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Tutti democratici... Alla faccia della “democrazia”

di Giacomo Gabellini - 19/09/2010


Oramai è inevitabile, nell'arco dei prossimi mesi l'italico popolo verrà per l'ennesima volta chiamato solennemente alle urne, ad "esprimere" la propria "volontà suprema". E' probabile che Napolitano abbia già pronto in canna il consueto discorso intriso di retorica mediante il quale esortare i "bravi cittadini" a esercitare il loro "Sacrosanto diritto/dovere" sancito dalla Costituzione ad altre emerite idiozie consimili.
Cosa accadrà non è certo prevedibile, ma una cosa è certa; gli interessi che gravitano attorno a queste elezioni sono parecchi e consistenti, e riconducibili, per la maggior parte, alla solita "manina" che tanto ha interferito nella vita politica italiana. La cosa è dimostrata in tutta evidenza dai continui arzigogoli politici compiuti dal Presidente della Camera e dal suo manipolo di fedelissimi (che solo ora scoprono un universo berlusconiano fatto di corruzione, affarismo e mignotte a volontà), acchiappati al volo dai "sinistri" che si sono immediatamente affrettati a prospettare la possibilità di dar vita a un "fronte unito" trasversale finalizzato ad arginare la "deriva berlusconiana"; Francia o Spagna purché se magna, detto papale papale. Ma lasciando momentaneamente da parte queste verità lapalissiane e passando a cose più serie, occorre concentrare l'attenzione sui cosiddetti "precedenti storici" e sui loro rispettivi esiti per fare il punto della situazione e formulare una previsione credibile su queste cruciali elezioni italiane. In primo luogo, è forse bene richiamare alla memoria quello che è probabilmente il caso maggiormente eclatante e istruttivo al fine di comprendere il reale significato delle elezioni concomitanti con (e spesso sovrapponibili a) precise e specifiche congiunture storiche, politiche ed economiche, ovvero l'elezione del repubblicano George Bush del 2000. E' di per sé curioso (ed anche molto eloquente, specie se si è bombardati a tempo pieno da orge di retorica atlantista) che negli USA, a differenza che nei paesi europei, si occulti regolarmente la percentuale dei non votanti e si mostrino solo ed esclusivamente le percentuali a favore di questo o quel candidato, ma lasciamo stare. In quell'occasione ebbe luogo un vero e proprio colpo di spugna, che legittimò la nomina di Bush senza che nemmeno un singolo senatore, a prescindere dagli schieramenti, si degnasse di autorizzare uno straccio di indagine volta a far chiarezza sulle evidentissime irregolarità denunciate da svariati rappresentanti delle etnie minoritarie. Dal canto suo, l'"ecologista" Al Gore, che in un primo momento aveva parlato di "Colpo di stato", si chiuse immediatamente in un mutismo che ha dell'eloquente, firmando la propria condanna a morte e dimostrando in questa maniera un coraggio più consono ai famigerati "Eroi della Sesta" milanese. La Corte Suprema, guardandosi bene dal disporre una precisa conta dei voti, "impose" d'autorità la vittoria di Bush. Ora, approcciando alla torbida questione con il metodo di indagine marxiano, e partendo quindi dall'individuazione degli interessi in gioco, si possono comprendere alcuni dei motivi che hanno spinto i centri di potere USA a puntare su quel cavallo. Da un lato, l’eventuale ratifica del Protocollo di Kyoto, accordo internazionale che imponeva ai firmatari di contenere le emissioni di CO2 nell’atmosfera e di adeguarsi ad altre misure, tali comunque da sortire pesanti ripercussioni sull'economia nazionale e sui profitti della lobby petrolifera, era un pericolo da scongiurare a tutti i costi, mentre dall’altro si profilava invece la necessità di rimpinguare le casse della potentissima lobby militare, così da riavviare l’ambizioso progetto reaganiano di "Guerre Stellari" allo scopo di mettere prepotentemente sull’attenti l’emergente potenza cinese, assurta a nemico principale da abbattere dalla setta