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Sul salario di cittadinanza

di Marino Badiale e Massimo Bontempelli - 15/03/2011



reddito-cittadinanza


La richiesta del salario di cittadinanza, o salario minimo garantito, circola da tempo negli ambienti della sinistra radicale. In questo breve articolo sviluppiamo alcune considerazioni critiche, per mostrare come le istanze secondo noi corrette che stanno dietro a questa richiesta siano meglio soddisfatte da una diversa proposta politico-economica.

Per capire quali siano queste istanze, occorre riflettere sulle caratteristiche fondamentali della fase attuale, quella del capitalismo “neoliberista” e “globalizzato”.

È noto che due aspetti fondamentali della fase attuale sono da una parte il grande trasferimento di ricchezza dai ceti medi e bassi ai ceti alti, dall'altra (collegato al primo) la nuova creazione di un marxiano “esercito industriale di riserva” che ha permesso al capitale di infliggere ai lavoratori sconfitte epocali. Disoccupazione e precarizzazione da un lato, impoverimento dall'altro, questo è il destino che nel neoliberismo spetta ai ceti subalterni dei paesi occidentali.

esercitoindustrialeriservaIl valore della richiesta del salario minimo garantito sta nel fatto che va ad incidere su entrambi questi aspetti, contrastando le tendenze antipopolari del capitalismo odierno.

Infatti, ove il salario di cittadinanza fosse finanziato con rinnovate forme di tassazione (diretta o indiretta) sui ceti alti, esso rappresenterebbe una forma di redistribuzione di ricchezza dall'alto verso il basso, e quindi un contrasto alla redistribuzione dal basso verso l'alto tipica del trentennio di ferro del neoliberismo.

Inoltre esso costituirebbe un grande rafforzamento dei lavoratori nei confronti del capitale: un lavoratore disoccupato che disponga di un adeguato salario di cittadinanza non è più indifeso di fronte al datore di lavoro, non è più costretto ad accettare qualsiasi offerta. Il salario di cittadinanza rende quindi la disoccupazione un'arma meno efficace nelle mani del capitale.

Se questi sono i punti a favore della proposta del salario di cittadinanza, cerchiamo adesso di vedere quali sono i suoi limiti. Il problema principale sembra essere quello delle prospettive.

Il salario di cittadinanza è pensato all'interno dell'attuale organizzazione economica e sociale, oppure è pensato come un elemento di una diversa organizzazione? È chiaro che nel primo caso, nel caso cioè in cui il salario di cittadinanza viene pensato come un elemento di redistribuzione interno all'attuale organizzazione economica e sociale, sorge subito una seria obiezione. Esso appare infatti come una delle forme di redistribuzione tipiche della fase “keynesiano-fordista” del capitalismo, cioè del “trentennio dorato” del capitalismo del dopoguerra. Ma tale fase è finita negli anni Settanta e non c'è modo di farla rinascere.

valorelavoroLe sconfitte del movimento operaio negli ultimi trent'anni sono radicate appunto in questo, nel fatto cioè di difendere una forma organizzativa dell'economia e della società che ha avuto successo finché si era dimostrata compatibile con l'accumulazione del capitale, e che è stata smantellata quando ha smesso di esserlo.

All'interno dell'attuale fase del capitalismo non ci può essere salario di cittadinanza per gli stessi motivi per i quali non ci possono più essere pensioni dignitose, scuole pubbliche di buon livello, sanità per tutti (abbiamo approfondito questo tema nell’articolo “Bisogna finire, bisogna cominciare”.

Se si vuole dare un senso alla richiesta del salario di cittadinanza occorre quindi inserirla all'interno di una elaborazione teorica e politica che fornisca le coordinate generali di una diversa organizzazione economica e sociale. Noi riteniamo che una tale elaborazione debba avere a proprio fondamento la nozione di “decrescita”, intesa come la diminuzione della produzione di beni sotto forma di merci e la creazione di una economia non mercantile basata sullo scambio di beni e servizi non mercificati.

A partire da tale nozione è possibile pensare alla difesa di alcune delle conquiste ottenute nella fase “keynesiano-fordista”, per esempio i servizi pubblici gratuiti: si tratta di pensare tali servizi come una rete di scambi non mercantili che vanno a costituire una parte non monetaria del reddito di tutti i cittadini che ne usufruiscono.

