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Ci vogliono ridurre a un bordello

di Gianni Petrosillo - 07/06/2010




Noi lo ripetiamo da anni, le nostre imprese avanzate sono il cuore pulsante del sistema-paese ed il fatto che esse siano costantemente poste sotto attacco, tanto all'interno che all'esterno dei confini peninsulari, dimostra che l'Italia non è stata definitivamente piegata e che può forse affacciarsi da protagonista, con un tanto atteso scatto d'orgoglio, sul mondo multipolare.
Questi gruppi, la maggior parte a presenza pubblica, sono esempi di eccellenza invidiatici da tutti. Essi dimostrano che l'iniziativa italiana può essere ancora annodata alla competenza, alle capacità manageriali e ad una identità specifica che sa individuare le direttrici della modernità e sa farsi interprete attiva dei processi economici e politici a livello globale, da governare ma anche da influenzare.
Qualcuno vorrebbe azzerare del tutto questi tratti caratteristici della nostro tessuto industriale dopo aver brigato, a partire dai primi anni '90 del secolo scorso, per neutralizzarli e ricondurli nell'alveo di una posizione ancillare, affinché essi non dessero fastidio agli interessi della nazione predominante.
Tali poteri, di matrice statunitense, per dare un seguito ai loro programmi di conquista globale, si sono appoggiati a forze autoctone parassitarie e servili, investite del compito di assecondare lo svolgimento di precise dinamiche geopolitiche (tese all'ingabbiamento del pianeta in un destino unipolare), dietro il paravento ideologico della globalizzazione e dell'integrazione pacifica tra le nazioni che avrebbe assicurato benessere e prosperità a tutti.
Lo conferma anche il Presidente Emerito della Repubblica Francesco Cossiga nel suo ultimo libro-intervista, quando parla degli intrecci economici, orientati da potenti massonerie come il Bilberberg o la Trilateral, che si elevano a centri d'influenza intercontinentali grazie ad un lavoro sotterraneo a stretto contatto con i vertici politici mondiali, soprattutto statunitensi.
Nel clima di esaltazione messianica, all'indomani della caduta dell'Urss, gli appetiti dei poteri banco-industriali si sono fatti irrefrenabili ma questo slancio non poteva che coincidere con la propulsione egemonista della politica statunitense, la quale, liquidata la pratica sovietica, si apprestava a ridisegnare la sua azione dominatrice per estenderla dal versante occidentale all'intero globo terracqueo.
Gli americani riprogettavano tempi e metodi della loro avanzata “imperialistica” finalizzata all'instaurazione del New american century e per far ciò dovevano risolvere il problema rappresentato da quelle classi politiche dirigenti, anche nei paesi alleati, che pretendevano di fare esercizio di sovranità nazionale senza subire le più larghe limitazioni richieste dalla nuova situazione geopolitica.
E' così che nel '92, al largo di Napoli ormeggerà il panfilo Britannia, stracarico di finanzieri angloamericani che avevano la missione di costringere i funzionari del Tesoro italiano, guidati da Mario Draghi, attuale presidente di Bankitalia, ad autorizzare la svendita della nostra industria e del nostro sistema creditizio. Il “vile affarista” Draghi, cresciuto all'ombra di organismi internazionali, ammantati di collegialità ma nei fatti pilotati unilateralmente dagli Usa (vedi la BM, dove il romano è stato direttore esecutivo dal 1984 al 1990), non oppose molta resistenza e l'Italia si ritrovò con le braghe abbassate davanti a nuovi e vecchi padroni.
Ma per raggiungere questo obiettivo si doveva, al contempo, infangare e destabilizzare il regime politico italiano che, nella sua composizione dell'epoca, non avrebbe mai acconsentito ad un tale scempio. Questa cosa fu ribadita da Craxi in una delle sue ultime interviste da Hammamet che, ça va sans dire, i media mainstream si sono ben guardati dal diffondere: “Io non sono uno statalista ma non credo neanche che l'industria di Stato meritasse la sorte che sta meritando, tenuta in scacco per anni e poi praticamente privatizzata obbligatoriamente a condizioni molto spesso discutibili”.
Fu così che nello stesso '92, qualche mese prima della storia del Britannia, un potere dello Stato, la magistratura, ebbe il lasciapassare per colpirne a morte un altro, realizzando, sotto la copertura di una campagna per la moralizzazione delle istituzioni, un golpe bello e buono la cui onda lunga continua a produrre effetti destabilizzanti tutt'ora.
I progetti banditeschi però si arenarono prima del tracollo finale della nazione, difatti la gioiosa macchina da guerra elettorale, messa in piedi dagli ex comunisti per prendere il potere, si inceppò all'ultimo momento e gli obiettivi degli usurpatori subirono un ridimensionamento e una procrastinazione a tempi migliori (chissà se non intendano quelli correnti...).
Tutto ciò accadde a causa di un imprevisto che nessuno poteva mettere in conto, la nascita di Forza Italia e l'ascesa carismatica di Berlusconi, il quale si dimostrò in grado di recuperare in extremis i voti della diaspora democristiana e socialista, impedendo che il cerchio criminale dei “traditori della patria” trovasse la sua nequiziosa quadratura.
Ora, truci personaggi di quella stagione fanno persino le vittime e ci vengono a raccontare che la tensione registrata in Italia in quel periodo avrebbe potuto ben sfociare in un colpo di Stato, opera di non precisate forze oscure e apparati deviati. L'inversione della verità è un esercizio molto praticato nel nostro paese ma
le infamie e i veleni sparsi da queste persone, per “sofisticare” responsabilità e connivenze su quel complotto, rafforzano le nostre convinzioni: ancora una volta “chi parla del nemico è lui stesso il nemico”, parafrasando il grande Brecht.

