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Dizionario d’estetica

di Fabio Fraccaroli - 05/06/2006

Carchia, Gianni - D’Angelo, Paolo (a cura di ), Dizionario di Estetica.
Roma-Bari, Laterza (Manuali), 2005, pp. 337, € 25,00, ISBN 8842058297.

Recensione di Fabio Fraccaroli – 20/10/2005

Estetica

 

Roland Barthes amava ricordare il senso di vertigine che si può provare sfogliando un dizionario. Una parola spiegata da altre parole che rimandano a parole che a sua volta si riferiscono ad altre parole ancora. Sublime vertigine dell’apprendere. Di fatto qualcosa di simile si può verificare anche sfogliando l’utile Dizionario d’estetica curato da Gianni Carchia, Paolo D’Angelo con la collaborazione di Stefano Catucci, Flavio Cuniberto, Tonino Griffero, Stefano Velotti. Anche qui, ovviamente, i concetti, i lemmi le categorie che arricchiscono la speculazione estetica sono primi passi per avvicinarsi a tutte le idee, i problemi, i dibattiti che hanno formato tale disciplina filosofica.
Volendo simulare questa labirintica sensazione usando le definizioni offerte nel dizionario, propriamente dovremmo dire che questo testo è anzitutto “interessante”. Tale aggettivo, infatti, incominciando “ad assumere un preciso rilievo estetico nel pensiero francese del primo settecento”(p. 161), ci viene ricordato, identifica ogni oggetto la cui ‘energia estetica’ superi quella del soggetto al quale è destinato. L’interesse è in altre parole uno stimolo in grado di produrre un momentaneo appagamento. Ma, una volta appagato, il bisogno estetico richiederà uno stimolo maggiore del precedente, alimentando un processo di natura patologica” (p. 161). Non appagati, e senza entrare nei meriti di come l’interessante sia “per Kierkegaard una categoria limite, ai confini dell’estetica e dell’etica” (p. 162), corriamo verso un altro lemma.
“Schlegel contrappone l’interessante alla categoria estetica per eccellenza, ossia al bello: se infatti il bello è oggettivo, universale, classico, l’interesse è l’individuale, il caratteristico, il sentimentale” (p.161); così per capire cosa anima la nostra smaniosa curiosità non al bello, a ciò che ci appaga ma a ciò che ci disturba c’inquieta, al brutto dovremmo guardare per trovare un perché, dei chiarimenti, riguardo la nostra insoddisfazione che è estetica. Cavalcando la vertigine che un testo fatto di definizioni ci procura, seguendo il filo delle associazioni e dei termini, consultiamo un altra voce: “Brutto ( ingl. ugly; fr. laid; ted. das Hässliche )” (p. 45).
Il Brutto a cui si richiama, in un certo senso anche l’inappagato piacere dell’interesse che ci guida persino nella lettura di un dizionario, va inteso non come “disvalore estetico, la mancata riuscita artistica” (p. 45) ma nella sua seconda più ampia accezione: “È un’esperienza frequente quella per cui le opere d’arte possono presentarci non soltanto contenuti o situazioni gradevoli, piacevoli, conciliate, ma anche contenuti e immagini sgradevoli, urtanti, dissonanti, e persino al di fuori della produzione artistica si può avere il fascino di elementi perturbanti, irritanti o disarmonici. […] il brutto in senso extra-artistico non viene più definito sulla base della sua opposizione al ‘bello’ come sinonimo di valore estetico, ma in opposizione a un concetto di bellezza come gradevolezza sensibile, rispetto di certi canoni” (p. 45)
Il brutto come supplemento antitetico del bello può produrre qualcosa di articolato che merita la nostra attenzione.
Il brutto, combinandosi ad esempio con l’esperienza inappagata dell’interesse, detronizza il carattere conciliante della bellezza, apre le nostre capacità percettive verso la varietà delle categorie estetiche che non hanno come fine la sola eufonica bellezza. L’estetica, è anche questo uno dei temi che caratterizza le definizioni presentate, diventa vera e propria disciplina filosofica quando complicandosi pluralizza il bello e storicizzando l’arte propone svariate categorie con cui giudicare le nostre esperienze sensoriali e culturali.
L’estetica, vien da pensare, non nasce con il solare Platone dei Dialoghi, ma con il cavilloso Aristotele della Poetica.
Comunque sia andata la storia dalla Grecia delle polis fino ai giorni nostri, nulla meglio di un vocabolario potrebbe convincere a perdersi fra le molte categorie estetiche e i loro plurisemantici significati, per pensare esteticamente.
“Categorie estetiche (ingl. aesthetic properties ;fr. catégories esthétiques; ted. aesthetische Kategorien). In senso ristretto, si intendono per categorie estetiche i predicati del giudizio estetico, ossia le nozioni di sublime, tragico, comico, pittoresco, grottesco, ecc. Perché diventi possibile parlare di categorie estetiche è necessario che il valore estetico non venga identificato in modo esclusivo nella bellezza, cioè si ritenga che le nozioni di sublime, brutto, ecc. non connotino semplicemente la mancanza di valore, bensì ambiti specifici dell’ esteticità di natura diversa dal bello, bisognosi di essere indagati e definiti accanto ad esso” (p. 54).
“Per evitare una dilatazione eccessiva del termine categorie estetiche sembra opportuno non ampliare la nozione fino a ricomprendervi tutti i concetti estetici, […] come per esempio caratterizzazioni di tipo storico (classico, romantico, ecc.) […]. Se così si facesse l’insieme delle categorie estetiche coinciderebbe col lessico dell’estetica, mentre sembra più fruttuoso indicare con categorie estetiche i predicati qualificativi e descrittivi, che riformulano e precisano la percezione del valore estetico”(p. 54).
Ben comprendendo l’importanza di queste precisazioni terminologiche, senza poterci interrogare sulla reale possibilità di tale esclusione, bisognerà a questo punto chiedersi cosa si possa intendere con il termine estetica filosoficamente parlando .
In altre parole è giusto domandarsi: c’è estetica solo fin tanto che ci si appropria di categorie, di concetti valutativi per definire e apprezzare l’arte come ogni altra esperienza nel nostro mondo, o di fatto l’estetica la si può anche interpretare proprio per mettere in crisi il formarsi di specifici concetti che adoperiamo per valutare ciò che percepiamo?
In questo senso, nelle definizioni che rinviandosi fra loro offrono un visione generale sul cosa si debba intendere per estetica in questo Dizionario, emerge il primo carattere della disciplina, quale abilità di misurare, apprezzare l’arte e/o le esperienze extra-artistiche.
Ci pare invece che nel lavoro curato da Carchia e D’angelo, poco si sia messo in luce l’altro aspetto che rende problematico il ragionar estetico, l’ambito che indaga in modo quasi fenomenologico-descrittivo la percezione, il sentire (sensoriale) comune.
Già nella definizione stessa di estetica poco si è scelto di sottolineare quello che potremmo chiamare il passaggio dalla facoltà alla disciplina, passaggio che sancisce due possibili ambiti dello speculare di questa attività filosofica. Se come si è detto esiste una disciplina del filosofare che guarda all’arte, al come capirla e distinguerla da altre piacevoli-dispiacevoli esperienze (quotidiane o eccezionali), non va dimenticato che come facoltà l’estetica era stata voluta, già in Kant, come luogo della sensazione, aisthesis appunto, con tutti gli ancor vivi problemi che la definizione di tale processo comporta.

