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E' la stampa bellezza - intervista al finanziere Micheli

di redazione - 03/06/2006

E' la stampa bellezza - intervista al finanziere Micheli  

INTERVISTA

Il finanziere Francesco Micheli non ha dubbi: «Tra i poteri forti ci sono banche e giornali. Il direttore di un quotidiano ha più potere di un amministratore delegato di una società, di un manager o di un boiardo».
Bruno Perini
Francesco Micheli è uno degli «animali» più coriacei della comunità finanziaria italiana. I poteri economici lui li ha visti quasi tutti, dentro e fuori, da vicino e da lontano. Nato a Parma nel 1937, è stato protagonista di rilevanti operazioni di Merger & Acquisition e del lancio e della gestione di diverse iniziative economiche e finanziarie di successo in Italia, tra le quali l'acquisizione e lo sviluppo di Finarte, il varo di Pronto Italia da cui è scaturita la nascita di Omnitel, la creazione di Ing-Sviluppo, la realizzazione dell'Opas Olivetti su Telecom Italia e la creazione di FastWeb e e.Biscom. Oggi il suo core business è la biotecnologia con la start up Genextra.
E' membro del Consiglio di Amministrazione di diverse società, tra cui Interbanca, Ras e Longanesi, e di istituzioni culturali tra cui la Fondazione Teatro alla Scala, l'Orchestra Filarmonica della Scala, la Fondazione Teatro Pier Lombardo, la Fondazione Mazzotta, la Fondazione per le Neuroscienze. E' presidente del Conservatorio di Musica Giuseppe Verdi di Milano. Attraverso la Fondazione Musicale Umberto Micheli ha lanciato, assieme a Maurizio Pollini, l'omonimo Concorso Pianistico Internazionale di Milano, oggi tra i più rinomati al mondo. Siamo andati a trovarlo nella sua bellissima casa di fronte al Castello Sforzesco e con lui abbiamo ripreso le interviste sui poteri in Italia e la loro metamorfosi.

Allora questi poteri forti di cui tanto si parla, che fine hanno fatto? C'è chi li dà per dispersi, c'è chi li vede ovunque. Lei come la vede?
Guardi, io sono pienamente d'accordo con Guido Rossi: i poteri forti non esistono più. O quanto meno non sono più gli stessi poteri che noi abbiamo conosciuto in passato. Un esempio? Tutta la vicenda che va sotto il nome dei 'furbetti del quartierino'. Lì dov'erano i poteri forti? Non si è vista la zampata del potere forte. Non c'è stato nessuno in grado di reagire presto e bene, come dovrebbe reagire chi detiene davvero il potere. O sbaglio?

Il patto di sindacato di Rcs è riuscito a fare quadrato attorno al Corriere della Sera e ai tentativi di scalata. Non le sembra?
Se non ci fosse stata la magistratura le cose sarebbero andate diversamente. Il Corriere della Sera è l'esempio più calzante sull'inesistenza dei poteri forti. Una volta in via Solferino comandavano in due: Enrico Cuccia e Gianni Agnelli. Il primo aveva il potere sostanziale il secondo quello formale. Ora l'azionariato del Corriere della Sera mi sembra un palco della Scala molto affollato...Vedo che non è convinto della mia diagnosi, allora le aggiungerò una postilla: se proprio vogliamo trovare un potere ancora forte dobbiamo fare un nome: Cesare Geronzi. Pur trafitto come San Sebastiano, Geronzi è l'unico che ha reagito con lucidità ai furbetti del quartierino. E' stato lui a ispirare l'affidamento a Guido Rossi del mandato a scendere in campo nella vicenda Rcs. E come tutti sanno quando Guido Rossi scende in campo tutti restano basiti e si mettono in riga. E, comunque sia, se potere c'è, ormai abita a Roma.

