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Nassiriya, l'umanitario «impossibile»

di Stefano Chiarini - 29/05/2006

 
Il disperato tentativo di continuare a coprire con la presenza della nostra bandiera l'occupazione anglo-americana dell'Iraq ha partorito in questi ultimi mesi di passaggio dal governo Berlusconi a quello Prodi l'incredibile proposta di lasciare a Nassiriya, nella base di Camp Mittica, in pieno deserto, seicento-ottocento militari italiani con la scusa di proteggere una decina di funzionari civili e militari facenti parte di un appena creato «Team di ricostruzione Provinciale» Prt, sul modello di analoghi organismi operanti in Afghanistan. A capo di questa struttura civile-militare che dovrebbe entrare in funzione già dai primi di giugno per poi ereditare la missione in Iraq rinominata «Nuova Babilonia», è stato posto un funzionario del ministero degli esteri Ugo Trojano, già distintosi in Kosovo, il quale sarà coadiuvato da un alto ufficiale italiano e da un «civile» americano. Nei giorni scorsi sono arrivati a «Camp Mittica» altri sette funzionari e tecnici che si dovrebbero occupare della «ricostruzione»

La missione nel suo complesso resterà comunque sotto il comando britannico di Bassora responsabile del sud dell'Iraq. In altri termini non vi sarebbe alcun cambiamento - se non con un ridimensionamento da 1600 a 800 uomini - nel carattere della nostra presenza in Iraq al fianco delle truppe occupanti. Resterebbero inoltre i circa 166 militari italiani presenti nelle strutture di comando delle forze di occupazione a Bassora, nella sede del Comando britannico della divisione multinazionale zona sud-est dal quale dipende l'Italia e a Baghdad presso la sede del comando multinazionale delle Forze in Iraq. Oltre ad alcune decine di infermiere volontarie. Per quanto riguarda la presenza delle truppe a Nassiriya i soldati italiani presenti nella città sull'Eufrate dal luglio del 2003, come recitava il mandato originario, dovrebbero continuare a «concorrere a garantire la cornice di sicurezza per un aiuto effettivo al popolo iracheno», a cominciare dalla sicurezza dei funzionari italiani e dei fantomatici imprenditori che si dovrebbero spingere in quella landa desolata per promuovere il «made in Italy». Oltre a garantire l'addestramento di forze di polizia locali, probabilmente complici non solo di gravi violazioni dei diritti umani ma forse anche del recente attentato costato la vita a tre nostri soldati.

A leggere i proclami su una presunta «riqualificazione civile» della nostra presenza militare sembra quasi che Nassiriya si trovi in un qualche stato del terzo mondo e non in Iraq, un paese con enormi ricchezze petrolifere dove è in corso una devastante occupazione e una diffusa resistenza contro le forze occupanti. Forze occupanti del tutto invise alla popolazione - tranne che ai corrotti governanti locali - oltre che per la loro brutalità anche per non aver fatto fare un solo passo avanti alla ricostruzione. Questa è la situazione nella quale dovrebbero operare le nuove strutture «civili-militari» italiane della Nuova Babilonia. I primi obiettivi dell'operazione sarebbero quelli della costruzione di una sottostazione elettrica e la pavimentazione di cinque chilometri di strade. E che altro potrebbero fare visto che in tre anni non è stato possibile fare alcun intervento strutturale di ricostruzione?

Quello che non è riuscito con 2600 uomini e il controllo diretto dell'amministrazione come potrà essere realizzato ora con soli 800 uomini, una situazione dell'ordine pubblico sempre più deteriorata, una crescente esasperazione della popolazione, una resistenza sempre più forte? Non a caso questi tre anni, sotto i colpi di sanguinosi attacchi, hanno visto il progressivo uscire delle truppe italiane dalla città e dalle zone più a rischio della vasta provincia di Dhi Qar. Ormai i pattugliamenti vengono effettuati quasi esclusivamente lungo la strada verso Kuwait City e verso Baghdad. La nostra presenza infatti è sgradita non solo alla resistenza irachena ma anche ai settori sciiti più radicali - già protagonisti delle due battaglie dei ponti del 2004 - facenti riferimento al leader Moqtada al Sadr per il sostegno da noi dato al governatore Aziz al Ogheli vicino alle posizione dello Sciri, il Partito filo-iraniano non certo molto popolare in città. Tutto il sud dell'Iraq da zona tra le più sicure potrebbe così presto trasformarsi in un vero inferno per i nostri soldati e i nostri funzionari mandati lì per una vera e propria missione impossibile.