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Sorpresa, siamo più ricchi di quanto ci immaginiamo

di Marcello Foa - 21/12/2010


Ma guarda un po’: gli italiani sono tra i più ricchi del mondo, eppure sono tra i meno indebitati, privatamente, e con una distribuzione delle proprietà tra le famiglie molto agiate e quelle molto povere tutto sommato accettabile. È il ritratto di un Paese evoluto, ben equilibrato, agiato, tutto sommato felice che trova nel privato, nella famiglia, nel piccolo la sua dimensione vincente.
E la disoccupazione? E la crisi? E il debito pubblico? Nessuno li nega (...)
(...) e non possono essere certo sottovalutati, ma per capire quale sia la realtà economica dell’Italia, non ci si può limitare sempre ai parametri di Maastricht, come se fossero criteri divini e che invece infallibili non sono. Li pretese la Germania di Kohl in cambio del via libera alla moneta unica, ma in modo arbitrario. È come se acquistando un’auto si valutassero solo i freni, la frizione, il circuito elettrico e la carrozzeria. Ma non il motore, né il cambio, né gli pneumatici, né lo sterzo.
Il bollettino statistico di Bankitalia, riferito al periodo 2008-2009, permette di equilibrare, finalmente, il quadro, evidenziando anche le luci e non solo le ombre della nostra situazione finanziaria.
Innanzitutto: la ricchezza netta mondiale delle famiglie ammonterebbe a circa 160mila miliardi di euro, di cui il 5,7% posseduto dagli italiani. «Tale quota appare particolarmente elevata se si considera che l’Italia rappresenta poco oltre il 3% del Pil mondiale e meno dell’1% della popolazione del pianeta», chiosano gli esperti di Palazzo Koch. Insomma, i patrimoni privati valgono quasi il doppio del Prodotto interno loro annuale, proiettandoci nella top-ten dei Paesi più facoltosi al mondo. Il 60% dei nostri nuclei familiari possiede una ricchezza netta superiore a quella del 90% delle famiglie di tutto il mondo; quasi tutti gli italiani sono più agiati del 60% delle famiglie dell’intero pianeta.
Ma come investiamo i risparmi? Nessuna sorpresa: molto mattone e parecchia liquidità, mentre prevale la diffidenza nei confronti delle azioni, come potete leggere qui a fianco. Tra l’altro: rispetto alla crisi finanziaria, esplosa con il fallimento della Lehman nel settembre del 2008, la ricchezza complessiva è aumentata dell’1,1%, ovvero: le perdite provocate dal grande crash di due anni fa sono già state riassorbite. E anche questo è un segnale di stabilità, ancor più evidente se si considerano i debiti privati.
Da tempo l’economista Marco Fortis sostiene che, paragonando l’insieme delle passività (pubbliche e private) alla ricchezza complessiva, l’Italia è solida quasi quanto la Germania e alla pari con la Francia. Il bollettino di Bankitalia corrobora questo quadro. Anzi, l’ammontare dei debiti risulta pari al 78% del reddito disponibile, il valore più basso tra i Paesi industrializzati. Siamo i primi della classe, davanti all’ammiratissima Germania, dove la percentuale è del 100%, come in Francia, distaccando Usa e Giappone (130%) e con la Gran Bretagna che tocca addirittura il 180%.
E da quali voci è composto il debito privato? Detto in altri termini: gli italiani si indebitano per andare in vacanza, far la spesa, comprare lavatrici, auto, usando le diaboliche carte revolving o lasciandosi tentare dal credito al consumo? Nossignori. L’Italia - per fortuna - non è l’America. Paghiamo soprattutto per i mutui (40% dei debiti totali), che però riguardano solo una piccola parte degli immobili comprati nel nostro Paese. Già, perché la maggior parte dei proprietari ha già finito di rimborsare i mutui e sono proprietari a tutti gli effetti.

E quando fanno compere, come in questi giorni, usano perlopiù soldi propri, veri, disponibili, già guadagnati, mentre solo in minima parte (12% del totale) contraggono debiti al consumo. Spagnoli, irlandesi, americani e inglesi ci invidiano.
Da noi la classe media non è ancora estinta, come dimostrano i dati sulla concentrazione dei patrimoni. Pochi hanno tanto, tanti hanno poco? In apparenza sì: il 10% delle famiglie più facoltose possiede circa il 45% della ricchezza complessiva, mentre la metà più povera controlla il 10% degli asset privati. Eppure, se confrontiamo l’Italia alla Gran Bretagna che per 13 anni è stata laburista e all’America progressista di Obama, dove il 10% delle famiglie più agiate possiede non il 45% né il 60%, ma addirittura il 70% della ricchezza nazionale, lo squilibrio italiano risulta ragionevole e compensato da un altro dato: il 40% della popolazione possiede il 45% della ricchezza nazionale. Insomma, quattro italiani su dieci vivono in uno stato di ragionevole agiatezza; borghesia vera, all’antica, che la globalizzazione non ha spazzato via.
Non ancora perlomeno. Ieri è suonato un primo campanello d’allarme. Nel primo semestre 2010 la ricchezza è calata dello 0,3%. Un dato irrisorio, ma non trascurabile. Segnala che il Paese non può vivere di rendita e che pertanto, se si vogliono mantenere questi livelli di benessere, bisogna far crescere l’economia reale e produrre ricchezza, anziché limitarsi a possederla. Un’arte in cui, finora, abbiamo saputo eccellere.