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Fine corsa? L’ingloriosa fine di una legislatura

di Umberto Bianchi - 18/10/2010




Strano, ma a volte il destino sembra proprio giocare strani scherzi. Quella che sembrava una maledizione da prima repubblica, forse relegata ai momenti più difficili della transizione verso la seconda, riservata per lo più ai decrepiti adepti del centro sinistra, bene, ora si è ripresentata in tutta la sua virulenza anche sul gioioso proscenio del centro destra. Non il solito Bossi, allora alle prese con il dilemma identitario tra forza di governo o forza di lotta e nemmeno la sinistra radicale di bertinottiana memoria o quella dei Rossi e dei Turigliatto, virulenta ed allora ancora in grado di scendere massicciamente in piazza, ma, pensate un po’, la destra finiana che, da appiattita sulle posizioni del proprio padre sdoganatore Silvio Berlusconi, si è resa protagonista di un inaspettato scatto di ribellione verso il proprio antico benefattore. Ma fu tutto questo orgoglio o, piuttosto il frutto di un quanto mai avveduto e scaltro calcolo del funambolico Gianfranco Fini?

Alcune sere, per l’appunto, in una trasmissione di approfondimento politico su RAI 2, un Bertinotti straordinariamente lucido, ci offriva un’interessante spunto di riflessione; nel sottolineare la dirompente gravità di un contrasto tutto giocato tra due tra le più alte cariche dello stato, (cioè il Presidente del Consiglio e quello della camera), si notava come tale contrasto altro non fosse che il sintomo di una crisi più profonda, connaturata al ciclo vitale di un centro destra oramai arrivato alla fine dei propri giorni, assieme alla seconda mai decollata repubblica. Una cosa è certa: i dissapori tra il Premier ed il presidente della Camera, sono entrati nella loro fase più acuta proprio quando il centro destra sembrava poter assaporare definitivamente il risultato di una vittoria elettorale con una tale maggioranza in ambo le camere, da lasciar tranquillamente prospettare un secondo quinquennio berlusconiano esente da scossoni.

Il fatto è che tutti i patti di legislatura che hanno poi dato luogo ai vari governi Berlusconi sono stati fondamentalmente il frutto di un equivoco che ne ha minato “ab origine” l’intero percorso. Da una parte la Lega, che inizialmente si è fatta portatrice delle istanze di rinnovamento emerse nell’Italia degli anni ’90, coniugate ad un forte localismo che la persona di Silvio Berlusconi e la sua formazione Forza Italia sembravano voler declinare in un senso più squisitamente nazionale, maggiormente aperto alle rivendicazioni dell’internazionale liberal-liberista che in quegli anni andava per la maggiore. Dall’altra parte la destra missina, sino a quel momento emarginata, sdoganata da Silvio Berlusconi per motivi di mero calcolo economico, ma lontana anni luce dalle istanze di Lega e Forza Italia, attaccata ad un’idea conservatrice e burocratica della politica, frammista a confuse rivendicazioni di carattere “sociale”.

Gli anni a venire hanno costituito la storia di una tormentata alleanza a tre, in cui il socio di maggioranza (e cioè Silvio Berlusconi) ha dovuto subire la costante pressione degli altri due, in un crescendo senza via d’uscita, in questo seguito dalle similari vicissitudini dell’altro grande raggruppamento storico della politica italiana: quello del PCI-PDS-DS-PD e dei suoi riottosi alleati. Mai la destra storica italiana, quella per intederci discendente dall’intesa tra alcuni poteri forti dell’economia ed alcuni segmenti allora minoritari della pubblica opinione (liberali,cattolici, socialisti, missini, a cui si sarebbero aggiunti i regionalisti), mai costoro avevano raggiunto una simile maggioranza per governare, avallata da una entusiastica fiducia dell’elettorato.

