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Brasile: Una rivolta venuta da lontano

di Stella Spinelli - 16/05/2006

La sommossa del Primo Comando della Capitale che ha messo a ferro e fuoco San Paolo è domata. Ma il futuro resta incerto
Straccio bianco in segno di resa fuori della prigioneCon 85 morti e decine di feriti, la rivolta delle carceri è finita soffocata dall’intervento massiccio delle forze dell’ordine in assetto anti-guerriglia. Un’altra feroce battaglia è terminata, ma la guerra della criminalità contro lo Stato lo sarà altrettanto? Dopo quattro giorni di cruenti combattimenti, dettati da una rabbia furibonda, la calma, più o meno apparente, è calata sui 73 penitenziari in tumulto. I duecento ostaggi sono stati liberati. Novantuno persone sono state arrestate. Adesso le strade deserte della più grande città del Sud America sono presidiate da poliziotti armati fino ai denti. Sì, perché questa volta la sommossa non si è fermata alle celle e ai secondini. Questa volta è stata una sorta di guerra civile, che ha sconvolto la vita di milioni di persone. Autobus incendiati, banche assaltate, bar distrutti sono stati i corollari di una battaglia senza esclusione di colpi. “Siamo in guerra con loro. Ci saranno molti feriti, ma non ci tireremo indietro”, aveva dichiarato nel pomeriggio di ieri il colonnello Elizeu Eclair Teixeira Borges, comandante generale della polizia militare.
 
Ma chi sono i responsabili di una simile battaglia? Chi è stato in grado di coordinare una ribellione così forte e corale nelle carceri e contemporaneamente smuovere l’intera criminalità organizzata dal cuore della città paulina? Fedeli e adepti non hanno esitato a obbedire e ad attaccare a vista qualsiasi simbolo dello stato di polizia: auto, caserme, divise, furgoni, creando un’ondata di violenza senza precedenti. Gli attacchi, cominciati venerdì notte, non hanno risparmiato niente e nessuno e hanno travolto chiunque incontrassero sulla loro strada. San Paolo si è fermata. La gente ha vissuto ore di angoscia.
 
Gruppo di prigionieri sul tetto di un penitenziarioYin-Yang. Si chiama Marcos Willians Herbas Camacho, detto Marcola e conosciuto anche come il Playboy. È lui il capo del Primeiro Comando da Capital (Pcc), la fazione criminale più potente del Brasile. Nato nel 1993 nel Centro di Riabilitazione penitenziaria di Taubaté, carcere di massima sicurezza che ospitava i soggetti considerati più pericolosi e indisciplinati, è cresciuta come un piovra, acquisendo potere e influenza dentro e fuori le carceri di San Paolo. Era il 31 di agosto. Un gruppo di detenuti organizzarono una partita di calcio. Le squadre furono presto fatte: da una parte gli otto prigionieri appena trasferiti dalla capitale al Piranhao (com’era chiamata la prigione di Tubate, situata a 130 chilometri da San Paolo) e dall’altra ‘il resto del mondo’. Quel team ebbe fin da subito il nome di Primo Comando della Capitale e da quel giorno non si sciolse mai più: la partita finì, loro no. Da combattenti sul campo si trasformarono in combattenti contro l’oppressione del sistema carcerario paulista e giurarono di vendicare la morte dei 111 prigionieri uccisi dalla polizia militare il 2 ottobre 1992, nel massacro di Corandiru, avvenuto nel padiglione 9 della Casa di detenzione di San Paolo.
Il gruppo cresceva determinato e gli adepti aumentavano. Adottarono presto anche un simbolo, immancabile nel linguaggio criminale: scelsero lo yin-yang, considerato una maniera per equilibrare il bene e il male con saggezza. Divenne così l’emblema della fazione.
 
L'esordio. La prima vera azione di ribellione coordinata fu messa a punto nel febbraio 2001, quando 29 carceri si rivoltarono contemporaneamente. Risultato: 16 morti. Fu il battesimo del fuoco. Da quel momento la piovra arrivò a stringere una potente alleanza persino con il Comando Vermelho, i figli delle favelas, il gruppo criminale più potente di Rio de Janeiro.
Gli attentati contro le carceri si moltiplicarono: l’intento era intimidire le autorità carcerarie e ottenere trattamenti privilegiati per i detenuti del Pcc. Poi qualcosa cambiò. Una lotta di potere interna portò al comando del gruppo Marcola. Era il novembre del 2002. Da allora le azioni del Pcc furono più studiate, preparate con calma e astuzia. Nel marzo del 2003 gli uomini di Marcola riuscirono ad assassinare il “Machadinho”, il giudice che dirigeva il Centro di Riadattamento Penitenziario del Presidente Bernardes (Crp), la prigione più rigida del Brasile, la più temuta dai criminali del Primo Comando da Capital. Qui i prigionieri vengono confinati in cella per 23 ore al giorno, senza accesso a giornali, televisione, riviste e radio. Riuscire ad organizzare una rivolta forte e distruttiva in questo carcere è da sempre l’obiettivo del Pcc. L’intento è costringere così il governo a rivedere il regime carcerario e a chiudere il Crp.
 
Come si finanziano. Ogni ‘fratello’ associato al Pcc deve versare una quota mensile: 50 reais se è in prigione 500 se ormai è in libertà. Con i soldi si acquistano armi e droga, si crea un commercio e si finanziano le azioni del gruppo. Per entrare a far parte del Pcc gli aspiranti devono essere sottoposti a un rito di iniziazione, ‘il battesimo’, oppure essere presentati da un altro membro. Tutti devono sottoscrivere i 16 punti dello Statuto, redatto dai fondatori. Riuscendo a sfruttare le difficoltà organizzative sofferte dal Comando Vermelho di Rio, adesso il Pcc è la fazione criminale più potente del Paese.
 
E adesso? La rivolta degli ultimi quattro giorni, dunque, è il risultato di anni di attività criminale. A scatenarla, il trasferimento nel carcere di massima sicurezza di settecento prigionieri, fra i quali proprio Marcola. Un provvedimento da mesi minacciato, ma mai attuato. Fino a venerdì.
Adesso la forza dell’odiata polizia militare ha avuto la meglio, ma la Pcc ha dimostrato tutto il suo potere. Che la guerra sia appena cominciata?