Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Far pace con il Pianeta

Far pace con il Pianeta

di Alberto Zoratti - Roberto Bosio - 12/03/2011

http://1.bp.blogspot.com/_kDgobjkyt-o/SjOps74Q4JI/AAAAAAAAAMc/1etV5l1gkIs/s400/Albero_a_forma_di_Pianeta_Terra.jpg

 

«Che sia giunto il tempo

di nuovi simboli, di nuovi miti?»

(Oliver Sachs)

 

Il suo geroglifico si dovrebbe tradurre con Anpu o Inepu (ovvero “colui che ha testa di un cane selvaggio”), ma in Occidente è conosciuto con il nome di Anubi. Per gli antichi Egizi, era il dio della morte. Doveva giudicare i defunti al loro ingresso negli inferi (il Duat), ponendo su un piatto della bilancia il cuore del defunto e sull'altro piatto una piuma di struzzo, simbolo di Maat, una dea alata che rappresentava l’ordine cosmico, ma anche la verità, la giustizia.

Se il cuore era leggero come la piuma, il morto veniva condotto da Osiride nell’Aaru; se invece era più pesante, veniva dato in pasto a Ammit (“colei che ingoia il defunto”) – una creatura mostruosa con la testa di un coccodrillo, le zampe anteriori di un leone e quelle posteriori di un ippopotamo – e il suo possessore era condannato a rimanere nel Duat.

La nostra civiltà oggi si trova a una svolta simile. Se vuole garantire alle generazioni future un buon livello di benessere, dovrà avere un cuore leggero come una piuma. Lo iato tra l’ampiezza del problema da risolvere e la modestia dei rimedi possibili a breve termine sta soprattutto nella forza delle credenze che riescono a sostenere il sistema su basi immaginarie. Bisogna incominciare a vedere le cose in modo diverso. Ciò che si richiede, nota Castoriadis, «è una nuova creazione immaginaria, di un’importanza senza confronti nel passato; una creazione, che ponga al centro della vita umana significati diversi dalla produzione e dal consumo e che possa proporre obiettivi riconoscibili da tutti noi come ciò per cui vale la pena di vivere.

Questa è la grande difficoltà che dobbiamo affrontare. Noi dobbiamo volere una società, nella quale i valori economici cessino di essere centrali (o unici) e l’economia venga rimessa al suo giusto posto, come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo. Una società, in cui si rinunci a questa folle corsa verso un consumo sempre più diffuso. Tutto ciò non è solo necessario per evitare la distruzione definitiva dell’ambiente terrestre, ma anche e soprattutto per uscire dalla miseria psichica e morale che definisce l’umanità contemporanea»[1].

Un vecchio proverbio francese dice che quando si ha un martello in testa si vedono tutti i problemi sotto forma di chiodi. Gli uomini moderni si sono messi un martello economico nella testa: tutte le nostre attività, tutti gli avvenimenti sono visti attraverso il prisma dell’economico. Non succedeva questo nel Medioevo, quando tutto era piuttosto immerso nel religioso , né presso gli antichi Greci, che tendevano a ridurre ogni cosa al politico e al filosofico, e nemmeno tra le popolazioni cosiddette “primitive”, per le quali i rituali e la parentela costituivano la prima preoccupazione. Finché il martello economico rimarrà nelle nostre teste, questi tentativi di riforma saranno un vano e spesso pericoloso agitarsi.

Dovranno emergere una nuova cultura[2] – che vedrà la rinascita del politico – nuovi rapporti con l’ambiente, una nuova etica.

Bisognerà rileggere il proprio vivere quotidiano sotto una nuova luce, quella della responsabilità verso di sé, verso gli altri, verso il Pianeta. Sarà necessario ripensare la propria esistenza come elemento di un sistema complesso, in cui ogni cambiamento si riverbera sugli altri e sul contesto circostante.

Sembrano banalità; però in un mondo dove il profitto immediato, il qui e ora diventano imperativi categorici, indipendentemente dagli effetti che provocano, è necessaria una nuova alfabetizzazione. Per ricominciare a capire che questo pianeta è l’unico che abbiamo e che la sua gestione oculata non è solo una questione etica, ma un problema di sopravvivenza che riguarda tutti.

Non è ovviamente cosa che si possa fare da un giorno all’altro: «Oggi pensiamo così, domani dovremo pensare diversamente”[3]. Sarà il risultato di un lavoro storico[4], e l’abbandono del nucleare per un’energia più leggera potrebbe rappresentare un simbolo, sul cammino che dobbiamo percorrere.



[1]    Castoriadis C., La montée de l’insignifiance. Les carrefours du labyrinthe, IV, Paris 1996.

[2]    Come scrive Pier Paolo Pisolini, «Ci sono certi pazzi che guardano le facce della gente e il suo comportamento». «Sanno che la cultura produce dei codici; che i codici producono il comportamento; che il comportamento è un linguaggio; e che in un momento storico in cui il linguaggio verbale è tutto convenzionale e sterilizzato (tecnicizzato) il linguaggio del comportamento (fisico e mimico) assume una decisiva importanza» (Pasolini P. P., Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975).

[3]    Tutti i tentativi di cambiare radicalmente l’immaginario, di cambiarlo con la forza, hanno ottenuto risultati terrificanti, come ha dimostrato l’esperienza della Cambogia. Nel 1975, la Cambogia cadde sotto la dittatura di Pol Pot e dei Khmer rossi, che causò più di un milione di morti e decine di migliaia di rifugiati, e costrinse buona parte della popolazione urbana a spostarsi nelle aree agricole, con l’intenzione di costruire un modello di socialismo reale. 

[4]    Latouche S., Il pensiero creativo contro l’economia dell’assurdo. Intervista a cura di Roberto Bosio, Bologna 2002.