L'italia che è stata in ginocchio davanti a Gheddafi non è una nazione credibile
di Massimo Fini - 01/03/2011
Sul Gazzettino del 3 settembre 2010, dopo la vergognosa sceneggiata di Gheddafi per le strade della nostra capitale, riportavo il giudizio di un’"amico storico" di Berlusconi, il produttore cinematografico tunisino Tarak Ben Ammar (un bel soggettino anche lui, nella manica del dittatore Ben Alì, testè fuggito con la cassa davanti al furore del suo popolo) sui legami fra il presidente del Consiglio italiano e il rais libico: "Non ho mai visto un rapporto di affetto e di rispetto di questo tipo fra Capi di Stato e di governo". Ricordavo poi i termini del Trattato di Amicizia italo-libico di cui si festeggiava in quelle belle giornate romane il secondo anniversario: "Il trattato prevede un indennizzo miserabile di 150 milioni per i 20 mila italiani cacciati da un giorno all’altro dalla Libia, perché "colpevoli" di un passato coloniale cui non avevano preso parte (colpevoli quindi solo di essere italiani) in cambio dei tre miliardi di euro che è il valore dei beni loro confiscati ... in compenso l’Italia pagherà per i prossimi 20 anni 5 miliardi di dollari alla Libia a titolo di risarcimento per i propri trascorsi coloniali davvero un ottimo affare... Poi c’è stato il Circo Barnuma liberamente organizzato da Gheddafi a Roma... dai cavalli berberi alla caserma Salvo d’Acquisto (un eroe italiano che si sarà rivoltato nella tomba) alle 500 hostess reclutate per il sollazzo dei due attempati leader, Gheddafi ha potuto evoluire come se fosse padrone in casa nostra, senza alcun rispetto per la cultura e la sensibilità italiana".
Come se non bastasse il presidente del Consgilio italiano, in un’occasione precedente, aveva baciato la mano (baciato la mano) al dittatore e promesso di essere a Tripoli per festeggiare l’anniversario della "vostra grande rivoluzione" (la festa, per fortuna, gliela stanno facendo ora i libici).
Naturalmente oggi è facile rinfacciare a Berlusconi i suoi rapporti con Gheddafi. Bisognava farlo prima. Bisognava farlo allora. Ma la verità è che in quei vergognosi giorni romani in ginocchio davanti a Gheddafi non c’era solo Berlusconi, c’era un’intero Paese, Istituzioni, politici, imprenditori, vip a vario titolo che, per interessi economici, realpolitik, indifferenza, menefreghismo, mancanza di un sia pur minimo senso di dignità, facevano finta di dimenticare chi fosse il rais di Tripoli, un dittatore terrorista (Lockerbie), repressore sanguinario, come tutti sapevano, del suo popolo, disposto a ogni barbarie pur di mantenere il potere come sta dimostrando, davanti agli occhi fintamente sgranati delle "vispe terese", in queste tragiche ore. Il popolo libico, quello tunisino, quello egiziano e persino quello del Barhein hanno trovato il proprio riscatto pagando un tributo di sangue. Il popolo italiano non lo troverà mai. È disposto a farsi passar sopra ogni abuso, ogni sopruso, ogni violenza delle oligarchie di sorelle, di destra e di sinistra, che in un momento di drammatica disoccupazione giovanile piazzano i propri figli, nipoti, generi in posti sicuri, ben remunerati, di potere attraverso i quali perpetueranno, come i nobili, la dinastia o lucrano affitti e proprietà low cost da Enti di beneficenza sottraendo risorse a chi ne ha bisogno. L’Italia non rialzerà la testa, né in politica estera né in politica interna. Perché è un Paese che non c’è. Che non c’è più. Da molto tempo, ormai.