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Echi del pensiero di Giordano Bruno in Shakespeare e nella cultura inglese tra 1500 e 1600

di Francesco Lamendola - 25/11/2010

 

Giordano Bruno soggiornò in Inghilterra fra il 1583 e il 1585, al seguito dell’ambasciatore francese Michel de Castelnau.
Fu a Londra e a Oxford, ove cercò invano di ottenere un insegnamento in quella antica e gloriosa università; e sostenne alcune dispute con gli esponenti dell’establishment culturale britannico, i quali non gradirono né il suo copernicanesimo, né il suo citare quasi a memoria Marsilio Ficino, che sembrava loro un plagio bello e buono (ignorando, o fingendo di ignorare, le sue speciali conoscenze nel campo della mnemotecnica lulliana), né - più in generale - la sua personalità, che apparve loro presuntuosa, aggressiva, irriverente della tradizione e viziata da un pesante egocentrismo.
In compenso, durante il soggiorno inglese Bruno pubblicò una splendida serie di dialoghi italiani (mentre prima, in Francia, aveva scritto le sue opere in latino): «La cena de le Ceneri», in cui fece una critica feroce della supponenza, del conservatorismo e della rozzezza dei professori di Oxford), «De la causa, principio e uno», «De l’infinito, universo e mondi», «Spaccio de la bestia trionfante», tutti del 1584; e poi, ancora, «Cabala del cavallo pegaseo con l’aggiunta dell’asino cillenico» e «De gli eroici furori», entrambi nel 1585, prima di tornare a Parigi e, di lì, avviarsi in Germania, per non più fare ritorno in Inghilterra.
Sui trattò, quindi, di un soggiorno abbastanza breve, ma straordinariamente creativo, nel corso del quale il filosofo nolano concepì, scrisse e diede alle stampe alcune delle sue opere migliori e più rappresentative della sua ambiziosa riforma speculativa; un soggiorno che, se non sembrò fare breccia, sul momento, nella cultura inglese che conosceva anch’essa, in quegli anni, un periodo di straordinaria fioritura, in realtà depositò degli stimoli e delle suggestioni destinati a fermentare qualche anno più tardi.
La suggestione della vivace figura di Giordano Bruno e delle sue idee rivoluzionarie rimase impressa più di quel che non sembrasse lì per lì, tanto è vero che se trova un riflesso sia nelle opere di Shakespeare che in quelle di Marlowe, i due massimi esponenti del teatro elisabettiano e due astri di prima grandezza nel panorama letterario inglese.
Né è mancato chi ha supposto che Bruno sia stato un agente segreto al servizio della rete di spionaggio guidata da lord Walsingham; oppure un agente segreto francese al servizio di Enrico III, tramite l’ambasciatore e suo protettore de Castelnau; oppure ancora un agente “doppio”, che fingeva di servire l’Inghilterra per trasmettere, poi, le sue informazioni al governo francese (ma è anche possibile il contrario…).
Insomma, non solo la sua presenza “ufficiale”, nelle vesti di irrequieto filosofo italiano e di frate scomunicato e  in qualche modo inseguito dalla Santa Inquisizione di Roma (benché all’epoca non esistesse un processo aperto a suo carico), ma anche la sua probabile o supposta veste di agente al servizio di qualche rete di spionaggio, non mancarono di accendere la curiosità e di suscitare un forte impatto emotivo, oltre che intellettuale, sui circoli culturali inglesi del penultimo decennio del XVI secolo, per ripercuotersi poi anche negli anni successivi, quando - placatesi le polemiche con il partito “conservatore” di Oxford e valutata con maggiore obiettività la sua filosofia, anche alla luce della sua tragica fine sul rogo, l’eco della sua presenza in terra inglese si fece sentire con forza ancora maggiore.
Sono molte, invero, le domande senza risposta legate al suo soggiorno oltre Manica e sono molti gli aspetti rimasti in ombra di quel biennio così prodigiosamente creativo del suo pensiero, ma anche così poco conosciuto dal punto di vista strettamente biografico (cfr. il nostro recente articolo «Dietro la Scuola della Notte uno dei tanti tenebrosi misteri dell’Inghilterra elisabettiana», apparso sul sito di Arianna Editrice in data 10/11/2010, oltre che su Edicolaweb).
Il rapporto fra Bruno e Shakespeare, del resto, si colora di zone grigie nel già oscuro sfondo della vicenda shakespeariana, che tutt’oggi la cultura inglese “ufficiale” vorrebbe perfettamente chiarita, mentre è vero, al contrario, che su di essa permangono infinite perplessità ed incertezze che pesano come altrettanti macigni.
È certo, comunque, che Shakespeare, o l’autore delle opere che vanno sotto il suo nome, aveva subito una potente influenza da parte del neoplatonismo rinascimentale italiano, come è testimoniato dai significativi riflessi di tale filosofia, sparsi qua e là nel corpus delle sue opere (vedi anche il nostro saggio «Malinconia e platonismo nel “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare», consultabile nei sito di Arianna e di Scribd).
L’influenza esercitata da Bruno sui circoli culturali inglesi più avanzati (senza voler dare a quest’ultimo aggettivo alcun giudizio di valore, ma semmai una sfumatura politica in senso “imperiale” e antispagnolo) è stata efficacemente delineata da uno dei massimi esperti viventi della figura e dell’opera del Nolano, Saverio Ricci, nel suo libro «Giordano Bruno nell’Europa del Cinquecento» (Roma, Salerno Editrice, 2000, pp. 368-372), da cui riportiamo alcuni passaggi-chiave:

