiare un po’ per Lucca, città ove aveva passato una notte in tempo di guerra mentre
accompagnava verso un paese neutrale un militare tedesco che aveva obiettato […] La morte
doveva coglierlo nel sonno, il 1° dicembre scorso. Appena due giorni prima aveva parlato per
telefono con Don Achille Rossi, che abbiamo ricevuto dopo di lui alla Scuola per la Pace e che era
stato il tramite per il suo invito a Lucca, il quale gli aveva telefonato per ringraziarlo di avere
rinviato corretto il testo trascritto della conferenza tenuta a Città di Castello, testo apparso nel
volume Il ritorno della guerra (che riporta anche gli interventi di Giulietto Chiesa, Rodrigo Andrea
Rivas, Raniero La Valle e Alex Zanotelli). A Don Achille aveva annunciato di avere contratto
un’infezione, ma non sembrava preoccupato.”13
Luigi Bovo: “La presenza di Ivan Illich ha dato alla riunione la forma prevalente di un vivace
dialogo.”14
Giuseppina Ciuffreda: “E' morto nel sonno, lunedì a Brema, mentre riposava prima di tornare al suo
lavoro, che non ha mai smesso sopportando con pazienza e stoicismo i dolori del male che da anni
deformava il suo viso. Teologo, filosofo, storico, antropologo, Ivan Illich è stato soprattutto uno
sciamano abile a sciogliere il pensiero dai vincoli dei luoghi comuni. Un seminario con lui era
un'esperienza totale. I suoi ragionamenti, densi di riferimenti storici, scardinavano sicurezze
intellettuali sedimentate, provocando arroccamenti seguiti da rese incondizionate. Nel novembre del
1985 ho sperimentato la forza del suo pensiero libero e al tempo stesso costellato di erudizione
profonda, in un seminario residenziale nel centro culturale di San Fortunato di Assisi. Tre giorni
conviviali - con, tra gli altri, Wolfgang Sachs, Alexander Langer, Francuccio Gesualdi, Anna
Donati, Paolo Galletti, Peter Kammerer e Christopher Baker - centrati su genere e sesso,
comunanze, lavoro, sviluppo durante i quali Illich metteva continuamente in crisi idee formate in
anni di esperienze e di studi. Ricordo la rabbia e, alla fine, un sollievo quasi fisico, la percezione di
avere una mente più libera. Ma anche con un contatto meno intenso Illich riusciva a stimolare una
percezione diversa della realtà […] Non legge i giornali, non risponde agli inviti di istituzioni anche
prestigiose. Partecipa soltanto ad incontri dove può stare a diretto contatto con la gente, soprattutto
con i giovani che, in tutto il mondo, vogliono pensare in modo più libero, senza dipendere da
concetti divenuti luoghi comuni. In questo è favorito dalle sue straordinarie capacità linguistiche:
13 ALDO ZANCHETTA: Introduzione agli atti del convegno “Le paci dei popoli” tenutosi a Lucca nel giugno 2003
14 A cura di L. BOVO e P. BRUZZICHELLI: Illich risponde dopo “Nemesi medica”, pag. 5, Cittadella Editrice, Assisi - 1978

conosceva infatti più di dieci lingue. Negli ultimi venti anni ha lavorato con molti intellettuali
ambientalisti critici dello sviluppo. Nel 1988, presso l'università della Pennsylvania, nell'ambito del
Science Technology and Society Program, Illich dà vita a seminari interdisciplinari a tema con
Wolfgang Sachs, Jeanne Robert e Barbara Duden aperti anche ad altri ricercatori, su ecologia, vita,
percezione dello spazio, del tempo e del corpo umano nel XIX secolo, la facoltà del cuore nella
religiosità medioevale, per conoscere meglio le costruzioni del nostro modo di pensare
osservandone la genesi. Scavano negli strati del nostro sapere, guardano al sapere come qualcosa
che può e deve essere storicizzato, superando gli steccati disciplinari. Anche le modalità di lavoro
non sono tradizionali: cucinano e mangiano insieme nella casa ospitante di Barbara Duden allo
State College. […] anche nei punti più estremi, sempre le sue affermazioni hanno offerto spunti di
riflessione. Ricordo le reazioni irritate di molti, me compresa, quando attaccava lo zelo
misericordioso e il voler aiutare il Terzo mondo. «Dobbiamo restare indifferenti?» chiedevamo. Ma
Illich insisteva: «Se qualcuno vuole farti del bene, scappa». Il suo era un invito a riflettere sulle
cause e sugli effetti di un'azione e, soprattutto, sui concetti che l'avevano originata in un determinato
periodo storico.”15

15 GIUSEPPINA