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Quelle forze dentro e contro la nazione

di Alfredo Musto - 03/11/2010

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Non ci stancheremo mai di ribadire, con riferimenti e analisi, quanto il 1992 e i suoi sviluppi costituiscano tutt’oggi una delle fondamentali chiavi di interpretazione e lettura degli scombussolamenti che attraversano il Paese.

L’establishment di potere dominante con la sua accolita di intellighenzia giornalistico-editoriale imperversa, fornendo nella sostanza una narrazione faziosa e artefatta imperniata sulla fenomenologia del berlusconismo. Noi qui abbiamo sempre rigettato questo ritrovato insulso e forzato, in quanto prodotto di una sociologia spicciola elevata a illuminante categoria di analisi politico-filosofica degli anni intercorsi dalla discesa del Cavaliere. In tal senso, la pretesa dello speculare antiberlusconismo, anch’esso frutto della medesima intellighenzia, di fungere da bastione del giusto e del democratico contro l’illegalità e le barbarie è da spazzare via senza tentennamenti.

Praticamente, l’assetto di poteri parassitari – congerie politica, economico-finanziaria e intellettuale – ha elaborato, in chiave analitica, un ennesimo ismo come rilevazione di una presunta concreta  identità politico-sociale ed economica, e un suo anti come presunto agglomerato di forze sane e necessarie al Paese.

Ne deriva una distorta visione dei fatti e dei fenomeni che caratterizzano la nostra storia recente, ad uso e consumo di una data impostazione “ideologica” e dati interessi di controllo e rapina.

Tra i risultati recenti più grossolani di questa mistificazione della realtà ci sono, per esempio, certe letture dell’intreccio mafia-Stato-politica sulla scia di ben comandate “bocche parlanti”, o l’emergere di presunti blocchi legalitari che aspirerebbero a rinnovare la Nazione su nuove fondamenta secondo Morale, Etica e Giustizia. Di fatto, un sovversivismo mascherato da nobili ideali, un schieramento più di pupazzi che pupari, votato a render servizio a chi è impegnato nel perseguimento dei peggiori interessi anti-Stato.

Ebbene, dalle parti del Governo sanno benissimo delle macchinazioni in atto e della loro plurima regia. La schiera dell’antiberlusconismo (il PAB di glg) è semplicemente il codazzo nonché la genìa servile di tale regia.

Il ministro Sacconi ha usato la definizione edulcorata di “borghesie furbette”, alludendo appunto a quelle forze parassitarie ed autoreferenziali che bramano un governo tecnico o giù di lì. Lo ha fatto in risposta all’attacco frontale della Marcegaglia, che ha tranquillamente modo di contare sulla sintonia delle bande finiane e centro-sinistroidi, ormai la vera “destra liberista” (rimanendo a definizioni d’antan), come certificato dall’esperienze governative in stile Prodi, Ciampi e D’Alema.

Su Libero di domenica 31 ottobre, Lodovico Festa, di solito attento ad una lettura degli ultimi due decenni per certi versi convergente con quella che il blog svolge, richiamando alcuni elementi caratterizzanti lo sbandamento del Paese dal ’92, cita dapprima il contesto internazionale: “Nel 1989 cade il Muro di Berlino, nel 1991 si scioglie l’Unione Sovietica. Scompare il quadro internazionale che aveva retto la Prima Repubblica. L’Occidente non ha più bisogno di proteggere l’economia di un’Italia frontiera della guerra fredda, e svaniscono le basi di quel sistema farraginoso di poteri definito da una Costituzione pensata per “evitare” la guerra civile”. Sottolineando come il detonatore sia stato innescato dal ruolo di certa magistratura, rimarca giustamente come poi si sia aperto “un nuovo, lungo 8 settembre, una fase in cui lo Stato tende a scomparire e la politica è movimento non istituzione. In questo quadro Silvio Berlusconi e Umberto Bossi interpretano la vasta area produttiva del Paese (arriveranno ad avere anche l’appoggio di larghi settori di lavoratori dipendenti) ma non riescono a elaborarla compiutamente in termini politico-culturali”. Poi, Festa riporta quelli che giudica dei risultati ottenutisi dal ’94 ad oggi a discapito di determinati obiettivi e poteri. In realtà quest’ultimi, lungi dall’essere stati abbattuti, compongono una costante che, però, ha sempre visto nell’assetto (non ben strutturato) di interessi rappresentati dal centro-destra un ostacolo e per giunta non adeguatamente soppesato, se si considera che la stessa discesa in campo di Berlusconi sia stata la variabile molto probabilmente non calcolata nel progetto Mani Pulite-Britannia.

La sintesi di Festa è comunque interessante per il modo in cui tratteggia l’establishment contrapposto all’asse Berlusconi-Lega e che, ripetiamo, egli considera oltremodo colpito: “cade la centralità di un certo elitismo senza responsabilità di cui è stata espressione massima la Fiat di Paolo Fresco e la cui ideologia è montezemolian-mielista, tramonta il bancocentrismo prodiano, perde energie l’ingegneria partitocratica dalemiana fatta ora di Montepaschi, ora di Unipol, ora di protezione a cordate, ora di liti-accordi (via Pierluigi Bersani) con la lobby debenedettiana”.

Non convince, però, quanto espresso nel passaggio successivo, che è utile riportare in quanto “l’inquadratura sociale” fatta per molti aspetti ha una sua logica (in parte condivisibile): “Una sorta di “resistenza liberal-produttiva” (populista) dà alcuni frutti: la Confindustria risponde agli imprenditori grandi ma anche piccoli e medi, il lavoro autonomo e anche le cooperative rappresentano i loro interessi non più subordinati alla politica, Cisl e Uil sono centrali e i riformisti della Cgil stanno rialzando la testa. Le banche tendono a fare le banche e non le centrali di potere. La Fiat fa automobili invece che politica. Ma tutto ciò non diventa un nuovo stato”.

Cosa lo impedisce?

“A impedirlo c’è innanzitutto l’intreccio tra i poteri occulti della Repubblica (in prima fila settori della magistratura) e la pervasività delle nomenclature […] segmenti di nomenclature (con scarse basi sociali) che cercano di posizionarsi vantaggiosamente”.

Il punto centrale è stato colto.

Le forze opportunistiche e parassitarie del “peggior capitalismo”, inoltre più strumentali e congeniali ai desiderata geopolitico-economici di Washington e che con ambienti atlantici politico-finanziari sono in aperta combutta, stanno dispiegando il loro fuoco incrociato. Bisogna essere ingenui o ottusi per non capirlo ora e per non capire da quanto tempo ciò stia accadendo.

Vogliono le “larghe intese”, la “solidarietà nazionale”. Forme di travestimento della tecnocrazia. Ma per molti conterà solo che B. non ci sia più. Per la “santa causa” della democrazia.