Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Gli artigli della finanza sul clima

Gli artigli della finanza sul clima

di Antonio Marafioti - 01/12/2010





Elena Gerebizza, specialista di finanza per lo sviluppo per la Campagna per la riforma della Banca Mondiale, spiega a PeaceReporter perchè il protocollo di Kyoto non ha funzionato e quali dovrebbe essere la strada da seguire a Cancun.

"Tenteremo di ottenere un pacchetto equilibrato". Nelle parole di Connie Hedegaard, commissario Ue per il clima, c'è abbastanza realismo per capire che a Cancun le sorprese saranno poche. A stento l'Ue riuscirà a racimolare la quota 2010 per il "fast start": gli aiuti comunitari ai paesi in via di Sviluppo, e i singoli Stati continuano a spingere per un maggiore coinvolgimento della finanza privata. A quanto pare la comunità internazionale potrebbe presto smarcarsi dalla lotta contro il riscaldamento globale e permettere che su di essa continui una speculazione finanziaria vecchia di 15 anni. PeaceReporter ha intervistato Elena Gerebizza, specialista di finanza per lo sviluppo per la Campagna per la riforma della Banca Mondiale.

A quanto pare la prima notizia uscita dalla giornata inaugurale del vertice, è quella sull'austerity, che da oggi dovrà applicarsi anche alla lotta contro il global warming.

Per quanto riguarda i cambiamenti climatici si dice già da molto tempo che che non ci sono i fondi. La realtà è che manca ancora, ed è mancata anche l'anno scorso a Copenaghen, la volontà politica di trovare una soluzione accettabile per tutti i governi, sia per quelli dei Paesi sviluppati che quelli in via di sviluppo che poi sono quelli che soffrono di più gli impatti e hanno bisogno dei finanziamenti per fare gli interventi necessari alla loro salvaguardia.

Il commissario Connie Hedegaard ha sostenuto che si possono raccogliere i 7,2 miliardi di euro per il pacchetto "fast start" ma che mancano ancora 200 milioni per la manovra 2010. Manca l'impegno economico degli Stati?

Attorno alla questione finanziaria si snodano tutte le altre questioni discusse al negoziato. Fino a che non si troverà un accordo su tutte le altre parti, inclusa la riduzione delle emissioni interne, nessuno metterà i soldi sul tavolo. Inoltre, ieri, si è annunciato che si parlerà dopo Cancun del come generare le risorse fiscali necessarie. Questo significa che manca la volontà di affrontare il problema; è vero che servono quantità di denaro mai viste prima, cifre che viaggiano sulle centinaia di miliardi di euro all'anno e che sono più di dieci volte superiori a quelle destinate all'aiuto pubblico allo sviluppo, però non è vero che non è possibile trovare la maniera di generarle, e di farlo da risorse pubbliche.

Invece c'è chi azzarda con maggiore insistenza la necessità di coinvolgere la finanza privata nella battaglia per il clima. È una strada percorribile?

Questa è la strada su cui spingono i governi europei, gli Stati Uniti e istituzioni internazionali come la Banca Mondiale. È ancora un quesito irrisolto: quello che, ad oggi, si sa è che il mercato dei crediti di carbonio, che poi viene visto come la principale fonte di finanza privata e come lo strumento che permetterebbe di trovare gli strumenti necessari direttamente sui mercati finanziari, non ha portato ai risultati attesi. Se guardiamo alle riduzioni di emissioni, il risultato è stato negativo, in quanto le emissioni complessive sono aumentate nei quindici anni in cui questo strumento ha iniziato a essere sperimentato e sviluppato. La stessa Banca Mondiale ha ammesso che il Clean Development Mechanism (uno dei due meccanismi flessibili del protocollo di Kyoto) non ha funzionato. Il sistema dovrebbe permettere alle aziende di realizzare progetti al di fuori dei Paesi sviluppati (chiamati annex 1 ndr), e in questa maniera non solo aiutare alla transizione verso un'economia a basse emissioni, ma anche contribuire a raccogliere i finanziamenti necessari a fare questi investimenti.

Invece cosa è accaduto rispetto alla teoria?

Si sono visti, e si vedono, sempre più scandali che riguardano vere e proprie frodi riferite a una compravendita di certificati di riduzione delle emissioni che poi non sono reali. Questo è il terreno più interessante e favorevole per tutti quegli investitori che vogliono fare un profitto facile e a breve termine, senza troppe preoccupazioni. Perché è un mercato ancora non regolamentato, le transazioni avvengono bilateralmente, al di fuori delle regole del mercato. Quindi la percorribilità della strada dipende dalla prospettiva degli attori coinvolti e di ciò che si vuole. Se cerchiamo una soluzione sostenibile che contribuisca realmente a risolvere la questione dei cambiamenti climatici, la risposta è no, se invece parliamo dalla prospettiva degli investitori spregiudicati che cercano solo il profitto, allora il mercato si presenta più interessante.

Cancun potrebbe essere l'occasione per pensare seriamente al post-Kyoto. In questa nuova visione, dovrebbe essere eliminato il meccanismo dei crediti di carbonio?

Sicuramente Cancun deve essere il luogo dove si raggiungerà un accordo sulla seconda fase dell'implementazione del protocollo di Kyoto e speriamo sia anche un momento nel quale si faccia un passo in avanti anche sull'accordo globale che i governi stanno cercando di raggiungere da un po'. La critica della società civile sui meccanismi flessibili, introdotti nel protocollo di Kyoto, è molto forte, quindi se da un lato anche le organizzazioni e la parte più radicale della società civile credono che si debba passare a una seconda fase di implementazione, la richiesta è anche che vengano tolti i meccanismi flessibili, proprio perché non hanno portato a un valore aggiunto, sia rispetto ai finanziamenti, che rispetto alla riduzione di emissioni. Inoltre, sempre più progetti collegati al mercato dei crediti di carbonio, come quello sulle foreste, hanno portato a violazioni di diritti umani. Le comunità indigene non sono mai state consultate. Non sono progetti pensati per migliorare la qualità della vita di chi vive sul territorio dove vengono realizzati, ma solamente per creare sulla carta queste riduzioni di emissioni che, poi, vengono comprate e vendute un numero infinito di volte sui mercati finanziari a puri fini speculativi.