neoconservatrice al potere, del tutto ignara delle lucide e ben più lungimiranti teorie ideate dall’abile stratega Zbigniew Brzezinski in materia. Va da se, di conseguenza, che una volta instaurato il presidente desiderato in casa propria, i centri di potere “made in USA” focalizzano regolarmente l'attenzione altrove, sulle tante elezioni che hanno luogo nei paesi strategicamente importanti, e si prodigano per replicare la medesima prassi, magari meno sfacciatamente, al di fuori dei confini nazionali. La rielezione del grottesco Boris El'cin va infatti inserita a pieno titolo nel novero di questo genere di operazioni, tanto più alla luce del fatto che fu condotta a scapito del serio e abile candidato neo (o meglio “post”) comunista Ghennadij Zjuganov, intenzionato ad opporsi strenuamente al colossale progetto di svendita dell'enorme apparato industriale della vecchia URSS, a beneficio dei cosiddetti “oligarchi” e dei grandi agenti capitalistici statunitensi. Nel corso del suo primo mandato, El'cin si era rivelato un presidente totalmente asservito agli interessi americani nell'area e si era fatto portatore di un programma economico a dir poco disastroso, che determinò una recessione dilagante che fece registrare l’inaudito picco del - 19% nel 1992. El'cin era riuscito, dopo una serie di prese di posizione si stampo marcatamente autoritario, a centralizzare sempre più il potere nelle proprie mani, ma il 21 settembre 1993 si spinse troppo oltre, sciogliendo arbitrariamente il Parlamento e rendendosi inviso alla Corte Costituzionale (che fino a quel momento era stata un fedele alleato), che riconobbe l'illegittimità dell'atto. Il Parlamento lo depose e la popolazione russa intensificò le proteste, che culminarono con l'occupazione del Parlamento da parte di numerosi cittadini in combutta con svariati deputati. Nella sua recente biografia, Mikhail Kasianov, ex membro dello staff di Boris El'cin, ha rivelato che, all'epoca, il presidente russo era a corto di liquidi, e si presentò dinnanzi al cancelliere Helmut Kohl e al presidente francese Jacques Chirac ad elemosinare qualche soldino che gli sarebbe servito per retribuire l'esercito, che altrimenti l'avrebbe lasciato al suo destino. I due uomini politici europei concessero un credito corrispondente a circa 5 miliardi di euro, cifra che consentì ad El'cin di ricomprarsi i favori dell'esercito e di scatenarlo contro gli occupanti del Parlamento, al fine di riportare l’ordine in Russia (espressione che calza a pennello per l’individuo). Così, El'cin poté spianare la strada per la propria rielezione, che puntualmente avvenne con modalità a dir poco ridicole e truffaldine, nel giubilo dei facinorosi agenti CIA che organizzarono tutta la messa in scena e dei grandi agenti del capitale statunitensi. Cosa ne fu della Russia fino all'ascesa al potere di Putin, è cosa tristemente nota anche ai più accaniti atlantisti di corte. Ora i soliti noti stanno guardando con estremo interesse le elezioni italiane, interessati come sono ad accaparrarsi a prezzo stracciato quel poco di autonomia nazionale rimasta. Ci hanno provato, per anni, in tutti i modi a spalancare le porte ai loro sodali che ora invocano il “fronte unito”, senza raccogliere il minimo frutto, nonostante i tanti sforzi profusi. Da qualche tempo sono però riusciti a fomentare i dissidi interni alla maggioranza, chiamando a raccolta anche lo screditatissimo Fini e la sua combriccola che, tra una sconfessione e una sortita in avanti, tra un richiamo ipocrita alla legalità e un delirio sul cosiddetto “cesarismo” (categoria chiamata in causa in maniera del tutto ingiustificata), si sono immediatamente prodigati per destabilizzare la situazione suscitando “sobria” ammirazione negli ambienti radical - chic di riferimento del sedicente “Partito Democratico” che più democratico non si può, proprio in barba al cosiddetto “mandato elettorale” di cui erano stati investiti dal popolo italiano. Alla faccia della “democrazia”.