«Il primo “Bruno” inglese è quello di astronomi, fisici, matematici, cartografi, esploratori, come Sir Walter Raleigh, che di Percy e di Harriot era intimo, e che interpretava quella vocazione faustiana alla ricerca e all’impresa “eroica” che Bruno aveva esaltato nei “Furori”, e che animava, a parte le motivazioni politico.-economiche, l’incipiente espansione degli Inglesi nel Nuovo Mondo, in competizione con la Spagna. Nell’anno in cui Bruno pubblicò lo “Spaccio”, Raleigh procurava alla regina Elisabetta la sua prima colonia d’oltremare, la Virginia, di cui Harriot avrebbe prodotto una avvincente descrizione. Tutti uomini, Harriot, Percy, Raleigh, Hill, tra l’altro, dalla religione “non commendabile”, come aveva detto di Bruno, alla vigilia del suo transito in Inghilterra, l’ambasciatore Cobham. Accuse di miscredenza o di ateismo, o ancora, all’opposto, come proprio nel caso di Bruno, di cripto-cattolicesimo, segnarono le biografie di tutti questi personaggi, ravagliate da insolenze popolari, processi e persecuzioni.
Il Bruno dei “Furori”, critico di un petrarchismo esangue e sollecitatore dell’eroismo della conoscenza, e quello dell’”Infinito”, che conduceva l’eliocentrismo ad ancor più rivoluzionarie costruzioni, influenzò la prima generazione dei suoi letori inglesi. Il Bruno dello “Spaccio”, il cui significato anti-protestante non fu percepito così distintamente quanto la sua più generale polemica anticristiana e contro ogni tipo di rivelazione, diventerà celebre solo al principio del Settecento, grazie alla riscoperta che ne fece John Toland, e alla moda libertina tanto diffusa nell’alta società britannica, così che qualche rara copia del’opera fu battuta a prezzi anche clamorosi nelle aste librarie di Londra, con scandalo dei benpensanti; nel 1713, una versione inglese dall’assai incerto e dibattuto autore vide infine la luce: la “Exposition of the triumphant Beast”. L’intensa ammirazione di Toland per Bruno e la diffusione che dei pochi dati biografici allora disponibili e della sua filosofia egli promosse negli ambienti dei “free thinking”, ma anche fuori d’Inghilterra, oltre a interessare la storia della scienza, per l’uso che Toland fece della concezione bruniana della materia nella sua critica del newtonismo, avevano anche qualche intenzione politica:  il Nolano - sempre per merito di Toland - si troverà così adoperato da repubblicani, “whigs” radicali e fautori di intransigenti alleanze anticattoliche, e citato con riprovazione nelle dure polemiche di scienziati newtoniani e teologi anglicani contro atei, materialisti, spinozisti, liberi pensatori.
Bruno aveva augurato all’Inghilterra quell’impero universale che Raleiggh contribuiva a costruire, e l’astrologica magniloquenza del finale filo-enriciano dello “Spaccio” conobbe, nel 1633, una sorta di traduzione o inversione filo-stuartiana: il commediografo Thomas Carew ispirò a quella e ad altre pagine dell’opera di Bruno l’enfatica rappresentazione della monarchia inglese nel “masque” di corte “Coelum Britannicum”. Ma sul piano letterario, la fortuna inglese di Bruno ha offerto anche maggiori sollecitazioni. Il problema di una personale conoscenza e di un rapporto tra Bruno e Marlowe (mediato forse da Raleigh e Percy), e tra Bruno e Shakespeare (attraverso, eventualmente, John Florio), posto dalle molteplici assonanze o echi del Nolano, del suo carattere e del suo pensiero, con personaggi o in situazioni create da quei due grandi interpreti dell’anima umana e della cultura inglese, ha meritato, dall’epoca romantica in avanti, una eccezionale attenzione.
Non è solo questione se il “Berowne” delle “Pene d’amor perdute” (1598), cortigiano vivace e inquietante di un “re di Navarra”, sia nessun altro se non Giordano Bruno (a quell’epoca nelle carceri dell’Inquisizione), evocato in una commedia scritta sullo sfondo di una rinnovata amicizia franco-inglese e rappresentata a corte nell’anno dell’editto di Nantes, con cui Enrico IV garantiva tolleranza ai protestanti del suo regno; o se Bruno, John Dee e Shakespeare siano riconducibili alla stessa atmosfera ermetica. È un complesso di motivi “nolani” che emerge in un’opera centrale quale “Antonio e Cleopatra”, in cui esoterismo “egiziano” e immagine copernicana del mondo costituiscono uno straordinario intreccio. Bruno sembra aver colpito l’immaginazione, quale riottoso e turbolento spirito, irriducibile a tutte le “leggi”, non solo a quella che lo portò sul rogo, e come profeta di un nuovo “cielo”, sia morale che fisico. Il “furore eroico” riecheggia forse nella lettura marloviana del mito di Faust; mentre sulla scena di “Antonio e Cleopatra” si pretende che l’universo sia tanto infinito quanto l’amore fra i due eroi.
La postuma attrazione esercitata da Bruno  sulla vita intellettuale inglese fu dunque superiore alle fiere resistenze offerte dai Nundini e dai Torquati delle accademie elisabettiane. Tanto superiore che nella cultura inglese il Bruno storico non è mai bastato. Non è bastato credere che Bruno potesse stare nella piccola corte londinese del Castelanu solo come il suo “gentiluomo”, con mansioni di rappresentanza, oltre che di generico decoro letterario e scientifica, benché questo rientrasse nella prassi ordinaria del tempo. La tesi che Bruno fosse, in quell’ambasciata, agente segreto e informatore prezzolato del Segretario di Stato Walsingham, ha fatto qualche rumore, è stata respinta dagli specialisti, ed è stata sensibilmente ridimensionata dal suo steso autore, pur conservando motivi di fascino ed essendo feconda di nuovi dubbi e quesiti. È destino del “Bruno inglese” essere qualcosa di più che “Bruno, filosofo Nolano”: fondatore  di occulte conventicole premassoniche, per John Toland; riformatore religioso, agente di Enrico III e mago ermetico per Frances Yates; spia di Walsingham, per John Bossy, che peraltro non risolve persuasivamente l’obiettivo contrasto tra l’accesa, pubblica polemica anti-protestante di Bruno (che non può risolversi in cortina fumogena o ridursi a polemica solo “teologica”, e non anche “politica”), e il suo segreto operato di “intelligence” al servizio di un esponente puritano, fosse pure per il bene di una sovrana tanto ammirata quanto Elisabetta.»
Tornare nel dettaglio sulla tesi di Bossy non si può. Che Bruno fosse l’unico sacerdote nella casa di Castelnau, che avesse deciso fosse tentato a esercitare - benché scomunicato - il sacro ministerro per i suoi ospiti, che accogliesse nel riserbo del sacramento, per poi divulgarne i contenuti al governo inglese, le confessioni di congiurati spagnoli, che ascoltasse e annotasse i colloqui tra l’ambasciatore e i suoi amici stuartisti, che siano davvero sue le diverse grafie e suo il traballante francese in cu sono scritte le missive segrete che da quella casa partivano per giungere al tavolo di Walsingham, non può essere - insieme a tanto altro ancora - qui di nuovo riesaminato e contestato. Semmai, si può paradossalmente osservare che nessuno pseudonimo da spia che Bruno avrebbe scelto, creando il suo alter ego “Henry Fagot” (questa la firma che chiude i messaggi individuati e analizzati da Bossy) potrebbe meglio segnalare l’identità di Bruno.»

