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Allegorie e simboli del mondo vegetale

di Paola Maresca - 27/04/2011

Fonte: nemetonmagazine



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«Sin dall’antichità – scrive Jung  - l’albero era considerato l’origine dell’uomo, ossia sorgente di vita» (Misterium Coniunctionis. Ricerche sulla separazione e composizione degli opposti psichici nell’alchimia, Torino 1989, pag. 71). L’idea dell’albero come accumulatore di vita divina si ritrova come tema costante nei miti e nella letteratura fin dalla più remota antichità. Nella Edda di Snorri, poema del XII secolo e testo fondamentale della mitologia nordica, l’Albero del mondo, il frassino Yggdrasill, sprofonda le sue radici fin nel mondo infero, mentre i suoi rami sostengono la volta celeste. «Nove mondi ricordo – si legge nell’Edda poetica – nove sostegni, e l’albero misuratore, eccelso che penetra la terra.L’albero è fonte di saggezza cosmica, infatti Odino apprenderà i misteri della vita universale restando appeso per nove giorni sullo yggdrasil.

Il concetto della divinità degli alberi era assai diffuso anche presso i popoli germani. Un grande albero sacro si elevava maestoso nei pressi del tempio di Uppsala: «Accanto al tempio – scrive Adamo di Brema nella sua Gesta Hammaburgensis Ecclesiae Pontificum - vi è un albero che molto protende i suoi rami, sempre verde d’estate e d’inverno: di che specie sia nessuno lo sa. Là vi è anche una fonte presso cui si praticano sacrifici pagani».

Nella filosofia patristica del VI secolo d.C., l’albero appare come portatore di salvezza eterna e di valori cosmici. «Quest’albero che si estende lontano fino al cielo, sale dalla terra al cielo. Pianta immortale, - esclama lo Pseudo Crisostomo nella sesta omelia di Pasqua (2) - si leva dal centro del cielo e della terra; fermo sostegno dell’universo, legame di tutte le cose, supporto di tutta la terra abitata, intreccio cosmico che in sé comprende tutte le variegate forme della natura umana».

Ancora l’albero come simbolo di vita, ma anche come attestazione della stretta correlazione tra universo femminile e mondo vegetale, traspare in un antico poema sumero che racconta la storia della dea Inanna-Ishatar, Regina del cielo e della Terra, e del suo sacro giardino dove la dea pianta con le stesse sue mani l’albero huluppu, una sorta di albero della vita generato dall’unione tra il Signore delle acque e la Regina d’oltretomba. «A quei tempi un albero, un solo albero, un albero-huluppu/fu piantato sulle rive dell’Eufrate./L’albero fu nutrito dalle rive dell’Eufrate./Il turbinoso Vento del Sud si levò, ne divelse le radici/ne sparse i rami,/Finché le acque dell’Eufrate non lo portarono via». Inanna «trasse l’albero dal fiume e parlò:/ Io porterò quest’albero ad Uruk/ Io pianterò quest’albero nel mio giardino sacro./ Inanna si prese cura dell’albero con le proprie mani». (S.Brinton Perera, La Grande Dea. Il viaggio di Inanna regina dei mondi, Como 1987, pag. 12)

Nella letteratura religiosa ebraica l’albero dei Sephirot, trasfigurazione allegorica dell’albero della vita, rivela il piano divino della creazione e la discesa delle energie divine in questo mondo. «L’albero della vita - si legge nello Zohar - si estende dall’alto in basso ed è il sole che illumina tutto. Il suo splendore ha inizio in cima e si estende per tutto il tronco».

Dall’albero la sacralità si estese poi alle foreste. Nel Medioevo si assiste al fiorire di una specifica letteratura che indica la foresta come il luogo delle prove iniziatiche in cui si entra per uscirne trasformati a cominciare proprio dai romanzi del ciclo del Graal che descrivono le peregrinazioni dei cavalieri della Tavola rotonda alla ricerca della magica coppa nella foresta di Brocelandia, dove vive anche Merlino, il grande mago del ciclo arturiano. La foresta, che si connota come speciale luogo sacro, ci rimanda per una identità di simboli al bosco celtico, che racchiude e custodisce il sacro santuario, nemeton.

Nell’ampia produzione di romanzi cavallereschi, grande diffusione ebbe nelle corti d’amore medioevali il Roman de la Rose. L’autore Giovanni Clopinel, detto di Meung, grande studioso di astrologia e soprattutto di alchimia, descrive simbolicamente l’itinerario all’interno di un giardino di un giovane innamorato alla ricerca della sua amata, personificata da una rosa. «Della Rosa d’amor l’arte è tutta chiusa» così l’autore conclude significativamente il poema, che vuole alludere tra le righe alla ricerca della pietra filosofale di cui il fiore della rosa è l’immagine più frequente nella letteratura alchemica.

Le rose, infatti, erano il simbolo della rigenerazione, di cui il sole ne è l’emblema, e non è un caso se i costruttori di cattedrali avevano ornato i loro monumenti di grandi rosoni sui quali si rifrangevano i raggi del grande astro. Sulla scia de Roman de la Rose fu composto in Toscana il poema il Fiore dove il protagonista alla fine di molte prove riesce a penetrare in un giardino in cui madamigella Bellaccoglienza gli porgerà una simbolica rosa purpurea.