Come si è notato fin dall’inizio, l’interesse che ci può attrarre verso un opera, gioca fra l’appagata soddisfazione e l’insaziabile insoddisfazione. Non aver marcato più esplicitamente questi due ambiti dello specular estetico, pur offrendo chiare definizioni riguardanti l’estetica psicologica (qui considerata alla voce Psicologia dell’arte), la percezione, o il sentimento (possibile ambigua traduzione del termine greco aisthesis ?), lascia viva la curiosità che chiede di sapere e chiarire dell’altro.

Simile curiosità, non del tutto soddisfatta, si prova non trovando lemmi che cerchino di illustrare altri termini che possono avere un importate ruolo da giocare nel farsi delle diverse estetiche. Spiace che non si trovino, per esempio, spiegazioni di concetti come apprezzamento estetico, estetica applicata, estasi, epifania, lettore-fruitore, per citare solo alcune parole che avremmo voluto leggere in questo interessante prontuario filosofico. Di fatto un tavola sinottica con i relativi rimandi fra i diversi concetti (definiti e non) avrebbe potuto almeno in parte supplire ad ipotizzabili lacune, lacune del tutto compressibili non solo se si ricorda la rarità dei vocabolari su tale specifica materia, ma anche, più in generale se si considera la difficoltà di racchiudere in un preciso campo speculativo la vivace quanto fuzzy disciplina-pratica speculativa che va sotto il nome di estetica.

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Prefazione

Dizionario d’estetica

torna all'inizioI curatori

Gianni Carchia, (1947-2000) fu professore di estetica a Viterbo, presso l'Università della Tuscia, poi all'Università di Roma III. Esordì nel 1979 con Orfismo e tragedía. Il mito trasfigurato (Celuc), cui seguirono: Estetica ed erotica, Saggio sull'immaginazione, Celuc, 1981, La legittimazione dell'arte Studi sull’intelligibile estetico, Guida, 1982, Dall'apparenza al mistero. La nascita del romanzo, Milano 1983, Retorica del sublime, Laterza, 1990, Arte e bellezza. Saggio sull'estetica della pittura, il Mulino 1995; La favola dell'essere. Commento al Sofista, Qodlibet, 1997, L'estetica antica, Laterza, 1999; Nome e immagine. Saggio su Walter Benjamin, Bulzoni, 2000.

Paolo D’Angelo (Firenze, 1956) è docente di Estetica all’Università di Roma Tre. Tra le sue publicazioni: L' estetica di Bendetto Croce, Laterza, 1982, L' estetica italiana del Novecento, Laterza, 1997, L' estetica del Romanticismo, Il Mulino, 1997, Estetica della natura, Laterza, 2001, Estetica (con Elio Franzini , Gabriele Scaramuzza ), Cortina, 2002, Estetismo, Il Mulino, 2003, Ars est celare artem. Da Aristotele a Duchamp, Quodlibet, 2005.