Anche se - giova ripeterlo - davvero molte sono le cose che non sappiamo e che ci restano oscure, o quanto meno dubbie, circa la presenza di Bruno in Inghilterra e l’influsso da lui direttamente esercitato sui maggiori esponenti della cultura inglese dell’epoca elisabettiana, è ormai universalmente ammesso che un influsso indiretto vi fu e che dovette essere di notevole intensità, se Shakespeare sentì il bisogno di rappresentare il Nolano in una sua celebre commedia e se il tono generale di un’altra sua notevolissima opera, il dramma «Antonio e Cleopatra» (rappresentato per la prima volta sulle scene nel 1607 o 1608 e stampata solo nel 1623, dunque parecchi anni dopo la morte di Bruno, oltre che dopo la morte dello stesso Shakespeare), riflette chiaramente una visione del reale che può definirsi bruniana, nell’accezione più ampia del termine.
L’ipotesi, poi, che Christopher Marlow abbia composto il suo emblematico «Doctor Faustus» (emblematico di tutta un’epoca e di tutto un certo tipo di umanità, definibile appunto come “faustiana”; «La tragica storia del Dottor Faust», 1590 circa) sotto lo stimolo dello spirito della filosofia bruniana e, forse, sotto la suggestione della sua potente personalità, è ancora più intrigante e, se trovasse elementi oggettivi di conferma, proverebbe definitivamente che il soggiorno inglese del Nolano non fu simile al passaggio di una meteora, che incendia i cieli per un attimo e poi scompare nel buio della notte, ma incendiò con la sua forza incandescente quei circoli culturali che, in un primo momento, erano sembrati abbastanza freddi davanti al suo messaggio, se non addirittura ipercritici e apertamente ostili.
Ma così è del messaggio di tutti i grandi: sul momento sembra destinato a cadere nel vuoto; ma solo sul lungo periodo se ne possono misurare equamente la reale portata e l’influsso durevole esercitato sulla storia del pensiero.