Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La globalizzazione aiuta la catastrofe

La globalizzazione aiuta la catastrofe

di Carlo Grande - 27/10/2010

http://static.blogo.it/ecoblog/JARAWA39_screen.jpg


Ancora una volta, probabilmente, in fatto di tsunami si può dire che la globalizzazione aiuti la catastrofe: come quattro anni fa - anche se grazie al cielo con effetti assai meno dirompenti - l'onda si è abbattuta su coste ampiamente frequentate dai turisti occidentali e dalla popolazione locale, che vive a livello del mare per "sfruttare" (si fa per dire) la loro presenza: con meno sovraffollamento gli effetti sarebbero probabilmente stati minori. Un secolo o due orsono, ad esempio (come è stato detto a proposito della tragedia del 2006), una fitta "barriera" di mangrovie avrebbe inoltre smorzato l'urto, e le eventuali capanne di paglia, a differenza delle strutture di cemento armato, non si sarebbero rivelate trappole mortali.

Ancora: gli "indigeni" non si sarebbero trovati lì. Semplicemente perché, per istinto, in primo luogo avrebbero costruito sulle alture e poi perché al primo cenno del ritirarsi delle acque avrebbero capito - ricordate? - ciò che una bambina inglese di dieci anni, curiosa di fenomeni naturali, aveva capito benissimo: "Che come le acque dell'oceano si ritirano - così aveva scritto Massimo Fini all'epoca - non per una marea conosciuta e periodica, la prima cosa da fare è correre nella direzione opposta con tutto il fiato che si ha in corpo".

Ricordiamo ancora le isole Andamane, arcipelago di piccole isole vicinissime all'epicentro del terremoto-tsunami 2006. Sulla parte, diciamo così, "civilizzata", i morti furono quasi diecimila e i dispersi oltre cinquemila. Sulle isole più piccole delle Andamane, dove vivono popoli cosiddetti "primitivi" (i tedeschi li chiamano "popoli della natura"), tribù che non hanno mai accettato intromissioni, non solo degli occidentali ma anche degli indiani del cui territorio formalmente fanno parte, non ci fu una sola vittima. Investiti dal maremoto con enorme violenza, come disse una responsabile della Croce Rossa, la dottoressa Namita Ali, "Sono stati più furbi dei cosiddetti civilizzati: conoscono l'oceano, non costruiscono le abitazioni sulla spiaggia ma sulle colline". E quelli che stavano sulle rive dell'Oceano appena hanno visto il mare ritirarsi sono scappati sulle alture.

Chi sono dunque i "primitivi"? Loro o quelli che sfruttando la devastante onda del denaro cercheranno di ricostruire, di rimettere tutto "a posto" com'era prima, di ricreare un bel "Paradiso artificiale"?