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Da saperi e lavoro una proposta per la riconversione ecologica

di Guido Viale - Lorenzo Zamponi - 30/01/2011




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Le mobilitazioni di questi mesi, dal 16 ottobre in poi, sembrano aver costruito un ragionamento unitario in grado di tenere insieme le lotte dei lavoratori, degli studenti, dei movimenti in difesa del territorio, in un quadro di resistenza alla crisi e costruzione dell’alternativa. Cosa lega, oggi, il tema del lavoro a quelli dei saperi e dei beni comuni?
Il discorso comune si costruisce, secondo me, su una prospettiva di cambiamento radicale non solo dei rapporti di forza all’interno dei luoghi di lavoro e nell’esercizio dei diritti che sono minacciati, ma anche nella definizione di una prospettiva di cambiamento dei consumi che metta al centro la condivisione dei consumi, della gestione dei beni comuni, delle decisioni e degli orientamenti produttivi. Questo è particolarmente importante in questo periodo, perché la stretta cui sono stati sottoposti gli operai della Fiat è innanzitutto la risultante di una crisi non soltando dell’azienda ma dell’intero settore automobilistico e, più in generale, di un sistema economico planetario che si regge su una competitività sempre più forte, in cui i lavoratori hanno solo da perdere, combattendosi a vicenda per far prevalere la loro azienda, e niente da guadagnare.


La crisi che abbiamo di fronte è anche e soprattutto una crisi energetica e climatica, e ci pone drammaticamente la questione della riconversione ambientale della nostra economia. Eppure quando parliamo di riconversione, nel discorso pubblico, viene in mente prima di tutto la green economy, che da molti è considerata una strategia per sopravvivere alla crisi, destinata a costare molto in termini sociali e di occupazione.
Questa a me sembra una mitologia metropolitana, perché in realtà il mondo industriale e i governi che lo rappresentano non stanno facendo assolutamente niente di serio per prevenire il rischio mortale che l’umanità sta correndo a causa dei cambiamenti climatici. Ma poi il problema è invece che la crisi attuale, alla Fiat come in altri settori, ha messo finalmente in evidenza lo strettissimo nesso tra questione ambientale e questione del lavoro e dell’occupazione. Per la prima volta il mondo del lavoro comincia a rendersi conto che non c’è possibilità di salvaguardare e di promuovere i diritti e le condizioni di vita senza una prospettiva di riconversione produttiva sostenibile. Contemporaneamente, il mondo ambientalista, che ha sempre parlato delle cose che bisogna fare per salvare il pianeta, senza occuparsi seriamente delle conseguenze che queste proposte possono avere sulla condizione di vita e di lavoro dei lavoratori, invece, sta comprendendo che o si affronta questo problema oppure di lì non si passa.
 
Quali sono gli attori che possono portare avanti questo processo, creando una relazione virtuosa tra lavoratori, territorio e istituzioni?
Oltre ai soggetti che già si sono mossi e che sono stati promotori del seminario di Mestre di Uniti contro la crisi, è necessario allargare il più possibile a tutto il territorio e alle soggettività che lavorano sul territorio il coinvolgimento in questi processi. E poi ci sono due attori assolutamente essenziali: i primi sono le amministrazioni locali, o certi segmenti del governo locale, e poi, siccome molte cose si può procedere a farla, in maniera esemplare e dimostrativa, e non semplicemente a rivendicarle, a chiederle o a proporle, è necessario che a farle ci siano delle strutture operative, cioè delle imprese, sia private che pubbliche, sia cooperative che individuali, sia sociali che non sociali. L’esempio maggiore è rappresentato dai G.A.S., associazioni di cittadini che si uniscono per saltare l’intermediazione commerciale: se non ci fossero imprese che rispondono a questa sollecitazione, adattandosi alle richieste di questi cittadini e condividendo un percorso comune, il progetto non avrebbe corso.
 
Ma ci sono gli interlocutori per una prospettiva di questo tipo, oggi, nel mondo dell’impresa?
Sì, sicuramente ci sono. Il problema è saper prospettare loro delle iniziative concrete. Ovviamente si tratta meno di grandi gruppi, quelli che invece vengono spesso indicati come quelli che hanno più iniziativa nel campo della green economy, e che invece che non stanno facendo niente, mentre invece c’è una quantità enorme di imprese piccole e medie, e soprattutto potenzialità di imprese cooperative, sociali, ecc., che sono alla canna del gas, che in questo sistema non hanno più una prospettiva e che accetterebbero volentieri delle indicazioni se fossero concrete, per dare luogo, almeno al loro interno, a processi di innovazione.
 
Qual è il ruolo della formazione, di scuola, università e ricerca, in questo processo, come possibile strumento dell’innovazione?
È essenziale. Tutto quanto il processo di possibile riconversione si lega all’innesto dentro all’organizzazione del lavoro attuale di dosi e quantità di saperi, sia tecnico che di carattere sociale e organizzativo molto più massicce di quelle che vengono assorbite adesso. Quindi in questo processo un ruolo straordinario ce l’ha il movimento degli studenti a tutti i livelli, dalle scuole secondarie all’università alla ricerca, ed è di lì che possono sorgere i saperi se questo mondo ha la capacità e la prospettiva di confrontarsi con le esigenze dei lavoratori che sono direttamente impegnati nei processi lavorativi delle loro aziende. Questo è il pilastro e il perno di una possibile riforma della scuola e dell’università che riguardi non solo la sua organizzazione formale e il suo finanziamento, cose importantissime e che sono oggi al centro dell’attenzione, ma anche i contenuti dei saperi che vengono elaborati e trasmessi nell’università e nella scuola.