
Gli uomini torneranno a fare i maestri? È possibile, anche se avverrà gradualmente.
Due sono i motivi di questo ritorno, per ora visibile nella crescita dei maschi tra i candidati a supplenze e insegnamento. Il più evidente è la progressiva perdita di prestigio e di attualità del modello di vita negli ultimi trent’anni: “alti guadagni per alti consumi”. Quello più profondo è il notevole mutamento in atto nelle personalità dei “nuovi maschi”, segnate dalla riscoperta della tenerezza.
Cominciamo dal secondo, che è determinante. Gli uomini stanno cambiando. Chi, come me, osserva il mondo maschile, preoccupato per le evidenti fragilità e squilibri che lo caratterizzavano fin dagli anni 70, non può avere molti dubbi.
L’uomo di oggi, sempre meno prigioniero dell’immagine di forza e autorità ad ogni costo in cui era stato ingessato dalla retorica ottocentesca e dai totalitarismi del novecento, sta ritrovando spontaneità e sicurezza. Non più costretto nel pesante obbligo del comando, sta scoprendo la bellezza delle emozioni, e la possibilità di mostrarle anziché nasconderle.
Tutto ciò lo rende più autenticamente forte e sicuro di sé, e quindi in grado di avventurarsi nel sentimento più delicato: la tenerezza.
Il rapporto di un numero sempre maggiore di padri coi loro figli dimostra che questo processo è ormai stabilmente in corso. E presenta caratteristiche nuove, che si manifestano con evidenza sempre maggiore: nelle coppie unite, durante le separazioni, nell’atteggiamento verso il sociale.
L’educazione sentimentale del maschio, che l’aveva trascurata in modo preoccupante soprattutto negli ultimi due secoli, continua, e sembra difficile immaginare cosa possa interromperla, visto che è portatrice per tutti di maggior benessere.
Come ogni cambiamento profondo, anche questo ha i suoi squilibri e i suoi drammi: quelli degli uomini che non reggono la separazione dai figli, per consuetudine affidati alle madri (anche quando poco affidabili); od i molti travolti da sentimenti che non sanno ancora padroneggiare.
Questo cambiamento consente agli uomini di riprendere gradualmente il ruolo educativo che avevano svolto con convinzione per molti secoli, fino appunto all’Ottocento, durante il quale avevano cominciato a delegarlo alle donne, per dedicarsi alla nascente economia industriale.
La passione educativa del maschile rappresenta la struttura forte, meno opinabile, dell’intera storia della filosofia, da Platone e Aristotele a Agostino fino a Dewey e al pragmatismo americano. Nel novecento, invece, l’uomo che abbandonava la sua vocazione educativa nella società, lasciando la scuola, annunciava già la “società senza padri” che caratterizzò la fine del secolo scorso, di cui oggi paghiamo squilibri e conseguenze.
Certo, la scuola assicura stipendi assai bassi rispetto all’industria, e al terziario. Anche sotto questo profilo, però, ci sono mutamenti profondi. Da una parte la crisi economica, prolungata e forse non rapidamente risolvibile, ha messo in discussione gli scenari più ottimisti legati alle realtà aziendali. Dall’altra la prospettiva di lavori con quozienti di alienazione personale elevata, con compensi magari alti, ma poi investiti nell’obbligatoria gara dimostrativa nello status e nel consumo, è oggi molto meno credibile ed attraente.
Le incertezze economiche, quelle ambientali, la carenza di modelli politici convincenti riportano l’individuo a questioni più personali e profonde. Tra queste, l’uomo si lascia nuovamente affascinare dalla trasmissione del sapere, e della formazione alla vita. Potrebbe finalmente tornare a insegnare.