Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Corpo a corpo con l’inconscio di Jung

Corpo a corpo con l’inconscio di Jung

di Alessandra Iadicicco - 20/02/2011

http://foto.ilsole24ore.com/SoleOnLine5/Cultura/Domenica/2010/jung-esperimento/img_jung-esperimento/8_352-288.jpg
Parla Samu Shamdasani, che ha curato l’edizione del visionario Libro rosso “Pagine cruciali per capire la sua opera”


La ricerca di un tesoro, la scoperta di un segreto, l’apertura di un mistero. Questo è stato per Samu Shamdasani lavorare alla cura, alla traduzione e alla prima edizione mondiale del Libro rosso di Carl Gustav Jung. Pubblicato per la prima volta a Londra nel 2009 nella sua versione inglese e, l’anno successivo, nel resto del mondo (in Italia è uscito da Bollati Boringhieri), il testo esoterico contiene la visione del bagno di sangue europeo che assalì lo psicologo alla vigilia della Prima guerra mondiale. E il grandioso cosmo immaginifico perscrutato per anni dopo quella esperienza dal grande esploratore dell’inconscio. Chiuso nella cassaforte di una banca svizzera dopo la morte dell’autore, il capolavoro viene oggi alla luce come un oggetto davvero prezioso. Shamdasani, ieri a Torino, al Circolo dei Lettori, per una giornata di studio su «Jung e il Libro rosso », ci ha raccontato come vi si è accostato. Per maneggiarlo con grandissima cura.

Professor Shamdasani, come ha vissuto il corpo a corpo con un testo simile?
«Come dice Rilke, “ciò che conta è sopravvivere”. Jung vide la propria vita spezzata in due dal flusso di immagini che lo investì con le visioni narrate nel testo. E per me l’incontro con lo Jung del Liber novus - il cosiddetto Libro rosso - è stata un’esperienza analoga. Ho lavorato a questo progetto per tredici anni. Per portarlo alla luce ho dovuto vivere sulla mia pelle alcune delle esperienze che vi sono descritte. Metaforicamente si può dire che è davvero un libro scritto col sangue. E, oserei dire, curato col sangue. Per il rispetto della sua segretezza, il lavoro su questo testo mi ha costretto a troppi anni di forzata solitudine. Discutere poi i nodi della traduzione dal tedesco con Mark Kyburz e John Peck è stato per me davvero un sollievo. Il momento più bello fu quello in cui, alla tipografia della Mondadori a Verona, abbiamo visto uscire dalle presse la prima pagina stampata. Dopo tanti anni di attesa e di duro lavoro pareva impossibile che l’opera potesse mai vedere la luce».
L’originale, l’autografo su cui è basato tutto il suo lavoro, che aspetto aveva?
«Nel volume rilegato in pelle rossa e intitolato Liber novus Jung aveva scrupolosamente riportato, in caratteri calligrafici analoghi alla scrittura gotica, il contenuto dei sette taccuini neri in cui aveva steso la prima versione del testo. In più aveva aggiunto una tavola di abbreviazioni, le iniziali miniate, i margini decorativamente istoriati, i sontuosi disegni. Inizialmente le illustrazioni rappresentavano le scene descritte nel testo. Poi si fecero via via più simboliche, alludendo a un’ulteriore elaborazione della sua personale cosmologia. L’opera prende chiaramente a modello l’iconografia dei manoscritti medievali, un’epoca della storia dell’umanità che, secondo Jung, ciascuno rivive nello sviluppo della propria psiche. Ma l’opera che più assomiglia a una simile composizione di scrittura e figure sono i poemi visionari di William Blake».
Il Libro rosso è scritto in prima persona: può essere considerato un diario?
«Jung vi descrive il proprio più radicale confronto con l’inconscio. Racconta il periodo più importante della sua vita. Raccoglie le intuizioni fondamentali e la materia prima che fino alla fine avrebbe continuato a rielaborare e integrare. È il testo cruciale per capire l’intera sua opera. Ed è il libro in cui Jung ebbe il coraggio di sondare, affrontare ed esporre tutti gli aspetti dell’esistenza: il sublime e l’assurdo della vita».
E nella sua vita, professore, come è entrato un libro simile? Lei insegna a Londra storia della psichiatria, ma proviene dall’Oriente: com’è giunto all’opera di Jung?
«Sono nato a Singapore, ma sono cresciuto in Inghilterra. Ho incontrato Jung per la prima volta quando, adolescente, viaggiavo attraverso l’India in cerca di un maestro. La prima delle sue opere con cui mi cimentai fu il commento a Il segreto del fiore d’oro : per me la porta d’ingresso alla psicologia. All’epoca vidi il testo come la promessa di una possibile mediazione tra il misticismo orientale e la razionalità occidentale».
Com’è stato coinvolto nell’edizione del Libro rosso e come ha convinto gli eredi di Jung a pubblicarlo?
«Per anni ho compiuto ricerche storiche sulla formazione dell’opera junghiana e, nel 1994, mi fu assegnata la cura dei suoi seminari del ’32 su La psicologia dello yoga Kundalini . Fu allora che entrai in contatto con alcuni membri della famiglia Jung, avviai le mie ricerche in Svizzera e inaugurai il primo studio sistematico dei suoi scritti inediti, discutendo con la famiglia l’eventualità di pubblicarli. Studiando quelle carte, scoprii che Jung nel 1920 aveva fatto trascrivere da Cary Baynes il Liber novus e mi misi sulle tracce di quella copia. Nel ’96 la figlia di Baynes, Ximena de Angulo, mi scrisse di aver forse trovato in uno scaffale il libro che stavo cercando, e me ne spedì le prime pagine. Si trattava dell’unica parte del testo che fosse mai stata citata, così lo riconobbi al volo. Scoprii anche che Cary Baynes negli Anni 50 aveva ottenuto da Jung il permesso di spedire il manoscritto al suo editore, Kurt Wolff, e chiesi al figlio di costui se ne fosse in possesso. Mi rispose di aver donato l’intera biblioteca del padre alla Beinecke Library dell’Università di Yale, dove mi recai l’anno successivo e trovai la prima parte del Liber novus , compreso nei manoscritti originali dei Ricordi, sogni, riflessioni di Jung. Mostrai il testo agli eredi di Jung, ignari allora del fatto che quegli scritti fossero noti agli stretti collaboratori dell’autore, e che ne fossero circolate delle copie. Iniziarono così tre anni di confronti e discussioni in cui io fornii alla famiglia i documenti necessari a dimostrare che il Liber novus - pur scritto in prima persona e fitto di memorie e visioni personali - non era un documento privato bensì un testo destinato alla pubblicazione. La decisione di darlo alle stampe fu presa nel 2000, e a me fu affidata la sua cura. È stata una grandissima soddisfazione e l’inizio di un grandioso lavoro di scoperta».