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Perché l'Iraq sta affondando di nuovo

di Gwynne Dyer - 17/11/2010




"Ci sono cose che abbiamo sbagliato in Iraq, ma la causa è eternamente giusta", ha scritto George W. Bush nelle sue recenti memorie. "La regione è più fiduciosa con una giovane democrazia che sta dando un esempio che altri possono seguire".

Nel frattempo, nel mondo reale, la "giovane democrazia" ha finalmente avuto un nuovo Primo Ministro, Nuri al-Maliki. E' lo stesso che era alla guida del passato governo, malgrado tutti i partiti (compresa gran parte del suo) volessero sbarazzarsene dopo le elezioni del marzo scorso. Le rivalità etniche e religiose dell'Iraq sono diventate talmente feroci che non è stato possibile trovare un accordo su una coalizione di partiti nuova e più inclusiva.

Ci sono voluti otto mesi di negoziati tortuosi per arrivare a questo punto, un record mondiale quanto al tempo che è stato necessario dopo un'elezione per creare un nuovo governo. E in realtà l'opera non è ancora conclusa. Maliki adesso ha un mese di tempo per formare un governo, il che significa feroci rivalità fra i partiti e al loro interno per il controllo dei ministeri che sono la fonte principale di ricchezza e potere in Iraq. Anche adesso, l'accordo potrebbe ancora andare a rotoli.

E che dire dei terroristi di al-Qaida i cui presunti legami con il dittatore iracheno Saddam Hussein furono uno dei pretesti di Bush per invadere il Paese nel 2003? (L'altro pretesto erano le presunte "armi di distruzione di massa" di Saddam, ma di questo meno si parla meglio è).

In realtà gli estremisti di Osama bin Laden non avevano alcun legame con Saddam Hussein, né alcuna presenza in Iraq fino al 2003; è stata l'invasione a dare loro un ruolo in quel Paese. E, anche se il desiderio fanatico di al-Qaida di uccidere musulmani sciiti e cristiani, piuttosto che concentrarsi sulle forze di occupazione americane, aveva finito per alienare nei loro confronti persino la minoranza sunnita durante il periodo della "surge" [la strategia irachena dell'allora presidente Usa George W. Bush basata sull'aumento delle truppe NdT] nel 2007-08, anche questo è cambiato.

"Ora sono tornati", ha detto il Generale Hussein Kamal, capo della divisione di intelligence del ministero degli Interni iracheno in un'intervista al Guardian. "E' di nuovo come nel 2004 ....Sono al-Qaida al 100%, non un insieme di gruppi come prima".

Il 2004 fu l'anno in cui l'Iraq iniziò la sua discesa all'inferno. L'invasione aveva ucciso molte persone, ma la resistenza prese il via veramente solo l'anno seguente, quando i musulmani sunniti iniziarono ad attaccare i soldati statunitensi – e i militanti di al-Qaida al loro interno cominciarono anche ad assassinare i musulmani sciiti in quantità industriali.

Ciò innescò la guerra civile fra sciiti e sunniti del 2005-2007, che i sunniti persero in modo decisivo. Così la comunità sunnita si rivoltò contro i combattenti di al-Qaida che l'avevano portata in questo disastro, e ciò a sua volta permise alla "surge" Usa di avere successo per un certo periodo. Tuttavia gli anni successivi hanno visto i sunniti sistematicamente esclusi da qualsiasi quota significativa del potere, e adesso si sta tornando al 2004.

I massacri in Iraq non si erano mai fermati negli ultimi anni, ma adesso stanno di nuovo aumentando rapidamente. Il 31 ottobre uomini armati di al-Qaida hanno fatto irruzione in una chiesa cristiana a Baghdad, uccidendo 58 persone, tra fedeli e ufficiali della sicurezza. Il 2 novembre ci sono state almeno 15 bombe in contemporanea in distretti sciiti della capitale che hanno ucciso un gran numero di persone ferendone centinaia.

Il 10 novembre ci sono state altre 11 bombe, che questa volta avevano come obiettivo i cristiani nelle loro case. Metà della minoranza cristiana dell'Iraq, che un tempo contava 1 milione di persone, è già fuggita dal Paese, e il resto sta pensando seriamente di fare altrettanto. E Ayad Allawi, il cui partito aveva ottenuto la maggioranza del voto sunnita alle elezioni, e ha effettivamente vinto il maggior numero di seggi, è stato efficacemente escluso dal potere da una alleanza fra sciiti e kurdi. Proprio come dopo le precedenti elezioni.

Dal momento in cui George W Bush decise di invadere l'Iraq e rovesciare Saddam Hussein, era certo che il grande vincitore sarebbe stato l'Iran. Quasi due terzi della popolazione irachena, pur essendo arabi, appartengono alla confessione sciita dell'Islam, e l'Iran è la grande potenza sciita. Nel corso degli otto mesi di contrattazioni e ostruzionismo che hanno preceduto l'accordo dell'11 novembre, sia Maliki che Allawi hanno trascorso più tempo a cercare appoggio a Tehran e nelle capitali dei vicini sunniti dell' Iraq a sud che a negoziare con i loro rivali nella stessa Baghdad. Il Paese è diventato una pedina nello scontro fra l'Iran e i Paesi arabi, ma l'Iran è emerso come il chiaro vincitore.

Nel frattempo, può darsi che l'Iraq stia scivolando in un'altra mini-guerra civile, e non c'è motivo di pensare che il livello di corruzione assolutamente sbalorditivo nei ministeri diminuirà. Non ci sono molti Paesi nella regione che vogliano seguire l'esempio dato da questa "giovane democrazia". Stanno solo sperando che lo spargimento di sangue e l'odio non si diffondano.

Gwynne Dyer
è un giornalista indipendente che vive a Londra.


 
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(Traduzione di Ornella Sangiovanni)