Eppure uno strano destino sembra sovrintendere alle sorti di questo paese, le cui istanze di cambiamento sembrano finire contro un muro di gomma di “non so”, “distinguo” e ripensamenti d’ogni genere e tipo. A darci da pensare non dovrebbero essere solamente le funamboliche vicende a cui ci ha abituato Gianfranco Fini, ma anche il fatto che un ministro della repubblica se ne esca insultando la capitale ed i suoi abitanti, proprio nel momento in cui si andava vociferando della possibilità di un sostanzioso aumento dei consensi della Lega nel centro sud, in vista di prossime elezioni, rimarcando in tal modo un percorso politico volto non alla realizzazione di profonde e necessarie riforme strutturali, necessarie all’intero paese, bensì diretto verso la strada senza uscita dell’utopistica creazione di una “repubblica del nord”, le cui conseguenze sull’ordine geopolitico e geoeconomico dell’intero continente europeo potrebbero rivelarsi devastanti.

Lo stesso Berlusconi viene da più parti sempre più accusato di aver molto detto e promesso, ma poco o nulla realizzato in termini di quei cambiamenti istituzionali volti a rendere il paese più governabile. Il problema dell’invasione di allogeni, da sempre cavallo di battaglia della Lega, è stato sinora affrontato in modo quanto mai ambiguo, a “macchia di leopardo”, a seconda degli umori delle varie amministrazioni locali dell’asse PDL-Lega, senza addivenire sinora ad una linea univoca di fermezza.

Tutto questo è indice di quella tara di cui abbiamo già accennato, e che ci pone davanti agli occhi l’immagine di una coalizione friabile la cui tenuta è unicamente garantita dall’interesse spicciolo e non da un progetto politico di ampia portata e perciò stesso destinata alla fine per auto consunzione. Quanto sin qui detto vale non solo per il centrodestra, ma anche per quel centrosinistra, oramai consunto da un quindicennio di dileggi ed insulti a Berlusconi, ma sempre più a corto di idee, se è vero che l’ultima spiagga rimastagli è quella di un’ipocrita buonismo e di un solidarismo d’accatto, qua e là condito da spruzzi di maleodorante antifascismo.

La seconda repubblica sta volgendo al suo infimo, malinconico epilogo. Una terza potrebbe nascere, a patto che non sia una squallida e rabberciata riedizione della seconda, stavolta all’insegna di un’asse ancor più incasinato ed inconcludente, capeggiato da Cordero di Montezemolo, Rutelli, Casini, Bersani, Di Pietro e, dulcis in fundo, Fini. Il graduale, ma inesorabile impoverimento della popolazione italiana, determinato da un altrettanto inesorabile aumento dei generi di consumo primari e secondari, la spesa oramai fuori misura di uno stato, costretto a risparmiare su tutto (sanità, scuola, polizia, etc.), ma costretto a spendere per mandare i propri figli a morire nelle altrui guerre, l’invasione migratoria, a cui abbiamo precedentemente accennato, che sta oramai mettendo sempre più a repentaglio la sicurezza economica e sociale degli italiani, rappresentano alcuni dei più salienti tra quei motivi, che ci riportano all’urgente necessità di una forte volontà di riforma democratica dell’inamovibile sistema politico nostrano, possibilmente promossa da tutti coloro i quali, sinora, con tale sistema non hanno avuto nulla a che spartire.

Saper raccogliere le istanze che vengono dalla società e dar loro corpo attraverso l’azione dei tanti comitati ed associazioni oggidì presenti, rinforzati da un’unica volontà di cambiamento, che porti ad un movimento in grado di orientare e dar voce alla gente, sotto l’insegna di un denominatore comune. Speranze, illusioni? Una cosa è certa: il malessere della gente è oggidì sempre più tangibile, lasciando presagire l’ora in cui tutti i nodi verranno al pettine. Per questo, credere di sfuggire alla realtà, rifugiandosi nel tram tram della politica nostrana, sempre più lontana dal sentire della gente, è quanto di più illusorio e suicida si possa oggidì fare.