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Un Medioevo senza l’idea di denaro

di Giuseppe Galasso - 04/01/2011

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Il recente lavoro di Jacques Le Goff (Lo sterco del diavolo. Il denaro nel Medioevo, Laterza editore, pagine 236, e 18) è di quelli che avvincono anche il lettore più esperto. Vi si afferma, senz’altro, «l’assenza di un concetto medievale di denaro» ; e, per di più, la si mette in rapporto «con la mancanza non solo di un ambito economico specifico, ma anche di vere teorie economiche» . Dire il contrario è «un anacronismo» . E ciò in una visione generale per cui «nella maggior parte della vita individuale e collettiva uomini e donne del Medioevo si comportano in modi che li rendono ai nostri occhi degli estranei» . Nel caso del denaro l’ «esotismo del Medioevo» è «particolarmente forte» e, per capirlo, lo storico deve ricorrere «alla luce dell’antropologia» . Non che il denaro non vi fosse. Anzi, vi è una «pluralità delle monete» , e una loro «grande varietà e dinamismo» . Solo, però, dal 1100 in poi vi è un’effettiva «diffusione del denaro» , e la moneta accompagna «l’evoluzione della vita sociale nel suo insieme» ; e solo ancora più tardi, dal 1300, vi sono «metodi di pagamento alternativi» al contante. L’impulso viene dai mercanti, ma anche dalla Chiesa, che sembra voler «aiutare gli uomini del Medioevo a salvaguardare nello stesso tempo la borsa e la vita» , cioè «la ricchezza terrena e la salvezza eterna» . Per Le Goff, però, si rimane, con ciò, ancora in un’ «economia del dono» . Resta «la subordinazione delle attività umane alla grazia di Dio» anche per il denaro. Lo stesso «uso "laico"del denaro» è «condizionato da due concezioni specificamente medievali: l’aspirazione alla giustizia, che si ripercuote nella teoria del giusto prezzo, e l’esigenza spirituale della caritas» . Come sempre in Le Goff, a questo si arriva attraverso un racconto profondamente coinvolgente, che sa narrare e valutare, insieme, ciò di cui parla, ed è guidato da una rara competenza medievistica (fonti e bibliografia). Né la sua era un’impresa facile, se si pensa che in fatto di monete il Medioevo, oltre tutto, registrava spesso nelle sue contabilità valori relativi solo a monete di conto, non a denaro circolante. Si può, tuttavia, accogliere in tutto e per tutto la sua negazione di un’idea e di una prassi del denaro nel Medioevo? Si credeva un tempo che l’economia del Medioevo fosse tutta e soltanto «naturale» , cioè fondata sullo scambio di beni e di servizi. Le Goff è più sottile. Pensa non tanto alla presenza e all’uso materiale quanto all’idea del denaro, che per lui esula dall’orizzonte mentale del Medioevo, e quando vi si introduce, dal 1100 in poi, la concezione negativa che se ne aveva toglie senso alla sua rinnovata presenza. Altro che capitalismo o precapitalismo! Al Medioevo ne manca ogni presupposto. Perfino il mercato della terra attiene all’ «economia del dono» anche quando la moneta ritorna nell’uso corrente. Anzi, «soggiace al ruolo dominante che in tale economia è proprio della caritas, principio morale da cui il dono deriva, e continua ad assicurare la centralità della Chiesa nella vita sociale» . Eppure, c’è qualcosa in queste pagine mirabili che rende perplessi. Economia del dono o, piuttosto, del baratto? Assenza di mercato della terra anche se i valori di scambio delle proprietà, comunque espressi, mostrano fasi alterne di aumento o di ribasso? Ancora tutta fondata sulla caritas e sull’economia del dono e dei suoi presupposti etico-religiosi quella delle grandi compagnie dei finanziatori dei re d’Inghilterra o quella dei Medici, che stendono le loro agenzie in tutto l’Occidente? Ed è un’economia ancora del tutto medievale quella che inventa la partita doppia (base del moderno calcolo dei profitti e delle perdite), la cambiale e le sue girate, il deposito bancario o il conto corrente? E anche nell’alto Medioevo o nel feudalesimo l’assenza della «merce denaro» implica l’assenza delle logiche connesse a quella merce? In altri termini, non occorre il denaro perché sia presente e agisca la logica sulla quale il denaro stesso si fonda e opera; e pensare a un’umanità, un tempo, un mondo, in cui non vi siano l’economia e il relativo pensare e agire può essere un’astrazione analoga agli anacronismi a ragione deprecati da Le Goff. Queste perplessità non vogliono, però, proporre alternative alla rappresentazione forte ed elegante di fenomeni complessi e di mille anni di storia europea dataci da Le Goff. È utile, certo, che l’antropologia e altre scienze sociali (la psicologia, in specie) aiutino a chiarire le cose, ma più certo è poi che solo la ragione storica può dominare il passato con la forza della sua logica, che lega la storia e la vita in un nesso indissolubile, e per la quale diventa piano e concreto che possono valere, per la stessa cosa, più verità.