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La “legittimità” capitalistica delle crisi cicliche

di Vittorangelo Orati - 21/07/2010



Fra sdegno panico, nausea cosmica e pietas scientifica vanno ricercate le cause di un mio lungo silenzio circa lo stato di salute di quel “malato terminale” che è il capitalismo globalizzato. Ma d’altronde è ben dal 2005, in un saggio su “il Ponte” - raccolto poi tra il materiale con cui ho arricchito la seconda edizione del mio “Globalizzazione Scientificamente infondata” (2008) – che disegnavo lo scenario della implosione necessaria della globalizzazione insieme al lungo periodo di stagnazione che la avrebbe successivamente accompagnata. E tutto si va svolgendo secondo quella impietosa diagnosi.
Molti economisti(ci) reagendo scompostamente all’ennesimo sbugiardamento della loro “disciplina” indisciplinatamente tramutati in talent scout hanno giocato a scovare tra loro i pochi guru “formato Otelma” che avrebbero preconizzato i precisi tempi della crisi globale. Ciò costituirebbe poco scandalo qualora si trattasse di gazzettieri in cerca di scoop, per definizione alieni dalla conoscenza degli arcani della “scienza economica” che con fortunosa preveggenza Carlyle ebbe a definire “scienza triste”. In realtà quella definizione era fortunosa (emotivamente indotta dalla lettura del saggio sulla popolazione di Malthus che scontava inconsistenti e infondati esiti pessimistici circa il rapporto popolazione/ risorse per sfamare tutti), come dire “letteraria”. Infatti scientificamente parlando la “tristezza” di quella “scienza” è diventata praticamente infinita dovendola annoverare fra gli orrori della così detta “civiltà del capitalismo” e dei suoi supporter ed esegeti: gli economisti(ci).
All’interno di questa che può definirsi sicuramente come una cosca, in alcune sue celebratissime “logge” si pretende dalla economics la sua capacità di prevedere le crisi economiche così come è lecito chiedere a scienze di tipo deterministico tipo l’astronomia. Abbiamo a suo tempo indicato il professor Perotti - della Bocconi e dalle pagine del Sole24ore che non hanno mai visto una smentita a tale assurda presa di posizione - dopo tanto pellegrinaggio ed esperienze “amerikani” sposare un tale punto di vista: la scienza economica in quanto scienza dovrebbe poter prevedere giorno e modalità (dies certus an certus quando) delle crisi cicliche. A nulla valendo l’insegnamento di Schumpeter - per altro a ogni piè sospinto citato e osannato almeno quanto del tutto incompreso- che ha per sempre sancito “a futura memoria” il fatto che le crisi economiche nel capitalismo si presentano con irregular regularity , cioè in altri termini in modo “regolarmente irregolare” nel tempo, che è come dire in maniera imprevedibile smentendo Perotti, e l’intero codazzo dei suoi silenti colleghi in proposito.
Quando la calura e le molte angosce umane e sociali dei tempi che corrono ce lo permetteranno torneremo su questi aspetti che ben valgono maggiore insistenza di analisi e denuncia.
Al momento quel che vorremmo ricordare agli economisti(ci) è che la loro totale ignoranza sulla “legittimità” capitalistica delle crisi cicliche si mostra nel fatto che, al di là della richiesta di rigorosa prevedibilità di queste ultime nel senso “perottiano”- che “non sta né in cielo né in terra”- il fatto che non se ne sappia venire minimamente a capo in termini terapeutici è il vero segnale della permanente crisi scientifica della “scienza triste” anzi tristissima in sé per il suo permanente stato abortivo contrabbandato come scienza.
Ebbene dalla mia personale impostazione del problema - di cui sarà prima o poi il caso di dare una versione accessibile a un pubblico attento e non condizionato dai “professori ufficiali” - ne deriva invece una precisa cura o exit strategy che evidentemente non è concepibile neanche lontanamente con i magrissimi strumenti del mestiere degli economisti(ci). Questo non può sfuggire a chi dovesse studiare con serietà le cose che ho scritto in materia nell’ultimo quarto di secolo comunicandole senza smentite ai massimi livelli internazionali.
Con molta modestia e con un briciolo di imperdonabile romanticismo ho creduto di poter notificare questi ultimi aspetti all’attuale ministro dell’Economia di quel che resta della Repubblica Italiana. Ritenendo che, se certamente non alla sua portata i titoli e la materia propostagli gli suggerissero almeno di sottoporla a più attenti e acculturati collaboratori. Ma una tale sensibilità da parte di “Chance the Gardner” è stata parte di una mia sopravalutazione di uomini e cose che è tra i vizi meno paganti e appaganti della mia vita. Purtroppo avere a suo tempo soprannominato Tremonti “Chance the Gardner” alludendo al capolavoro interpretato da Peter Sellers nel film “Oltre il Giardino” non era una butade o una licenza poetico-giornalistica, ma una denuncia che va rilanciata con un pizzico di autocritica: più che un giardiniere Tremonti è un “contadino” di quelli a cui i fitofarmaci e la passivizzante tecnologia delle multinazionali Usa (e getta) hanno espunto nel tempo “il cervello fino” lasciandogli solo le “scarpe grosse”. In un’intervista alla stampa di domenica 18 Luglio, esprimendosi a proposito dell’ennesima cloaca venuta alla luce intorno al potere berlusconiano, Tremonti ha fatto il verso al suo padrone traducendone in versione bucolica la sentenza da questi emessa circa “ i quattro sfigati pensionati” della così detta P3. Per Tremonti, Verdini, Dell’Utri, Lombardi, Carboni, Cosentino & company sarebbero “una cassetta di mele marce pur scaturendo da un albero sano”. L’eresia botanica è palese (reiterati raccolti marci nel tempo impongono la segatura del relativo albero) e le cassette di mele dove il marciume passa da una alle altre è mera “sapienza” da fruttivendoli.
P.S.
Nella stessa occasione la su ricordata “Chance” ha detto che non v’è alternativa al suo attuale padrone. E rivelando che senza padroni non sa immaginare il proprio ruolo - com’era tipico del contadiname tardo medievale - il tributarista di Sondrio sempre sollecitato a esprimere un giudizio su un eventuale mutamento del quadro di governo in Italia ha rivelato che la cosa non sarebbe peraltro gradita dalla Ue. Con il che è chiara la piramide dei poteri che hanno affossato ogni anelito di indipendenza della nostra nazione. Se l’Europa ritiene indispensabile il nostro “piccolo Cesare” allora v’è il fondato sospetto che al posto di statisti di alto profilo il nostro continente sia nelle mani della “banda Bassotti” che invidia alla sua branche italica di essersi fusa con “zio Paperone” in un unico sodalizio.