In questo modo una parte sempre maggiore del reddito di ciascuno avrà carattere non monetario. In questa ottica, la richiesta del salario minimo garantito non appare sensata: se vogliamo costruire una società di “frugale abbondanza” (Latouche) uscendo dall'opulenza infelice che oggi contraddistingue le società occidentali, se vogliamo una società dove il denaro conti di meno perché ciò di cui si ha bisogno lo si ottiene in forme non mercantili, ci servono servizi sociali estesi e gratuiti, ma non ci serve il salario minimo garantito.

In estrema sintesi: all'interno dell'attuale organizzazione economica e sociale il salario minimo garantito è impossibile, in una società della decrescita è inutile.

Si potrebbe allora pensare al salario di cittadinanza come una arma per l'agitazione politica, come una richiesta da fare sapendo che essa è irricevibile dagli attuali ceti dominanti, per mostrare così con nettezza il carattere antipopolare di tali ceti. Ci sembra però che da questo punto di vista si tratti di uno strumento inefficace. Mentre le altre conquiste della fase “keynesiano-fordista” (pensioni, scuola, sanità) sono entrate nella coscienza comune come diritti, per cui il farne la base di rivendicazioni può in effetti intercettare larghi consensi, la richiesta del salario di cittadinanza al momento sembra propria di gruppi di intellettuali e militanti abbastanza ristretti.

nubimondoMa è possibile ottenere altrimenti i risultati importanti che sarebbero ottenuti dal salario di cittadinanza e che abbiamo sopra indicati?

A nostro avviso è possibile, in perfetta coerenza con quanto abbiamo appena detto a proposito dei servizi sociali in una società della decrescita. Ciò di cui c'è bisogno per trasferire ricchezza dall'alto al basso, e per ridare potere contrattuale ai lavoratori, sono infatti da una parte massicce assunzioni di disoccupati da parte della Pubblica Amministrazione, dall'altra una riduzione generalizzata dell'orario di lavoro. I nuovi lavoratori assunti dallo Stato sarebbero pagati con un forte prelievo di ricchezze ai ceti alti, e sarebbero destinati a due scopi essenziali: da una parte, appunto, la creazione (o ri-creazione) di una vasta rete di servizi sociali universali e gratuiti, dall'altra un vasto lavoro di risanamento a manutenzione del paese (manutenzione delle ferrovie, risanamento del dissesto idrogeologico, manutenzione e miglioramento ecologico del patrimonio edilizio, e così via).

In questo modo si realizza l'obiettivo di redistribuzione del reddito dall'alto al basso, perché i salari dei nuovi assunti sono reddito fornito alle classi subalterne, e anche perché i servizi sociali gratuiti forniti grazie ai nuovi lavoratori diventano una componente non monetaria del reddito di tutti i cittadini. È poi del tutto ovvio che in questo modo si rafforzano i lavoratori, per il banale motivo che si elimina la disoccupazione.

Per quanto riguarda la riduzione generalizzata dell'orario di lavoro, essa permetterebbe a tutti di organizzare e gestire reti di scambi non mercantili di beni e servizi, sottraendo quindi ampie zone della società al dominio della logica capitalistica.

Questo tipo di proposte ha poi il vantaggio di poter acquisire un largo consenso sociale: quello dei disoccupati che trovano un lavoro, quello dei lavoratori che vedono diminuire il proprio carico di lavoro, quello di tutti i cittadini che ritrovano servizi sociali efficienti e gratuiti grazie ai nuovi assunti.

clockgifÈ evidente, infine, che entrambe le proposte che abbiamo discusso (salario di cittadinanza da un lato, assunzioni massicce nello Stato e diminuzione dell'orario di lavoro dall'altro) hanno bisogno di grandi risorse finanziarie, e appare difficile poterle realizzarle entrambe. Una scelta è necessaria, e, per gli argomenti esposti, a nostro avviso la scelta vincente nella lotta contro l'attuale capitalismo distruttivo è quella della lotta alla disoccupazione tramite assunzioni statali e della diminuzione dell'orario di lavoro.