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Gian Burrasca, un fratello… maggiore

di Marco Iacona - 18/05/2010

http://upload.wikimedia.org/wikisource/it/d/d1/Gianburrasca035.gif


 

Era il 1907, Giosuè Carducci moriva, la Butterfly di Puccini aveva appena tre anni, Enrico Caruso stava incidendo dischi su dischi e il Piave se ne stava tranquillissimo (anche perché la Triplice Alleanza italo-tedesco-austriaca era stata rinnovata ancora una volta). Era il 1907 quando Vamba cominciava a scrivere uno dei racconti per ragazzi più famosi del secolo. La storia? Sei mesi vissuti pericolosamente da Giannino Stoppani ovvero: il suo giornalino, Il giornalino di Gian Burrasca. Si trattava, in due parole, del diario semiserio di un figlio della borghesia nazionale di primo Novecento.

Vamba era il soprannome del fiorentino Luigi Bertelli, nato nel 1858 (quest’anno sarà il novantesimo anniversario della morte), giornalista e scrittore di fede mazziniana, poeta vernacolare sul Fanfulla della Domenica molto apprezzato da Ardengo Soffici; ma soprattutto collaboratore del Capitan Fracassa, ideatore de Il Bruscolo (1901) e del Giornalino della Domenica (1906), un fortunatissimo settimanale per ragazzi che il nostro dirigerà fino alla morte (a eccezione degli anni 1911-18). Il periodico, patriottico e irredentista, ospiterà negli anni alcune firme straordinarie: Giovanni Pascoli e Grazia Deledda, Edmondo De Amicis e Renato Fucini, Ugo Ojetti e Emilio Salgari, Cesare Pascarella e Matilde Serao, Luigi Rasi e Luigi Capuana, per citarne solo qualcuna... Proprio al suo interno, fino al 1908, sul modello di una traduzione italiana di un testo inglese (Vamba verrà anche accusato di plagio), apparirà a puntate il famoso Giornalino, che diverrà poi libro per Bemporad alcuni anni dopo.

La notorietà del volume tuttavia, si deve anche alla versione televisiva andata in onda in otto puntate fra il 1964 e il ‘65, suppergiù fedele all’originale (riproposta nel 1973, nel 1982 e nel 2004). La regia era della talentuosa Lina Wertmüller quasi all’inizio di una prestigiosa carriera che in seguito (1977) le regalerà la candidatura a tre Oscar – miglior regia, sceneggiatura e film straniero – per Pasqualino Settebellezze; con la giovane ma già famosa Rita Pavone (19 anni) nel ruolo di Giannino, e tanti bravi attori fra cui Arnoldo Foà, Paolo Ferrari e Ivo Garrani; la colonna sonora era, invece, del futuro premio Oscar Nino Rota, un compositore che occorrerebbe ricordare, oggi, con maggior frequenza e non solo per le sue bellissime musiche da film. Da non dimenticare poi, più per una nota di costume che di merito però…, l’uscita molto più recente di un musical su Gian Burrasca con, fra gli altri, Marco Morandi figlio del più noto Gianni, che negli anni Sessanta aveva diviso le glorie del successo nazionale proprio con Rita Pavone, e un film ancora del 1982 con protagonista Alvaro Vitali il “Pierino nazionale” e con la regia del notissimo Pier Francesco Pingitore. Altri tempi, altri artisti si dirà con ragione…

En somme, cos’era in origine questo giornalino di Gian Burrasca? Giannino è il piccolo monello di una famiglia toscana fin troppo somigliante all’Italia dei primi del Novecento: modernista e progressista ma anche cinica e bacchettona, una mediocrissima Italia nella quale moderatismo e riformismo tirano la carretta al motto di «chi s’è visto s’è visto» e al resto pensa la madre Chiesa. Con parole nude, Giannino è un ribelle, un tipo che col «potere» non ci va proprio a nozze, hegelianamente è il negativo del negativo della società del nuovo secolo. Ed è ribelle al pari di migliaia di altri giovani che da lì a qualche anno sarebbero partiti per la guerra, vestendo la camicia nera e seminando speranze sugli ideali della propria giovinezza.

La libertà in un’Italia che scopre la modernità e cavalca l’onda dell’arrivismo è, e non può ancora non essere, fuga dal quotidiano. E cos’altro meglio di un diario-giornalino permette di entrare in una dimensione parallela, in una realtà disarmonica, diremmo quasi «espressionista»? La lettura del Giornalino non svela però un mondo costruito su moralità clerico-perbeniste confezionate per anime da paradiso, perché sarebbe fin troppo facile oltreché un significante passo indietro: non è un paradosso, anzi tutt’altro, ma fra i personaggi del libro di Vamba quello a non avere (ancora) valori è proprio Giannino. I suoi ideali sono quelli della lotta a tutto campo e della salda opposizione alla morale borghese. Giannino è e rimarrà incorreggibile se visto con gli occhi dei suoi familiari, ma sarà (e per sempre), un artista dallo sguardo puro, proprio perché avversato da un corteo di ciechi e sinistri educatori. Da qui il lirico patriottismo (i padri della Patria: vera coperta di Linus della prima metà del Novecento – non scordiamolo), l’amore per l’avventura con malinconica fine, e la fuga come ragione ultima della salvezza del nostro eroe-bambino.

Alcuni dei personaggi del libro di Vamba sono tragici testimoni di un Paese «tremendo» ove in gioco c’è il futuro di un’Italia losca, avida, quasi «barbara», e Giannino è un protagonista troppo debole (perché unico), per farla sempre franca. Così l’avventura della sua vita viene avanti a tappe, fra alti e bassi, a cominciare dalle iniziali - esaltanti - vittorie contro i cognati, alfieri di una «modernità» triste e assai furba. Ma la seconda parte del libro, considerata dai critici la meno riuscita, è anche quella della vera svolta. Chiuso in collegio per aver rovinato professionalmente il cognato socialista (personaggio assai verosimile nella sua ipocrita lotta contro i privilegi del capitale), Giannino scopre il valore del cameratismo, l’amicizia e l’affetto dei coetanei, urta però contro la spietata solidità di una casta di educatori furbi e burocratizzati ed è proprio per mano di questi che andrà incontro alla prima vera delusione.

Dopo la cacciata dall’istituto, ci penseranno la giustizia e soprattutto «i misteri della politica» a dargli il colpo di grazia. Coinvolto in una squallida polemica giornalistica (finita a colpi di bastone), sulla presunta cristianità del cognato socialista (mangiapreti, ma regolarmente sposato in chiesa), Giannino assisterà al sequestro del suo giornalino e infine, per non finire in una casa di correzione fuggirà via. Il libro di Luigi Bertelli s’interrompe qui e anche la sua traduzione televisiva; ma il futuro da «combattente» di un ribelle baciato dall’amor di Patria possiamo immaginarlo senza fatica. Chissà, un giorno come un altro, devoto a una nuova Italia antiborghese, Giannino potrebbe diventar matto per le promesse del fascismo e dei suoi capi no?

Tutto questo e altro ancora sarebbe potuto accadere cento anni fa o giù di lì. Come andrà a finire però, lo sappiamo più che bene.