Mi sta dicendo che Milano, capitale del capitale, non è più la patria dei poteri forti?
Le sto dicendo proprio questo. Con tangentopoli il potere economico si è definitivamente trasferito e comunque ha lasciato Milano. Un'inversione di tendenza ci potrebbe essere se Geronzi diventasse il capo di Mediobanca ma lo trovo improbabile. D'altronde, da quando a Milano l'industria non c'è più non poteva essere diversamente. La Montedison di una volta era un potere forte, anzi fortissimo. Pensi che Eugenio Cefis, pronubo Cuccia, lasciò l'Eni, che era uno Stato nello Stato, per mettersi a capo di Montedison. Oggi sarebbe inimmaginabile.

E allora quali sono i poteri che contano oggi?
Sono sostanzialmente tre: la magistratura, le banche e i giornali...

I giornali?
Sì, ha capito bene, i giornali. Oggi il potere di un quotidiano o meglio del suo direttore, come potrebbe essere ad esempio Paolo Mieli, è molto più forte di quello di un grande manager, di un padrone o di un boiardo di Stato. La forza e l'influenza di un giornale come il Corriere della Sera sta proprio nell'attuale frammentazione del suo azionariato. Questo crea grande autonomia. Il giornale diventa una sorta di public company. Contendibile ma non scalabile.

Lei ha avuto una frequentazione assidua dei poteri economici. Qualche volta come protagonista, qualche volta come critico feroce. Se dovesse dare un'immagine di ieri e oggi...
Una volta c'era il far west. Le normative societarie erano inesistenti, le regole anche e chi esercitava il potere lo faceva con durezza inaudita. Non dimenticherò mai quando in un'assemblea degli azionisti il potentissimo Giorgio Valerio si rifiutò di fornire l'elenco delle partecipazioni della holding del gruppo Montedison: l'Italpi. Era un diritto elementare degli azionisti e l'unico modo per capire che cosa possedevano, ma a lui non interessava. Dopo una battaglia violentissima gli avvocati lo convinsero che l'elenco andava fornito, allora lui lo lesse con la velocità di uno sciogli lingua e nessuno fu in grado di prendere nota.
Così come non si può dimenticare che per decenni Enrico Cuccia utilizzò il denaro raccolto dalle tre banche di interesse nazionale, (Comit, Credito Italiano, Banca di Roma), a suo piacere, secondo strategie che decideva solo lui. E organizzò patti di sindacato medioevali in cui lo Stato che deteneva la maggioranza delle azioni poteva mettere in gioco solo una quota paritetica a quella degli azionisti privati, non solo ma lasciando un voto doppio e quindi decisivo al presidente del patto che lui nominava. Oggi è tutto cambiato per fortuna. C'è una legislazione severissima e micidiale sul market abuse. Tanto severa da sconsigliare a chi ne avesse voglia di sedersi in un consiglio d'amministrazione di una società quotata.

Eppure gli scandali non sono mancati mi pare
Sì perché siamo la patria del conflitto di interessi che ha consentito scandali della dimensione di Cirio e Parmalat o ancor peggio quello del calcio italiano. In un sistema basato sul controllo formale e non quello sostanziale, purtroppo abbiamo troppe leggi e troppe authority tra le quali i furbi possono fare lo slalom.

In questi dieci anni c'è stato un potere tra i poteri che si chiama Silvio Berlusconi. Come valuta quell'esperienza?
Sul piano del potere vero Silvio Berlusconi ha commesso un peccato di omissione nei confronti di se stesso: ha cioè sottovalutato il potere del sistema bancario. Un politico che intende governare in senso democratico oltre ai gangli vitali dello stato, come Carabinieri, Guardia di finanza, Servizi o uomini della statura di un Gianni Letta, questo sì potere vero, deve poter contare su qualche istituto bancario di riferimento: così come fa Prodi. Le banche sono importanti non per i soldi, di cui certo Berlusconi non ha bisogno, ma per quella moral suasion, che è vero potere, che esercitano. Magari in forte polemica tra di loro ma fedeli alla regola che lupo non mangia lupo.