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Non cala la tensione a Timor Est

di Francesca Lancini - 19/05/2006

 
“A Dili c’è una calma che non dà fiducia”, ci dice il padre salesiano Eligio Locatelli dalla capitale di Timor Est, la più giovane nazione dell’Estremo Oriente che sta vivendo momenti di grande tensione da marzo almeno. “Nella nostra missione ci sono molti più sfollati di una settimana fa, quando ci siamo sentiti per l’ultima volta, perché continua a regnare la paura”. Si teme, infatti, che la situazione precipiti in seguito alla ribellione di un terzo dell’esercito (circa 600 soldati) che il 28 aprile scorso ha provocato scontri in cui sono morte 5 persone e lo sfollamento di 20mila abitanti di Dili verso le campagne. “Anche martedì – continua il missionario bergamasco, che vive nella martoriata ex colonia indonesiana da 32 anni - c’è stato un incidente vicino a Dili con intervento della polizia. Alcuni gruppi volevano impedire il rientro in caserma dei soldati regolari che avevano pattugliato la città per tutto il giorno”.
  Soldati in protesta
Molte armi in giro. La protesta degli ex militari non è finita. Almeno un centinaio rimangono nascosti nelle alture intorno alla capitale, alimentando il timore di un attacco. “Ci sono molte armi in giro e i soldati – licenziati dal governo, dopo un mese di scioperi e proteste contro nepotismo e condizioni di lavoro non soddisfacenti – si rifiutano di dialogare con la Commissione che sta cercando di far luce sulla loro questione”, insiste il religioso. Si attende quindi con ansia l’esito del congresso della maggioranza di governo cominciato ieri e destinato a durare tre giorni. All’interno del Fretilin, infatti, il partito nato dal movimento che ha combattuto contro il dominio indonesiano, è in corso una lotta di potere. I cosiddetti “riformatori”, ovvero gli esponenti più anziani, chiedono le dimissioni del primo ministro Mari Alkatiri perché non sarebbe stato in grado di gestire la rivolta dei seicento e di sanare disoccupazione e povertà. Secondo Vincent Ximenes, membro di una commissione del Fretilin, citato dall’agenzia Afp, la minaccia di ulteriori violenze potrebbe essere scongiurata proprio dalla nomina di nuovi leader.
 
Aspettando il 20 maggio. Altro appuntamento che potrebbe segnare una svolta in questo confuso scenario è il quarto anniversario della proclamazione di indipendenza di Timor Est dall’Indonesia, il 20 maggio prossimo. “Per le celebrazioni dell’anniversario, data la situazione di sfiducia e paura, non è ancora stato fatto alcun programma”, spiega padre Locatelli. “Vediamo cosa succede. Per ora il presidente Xanana Gusmao (ex comandante del Fretilin, ndr.) osserva la situazione, ma verrà il momento di prendere una decisione energica”. Per precauzione l’Australia ha posizionato già dalla scorsa settimana navi da guerra con a bordo 1100 soldati nelle sue acque settentrionali pronte a intervenire qualora lo chiedano Dili e le Nazioni Unite. Anche la Nuova Zelanda invierà soldati se richiesto e intanto sta pianificando l’eventuale evacuazione dei suoi connazionali. In allerta anche il Portogallo, che dominò Timor Est dal Seicento al 1975.
  Bambina rifugiata in una chiesa di Dili
C'è bisogno di aiuti. Nel Paese più povero d’Asia anche gli scambi commerciali sono compromessi. “Il commercio con l’Indonesia, da cui dipendiamo totalmente, è quasi fermo”, dice preoccupato il prete. “Da lì arrivano combustibile e cibo. Il riso che produciamo qui è insufficiente”.  Una situazione precaria che complica le condizioni della popolazione: “Il flusso di sfollati nella nostra scuola continua, in base alle notizie preoccupanti che continuano a circolare. Di sera a donne e bambini si aggiungono anche gli uomini che tornano dal lavoro. La settimana scorsa abbiamo ospitato fino a 8mila persone. C’è bisogno di aiuti, ma il governo ha deciso di non dare più assistenza e non vede di buon occhio l’intervento delle Organizzazioni non governative. Dice che favoriscono questa situazione”. Padre Locatelli si domanda, quindi, cosa sia più giusto fare, mentre si prepara a tre ore di viaggio per tornare nelle campagne, da cui fa spesso la spola verso la capitale.