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Mediterraneo, quelle verità "indicibili"

di Carla Conti - 03/06/2010

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La strage sulla "Marmara" riaccende i riflettori sul Mediterraneo, mare di sangue e di conflitti irrisolti dove si è aperta all'improvviso, per ragioni che la logica non sa cogliere, una nuova pagina di destabilizzazione destinata ad avere conseguenze forse per molti anni. Per una coincidenza singolare proprio ieri, a Roma, della irrimediabile vocazione alla violenza dell'area del Mare Nostrum si è discusso in un convegno su un libro-intervista dalle implicazioni complesse e affascinanti: Intrigo internazionale, dove il giornalista Giovanni Fasanella ha raccolto le intuizioni e le verità assodate da un giudice in prima linea nelle inchieste sui grandi misteri italiani, Rosario Priore. La tesi del magistrato, che ha indagato personalmente su Ustica ma che si è dedicato, negli ultimi anni, a un lavoro certosino di analisi e di verifica dei molti documenti desecretati a Est e Ovest, è che nel Mediterraneo si sia combattuta tra gli anni '70 e i '90 una "guerra occulta" tra le medie potenze. Francia, Inghilterra e l'Italia filoaraba delle politiche di Mattei e Moro, si sarebbero affrontate senza esclusioni di colpi da piazza Fontana in poi. Le prime due per conservare il ruolo ereditato dai rispettivi imperi coloniali; il nostro Paese per conquistare influenza facendo perno sul rapporto con Gheddafi (e sulla solidarietà americana al progetto di un nuovo attore nello scenario mediorientale).

Sulle sponde di questo mare, ci dice il lavoro di Priore e Fasanella, nulla è semplice come sembra. Il magistrato adombra la "pista inglese" sulla strage alla Banca dell'Agricoltura, collega con abbondanza di particolari Ustica alla "verità indicibile" di un intervento francese contro un aereo libico che procedeva nella scia del Boeing abbattuto, "cuce" a Ustica l'eccidio di Bologna: un avvertimento in grande stile per fermare una volta per sempre la politica mediterranea del nostro Paese, dopo che ne era stato materialmente cancellato il principale protagonista, Aldo Moro. «C'è stato un momento nella politica estera italiana - ha raccontato Priore - in cui la base operativa dell'Olp, all'inizio degli anni Ottanta, doveva essere trasferita dal Libano in Sicilia e non, come poi accadde a Tunisi. I contatti sviluppati dall'Italia prevedevano che Arafat fosse trasferito da una nave da guerra italiana in Sicilia e che sull'isola venisse impiantato il comando operativo della organizzazione che aveva lasciato il Libano. L'operazione saltò in extremis, per un fatto apparentemente banale. Qualcuno si ricordò che una nave da guerra è territorio di uno Stato a tutti gli affetti: se Arafat fosse salito a bordo di una imbarcazione del nostro esercito avrebbe dovuto essere arrestato, perchè contro di lui pendeva un mandato di cattura per traffico di armi spiccato dal giudice di Venezia Mastelloni». Questo per dire la potenza e l'articolazione del "contesto" in cui si è tessuta la stagione delle stragi "senza un perché". Un contesto del tutto ignoto all'opinione pubblica, non indagato dalla magistratura e dai media, rimosso dalla politica italiana che ha sempre ricondotto la violenza, le bombe, al piccolo recinto delle "patologie nazionali", come ha detto l'ex presidente della Commissione Stragi Giovanni Pellegrino durante la presentazione del libro.
Le guerre moderne sono guerre segrete. E nel Mediterraneo se ne è combattuta più d'una. Con molte vittime italiane. In un altro libro-intervista di questi giorni, Fotti il potere (in cui il giornalista Andrea Cangini raccoglie la testimonianza di Francesco Cossiga su mezzo secolo di vita italiana) l'ex presidente della Repubblica rivendica il cinismo delle grandi e medie potenze: «Personalmente sono sempre stato contrario alle uccisioni, ma probabilmente questo dipende solo dal fatto che ho avuto grandi responsabilità politiche in un piccolo Paese». E se è vero, come ha sostenuto Pellegrino, che «la storia non la possono fare né le sentenze né i giudici» è altrettanto vero che, alla vigilia del trentesimo anniversario della strage di Bologna, mentre il "nostro mare" si confronta con nuovi orrori, la politica ha il dovere di pronunciarsi e aprire un serio dibattito pubblico sulle rivelazioni che arrivano da tanti autorevoli protagonisti dell'epoca. Gli stereotipi della guerra fredda, le verità di comodo dei due blocchi e delle forze che ad esse facevano riferimento, sono ormai storia antica. Se negli anni '90 potè accadere che Libero Gualtieri (Pci, predecessore di Pellegrino alla guida della Commissione di inchiesta sulle stragi), imponesse di cancellare ogni riferimento a possibili piste internazionali su Piazza Fontana in nome - immaginiamo - della ragion di partito, oggi quello schema è superato quasi del tutto. Fra poco più di un mese, per la prima volta dal 1980, sul palco della commemorazione per Bologna non ci sarà alcun politico: una scelta fatta per evitare lo spettacolo dei fischi che da sempre accompagna le celebrazioni. Ma cancellare i fischi non elimina il problema. E qualcuno dovrà cominciare a porselo, sul serio, adesso che nuovi squarci di verità cominciano a emergere dagli archivi dell'Est e dell'Ovest.