Tornando, invece, al discorso sulle industrie dei settori avanzati occorre ribadire che queste si rivelano determinanti per veicolare interessi strategici, pur in assenza di una governance nazionale e di una classe politica degna di tale nome. Tuttavia, non si può pensare di preservare a lungo questo impulso industriale senza un rilancio della potenza politica e di una politica di potenza del paese, entrambe legate ad un riposizionamento geostrategico dello stesso sullo scacchiere internazionale, partendo dai profondi mutamenti intervenuti in questi ultimi  tempi. E questo lo può fare solo una élite che abbia un'idea chiara e lungimirante della posizione che vuole occupare nei futuri assetti mondiali.
Al contrario, una classe dirigenziale senza una visione storica e senza ideali superiori, come dice Cossiga nel suo volume, per sopravvivere dovrà incessantemente divorare sé stessa e il popolo che la esprime, accelerando le spinte centrifughe che presto o tardi l'annienteranno completamente. Se ciò dovesse malauguratamente verificarsi, la decadenza declinata sotto molteplici forme (da quella politica a quella sociale, da quella economica a quella morale) sarà il nostro ultimo orizzonte, prima di successivi decenni di totale inedia e svuotamento  sociale.
Per questo motivo i detrattori dell'Italia mirano inesorabilmente a colpire le poche isole felici che ancora resistono all'assedio, puntano come dei caterpillar sui suoi gioielli d'avanguardia di cui vogliono fiaccare l'autonomia e le pretese espansive, in settori cruciali come l'energia e la tecnologia di alto livello. Ci hanno provato prima con l'Eni, inventandosi la necessità di scorporare le attività upstream e downstream per creare nuovo valore a favore degli azionisti. Poi sono passati ad attacchi diretti pretendendo da San Donato la vendita di alcuni asset fondamentali per rompere una cornice monopoloide, così si è detto, che impedirebbe la libera competizione e l'entrata di altri operatori nel settore. Infine, l'hanno costretta a fare marcia indietro o a limitare i suoi affari in alcuni Stati non inclini a subire la dipendenza piena di Washington. Il ceto dirigente italiano non ha saputo proteggere la sua creatura fino in fondo ed ora l'assedio si è allargato a danno di altri player ugualmente importanti, come Finmeccanica.
Stesso disegno straniero e stessa fiacchezza italiana nel caso scoppiato in questi giorni che ha toccato il colosso pubblico leader nell'areonautica, nel settore spaziale e nel trasporto su ferro, nell'elicotteristica ecc. ecc, finito nella rete della magistratura per presunti fondi neri utilizzati a fini di corruzione.
Ieri, La Grassa è ritornato sulla vicenda facendo riferimento ad un ottimo editoriale di Maurizio Belpietro ma solo per dare maggiore eco e risonanza ad argomentazioni che noi sceveriamo e sottoponiamo al vaglio della “ragion politica” da anni. Il fatto che adesso se ne occupi pure la stampa accreditata, o almeno una fetta di essa, dimostra che avevamo visto giusto, che lo schema interpretativo e categoriale dal quale siamo partiti per sviluppare le nostre analisi è capace di anticipare certi fenomeni storici e i rischi a questi connessi. Così come la versione dei fatti di tangentopoli già spiegata, sempre da La Grassa, sin dal 1995, nella sua verità meno evidente e raccontata: quella del colpo di mano politico ad opera di una potenza straniera che per affermare i suoi piani pretese ed ottenne,
per via giudiziaria, un cambio di referenti politici ai vertici governativi italiani.
Con Obama, come si può vedere da questi ultimi episodi e come ha ben rappresentato anche Belpietro (il quale ha paventato il coinvolgimento della Casa Bianca dietro l'affaire Finmeccanica), cambia la tattica ma non la strategia generale. L'aggressività internazionale degli Usa, impropriamente attribuita alle manie texane di Bush, non si placa e prende vie più sottili. Gli idioti di sinistra, sparsi in tutto il mondo, si aspettavano grandi cambiamenti dal primo presidente nero della storia statunitense, ma oltre la faccia(ta) il potere imperiale Usa resta più violento che mai.
Mi concedo, a supporto di quanto scritto, l'ultima citazione da Cossiga il quale rompe inesorabilmente questa visione angelicata della politica che, guarda caso, trova sponsor accalorati nella marmaglia sinistrorsa, ancora convinta della diversità dei propri leader nazionali o d'importazione, come Kennedy per il passato e Obama per il presente: “[Kennedy era] un uomo amorale, capace di tutto per il potere, un puttaniere amico di mafiosi, un guerrafondaio che attaccò il Vietnam, condivise il fallimentare piano d'invasione di Cuba e tentò di usare la Cia per ammazzare Castro, eppure anche di lui hanno fatto un santino...”. Di Obama Cossiga non ha certamente un giudizio più lusinghiero dato che rimprovera a Veltroni di “stravedere per gente come questa”, diffondendone il mito anche da noi. L'immagine pubblica che questi uomini forniscono è solo una suggestione per le masse, suggestione che omuncoli come Veltroni utilizzano per camuffare la vera natura del potere il quale è  sempre espressione della forza alla stato puro.