Alla radice del degrado
di Luciano Fuschini - 20/12/2010
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Parlare  di crisi della famiglia in Occidente è ormai una costatazione ovvia.  Più che di crisi si dovrebbe parlare di necrosi in stato avanzato.  Troppo facile attribuirne le cause alla latitanza e alla  deresponsabilizzazione del maschio, come al rivendicazionismo  femminista. Scagliarsi accuse reciproche fino a creare un clima di  guerra fra i sessi sarebbe la manifestazione estrema dell’abbrutimento  di quella che fu una grande civiltà. Le cause profonde vanno ben oltre  gli ultimi 40 anni segnati dal rifiuto femminista di caricare sulle  donne tutto il peso di una famiglia diventata nucleare, non più  confortate dall’apporto di parenti e vicinato ma lasciate sole a gestire  i carichi di lavoro e le tensioni di una vita snervante.
Le  società premoderne erano comunità organiche, in cui ogni persona era  saldamente inserita in famiglie allargate fino a costituire veri e  propri clan, in corporazioni, in ceti, in associazioni laiche o  religiose, con le loro regole, i loro vincoli, le loro solidarietà e  responsabilità. Il tutto ancorato a un asse spirituale, a un complesso  di valori indiscussi, a una temperie culturale che permeava di sè  l’intero corpo sociale. Questo tipo di civiltà è stato demolito a  partire da quel Rinascimento che si è configurato come Umanesimo  integrale (c’è anche un Rinascimento “magico” che non smarrì il senso  della trascendenza e del mistero). Allora si instaurò  quell’individualismo che ebbe una potente conferma nella Riforma  protestante. La religione diventava un fatto di coscienza, da vivere nel  proprio intimo, non più rito condiviso che esige la mediazione di  custodi del sacro ma esperienza strettamente individuale. Nel calvinismo  addirittura il successo personale negli affari diventa un segno  dell’elezione divina. Il processo di disintegrazione del sociale a  vantaggio dell’individuale si accompagna a un materialismo che trova  espressione compiuta con l’Illuminismo e tutti gli –ismi successivi:  marxismo, positivismo, evoluzionismo, psicologismo, storicismo,  relativismo. 
Quella colossale svolta storica, che ha a che fare più con la metafisica misteriosa di una legge ciclica che muove le leve profonde della storia  che con la sociologia, ha progressivamente introdotto l’uomo  occidentale nella fase del declino inesorabile del suo ciclo vitale. E  il segno tangibile della decadenza spirituale è proprio il progressivo  sfaldamento delle strutture comunitarie, dal quale sfaldamento la  famiglia non poteva sfuggire. A ciò si aggiungano le motivazioni più  contingenti su cui può far luce la sociologia. La libertà di cui tanto  si vanta il liberal-capitalismo non è altro che l’esigenza di trasformare la persona incardinata in una comunità nell’individuo-consumatore,  senza più radici, senza memoria storica né progettualità condivisa  socialmente; l’individuo disancorato, viaggiatore, curioso di esperire  ogni sensazione, obbligato a soddisfare bisogni indotti ma da lui  sentiti come autonomi. Questa è la moderna libertà del capitale, nella  dittatura dei mercanti e degli usurai. In questo quadro la famiglia  tradizionale non poteva sopravvivere. Quella famiglia significava  radicamento, culto delle tradizioni, rispetto dei riti. Non era un Eden,  ben inteso. Era anche luogo di sopraffazioni, di violenze, di fedeltà  più esibite che sentite, ma era comunque la base salda su cui poggiava  tutto il vivere civile. Era anche soggetto economico,  di un’economia basata sul risparmio, l’autoproduzione e l’autoconsumo,  il riciclaggio. Allora risulta perfettamente comprensibile che una  simile istituzione non potesse convivere con la logica del capitalismo e  dell’industrialismo. Quella logica ha demolito la famiglia, non i  girotondi zingareschi delle femministe. 
La  famiglia antica era anche produttrice di servizi, dall’assistenza degli  anziani all’educazione dei piccoli. I moderni Stati accentratori non  potevano tollerare che tanta parte della comunità fosse sottratta  al loro controllo. La scuola pubblica, la pubblica assistenza, la  medicalizzazione di tutta la vita del singolo, strumenti di controllo ossessivo e totalitario,  dovevano passare attraverso la dissoluzione della famiglia e la  riduzione della persona a individuo disintegrato e sradicato. Il  femminismo ha involontariamente agevolato un processo che comunque  sarebbe pervenuto agli stessi risultati. Non si deve pensare che il  fenomeno femminista sia stato creato ad arte dai Poteri interessati alla  distruzione del comunitarismo a favore dell’individualismo. Pensarlo  sarebbe soltanto complottismo ingenuo. Le cose non funzionano così. Non  ci sono organizzazioni occulte onnipotenti che creano e manipolano i  movimenti sociali come burattinai che muovono i fili. Ci sono invece  forze profonde che mettono in moto fenomeni che quei Poteri sanno  gestire e convogliare secondo i loro interessi. 
Quando  si discute di questi temi e si punta il dito contro i presunti  responsabili del panorama di rovine in cui ci muoviamo, troppo spesso si  confondono il sintomo e l’effetto con la causa profonda. La causa  profonda della distruzione della famiglia non è il femminismo, come la  causa profonda della putrefazione della civiltà occidentale non è  l’immigrazione. Quando le società sono vitali, quando hanno una coesione  interna e un asse spirituale che le sorregge, assorbono e integrano  anche flussi migratori più imponenti di quello attuale. Le migrazioni  recenti sono devastanti perché investono un tessuto sociale già  lacerato. Sono, come il femminismo, sintomo e non causa.
Concludendo, la fine della famiglia si inquadra nel mistero della legge della decadenza ciclica, per cui inesorabilmente civiltà vitali progressivamente smarriscono quel centro spirituale  che dava loro una Forma e precipitano nella disgregazione,  nell’individualismo, nella perdita di senso e di slancio verso una  trascendenza. A questa tendenza epocale si aggiungono motivazioni più  contingenti, quelle legate agli interessi della modernità capitalista e  della speculazione finanziaria. A queste ultime cause può porre rimedio  un rivolgimento politico, che aspettiamo con un’ansia spasmodica. Ma la  causa più profonda è fuori dal nostro raggio d’azione. Non saranno i  nostri appelli e le nostre analisi a ricostituire quel centro vitale,  quella spiritualità che possa far scaturire un nuovo comunitarismo. La  maledizione è stata scagliata e nessuno riuscirà a sottrarci al nostro  destino. Tuttavia chi ha vista ancora acuta ha l’obbligo morale di  proclamare una verità che induca a spingere lo sguardo alle scaturigini  del nostro degrado, più lontane e più profonde di quanto non dica la  chiacchiera dei mercati.

