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Riforme strutturali? Un mistero buffo e tragico

di Marcello Foa - 19/09/2010

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Ci risiamo: l’Unione europea invita l’Italia a varare le “riforme strutturali”, idem l’opposizione, naturalmente la Banca d’Italia dell’immancabile Draghi, e il Fondo monetario internazionale, persino alcuni sindacalisti. Già, ma quali riforme?
In uno splendido volumetto di qualche anno fa, Antonio G. Calafati,  docente di Analisi delle politiche pubbliche all’Università Giorgio Fuà di Ancona, dimostrò un difetto ricorrente della grande stampa italiana, quello di proclamare una verità assoluta su un argomento di attualità, senza però spiegarne mai le ragioni.
Lo studio di Calafati Dove sono le ragioni del sì?, (2006, ed Laissez Passer) si soffermava sul principio secondo cui la Tav era un bene per l’Italia e dimostrava come nessuno dei tre principali giornali nazionali illustrò i motivi di quello che divenne rapidamente un dogma. Per sua natura indiscutibile, come se fosse un Verbo divino. Ovvero: non si metteva il lettore nelle condizioni di valutare compiutamente ed oggettivamente la validità (o meno) di un’opera importante come la Tav.
Ho l’impressione che lo stesso stia avvenendo riguardo le «riforme strutturali». E’ fuor di dubbio che siano necessari dei correttivi, ma il dibattito resta ammantato in un limbo. Tutti ne parlano, nessuno le spiega.
Il mantra non va mai al di là di genericità come «la riforma del mercato del lavoro», le «privatizzazioni», ma non si entra mai nello specifico. E invece è proprio quel che ci vorrebbe.
Ci dicano, una volta per tutte, in cosa consistono. E si apra un dibattito pubblico, senza veli e senza ipocrisie; smascherando, possibilmente, anche le bugie del passato.
La Spagna, ad esempio, è stata indicata a lungo come un modello di modernità. Sappiamo come è andata a finire. Idem la Gran Bretagna, di cui per vent’anni nessuno ha evocato il tarlo, questo sì strutturale e gigantesco, ovvero il debito privato quale effimero, illusorio volano di un’economia drogata e priva di fondamentali.
Anche le privatizzazioni andrebbero riesaminate. Come ogni liberale, sono favorevole al ridimensionamento del ruolo dello Stato, ma a condizione che le liberalizzazioni avvengano in settori dove esistono i presupposti di una vera concorrenza. Nelle telecomunicazioni, ad esempio, sono doverose. Ma quando si privatizzano le autostrade e l’acqua, sorgono tanti dubbi.
Se io milanese, devo andare a Venezia, ed esiste una sola autostrada, che senso ha privatizzare quel tratto? Nessuno, perchè non ho alternativa, non posso scegliere tra due autostrade concorrenti. Però pago il pedaggio e anche salato, con una sola evidente conseguenza: chi possiede le autostrade beneficia di un’immensa reddita monopolistica. Denaro e servizio pubblici, profitti privati. Il contrario di quel che dovrebbe avvenire in una sana economia di mercato.
Lo stesso ragionamento vale per la privatizzazione dell’acqua. Ha senso? E se andiamo ad esaminare il mercato del gas ci accorgiamo che le differenze di prezzo tra i due-tre colossi che lo gestiscono sono irrisorie. Il sospetto di una rendita oligopolistica è per lo meno legittimo.
L’Italia possiede caratteristiche proprie e una virtù industriale che, per quanto parcellizzata in migliaia di piccole e medie imprese, rappresenta la nostra vera, tangibile ricchezza, come ben si è visto in occasione della crisi finanziaria. Le riforme possono essere positive, a condizione che siano studiate per esaltare e massimizzare i punti di forza del nostro tessuto produttivo. Altrimenti diventano autolesioniste.
Purtroppo i continui riferimenti a modelli stranieri non appare incoraggiante. Ora un certo mondo politico ed economico appare infatuato della Germania. “Dobbiamo imitarla” s’ode da più parti; ma la Germania ha una struttura sociale ed economica che è antitetica rispetto a quella italiana. Per imitare Berlino dovremmo prima rifare l’Italia.
Insomma, meglio lasciar perdere. E parlare di cose concrete. Per cui rilancio. Qualcuno vuole rispondere a una domanda semplice, semplice, persino didascalica: quali sono le riforme strutturali che potrebbero rendere l’Italia davvero migliore? O vogliamo a continuare a discettare sul nulla, magari per coprire intenzioni che non sono liberali, nè disinteressate, ma corporative e lobbistiche?