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Una mente come l'acqua, le arti marziali di Vernon Kitabu Turner

di Simeon Alev - 07/06/2006

La meditazione, l'illuminazione e le arti marziali sono sempre stati una cosa unica per l'incredibile maestro di arti marziali Vernon Kitabu Turner. In questa intervista parla della padronanza di sé e della radicale trasformazione della sua mente. E degli eventi della sua vita che lo hanno trasformato da bambino debole a maestro indiscusso.

 

“Sì, conosco Turner”, disse la voce dall’altra parte del filo. Stavo parlando con l’investigatore Willie Mills del dipartimento di polizia di Portsmouth in Virginia, Unità di Prevenzione del Crimine, un virtuoso delle arti marziali ed un ex studente del maestro di jujitsu C.O.Neal. Prima di aver parlato al telefono con l’investigatore Mills non ci avrei puntato un euro. Ora ero emozionato. Mills, più di venticinque anni prima, era stato testimone del leggendario spettacolo pubblico nel quale uno sbarbato poeta di nome Vernon Kitabu Turner accettò, nella regione metropolitana di Hampton Roads, la sfida dei migliori esponenti d’arti marziali e li sconfisse in pochi secondi. E la cosa ugualmente stupefacente e sbalorditiva della rapidità con la quale Turner si sbarazzò dei suoi pericolosi rivali, fu la tecnica usata per sconfiggerli: usò solo un dito!

Mi scusai con l’investigatore Mills per il mio scetticismo. La settimana precedente avevo già trascorso, alla periferia di Norfolk, una bella giornata in visita di Turner, un uomo straordinariamente gentile, e nel tentativo di verificare le sue sbalorditive asserzioni mi sentivo vagamente colpevole.

“Non devi scusarti”. Disse Mills. “Sono un poliziotto. Controllo tutto: fossi in te lo verificherei”.

Ammisi che avevo difficoltà a visualizzare la tecnica a un dito di Turner.

“Hai mai visto uno che viene accoltellato? É difficile vedere quello che accade – simile a due persone che danzano”. Spiegò Mills “Il coltello fa tutto il lavoro. Non appare gran che, ma è molto dannoso”.

“Oh” Dissi, trovando ancora difficile immaginare Turner dar libero corso a tale invisibile strage dei suoi oppositori, in particolare, dal momento in cui lui stesso mi aveva detto, che le sue vittime non sentono dolore, non hanno ferite e non infondono altro che amore nel suo cuore.

“Beh”. Disse l’investigatore. “Ha un’abilità non comune. Poco comune – ma non sconosciuta. Si chiama “una mente come l’acqua”, e se ne senti parlare per la prima volta, allora ti stai imbarcando in un viaggio affascinante”.

Mentre riflettevo sulla giornata trascorsa con Kitabu Turner, capii che era stato solo l’inizio, e che per qualche misteriosa ragione, Turner – non solo le sue incredibili abilità ma l’uomo stesso – rimaneva in qualche modo un enigma dopo il nostro incontro tanto come lo era stato prima di volare in Virginia, quando mi aspettavo di essere accolto all’aeroporto da un ibrido impersonificato fra Kwai Chang Caine del Kung Fu e Superman. Se ogni cosa che avevo letta su di lui era vera avevo riflettuto che Kitabu Turner era probabilmente la cosa più simile ad un vero supereroe che avessi mai incontrata…

Vernon Kitabu Turner è nato a Portsmouth nel 1948, e mentre mi portava al mio hotel dall’aeroporto di Nortfolk, le sue descrizioni dei dintorni che scorrevano all’esterno del finestrino richiamavano alla memoria le tribolazioni e le indegnità della sua gioventù nel segregato sud –“durante un periodo”, mi ricordò lui più tardi, “in cui i neri non avevano diritti e le nostre vite valevano poco”. Fu in quelle circostanze che, all’età di nove anni, fece voto “di diventare il protettore dei deboli”, dedicandosi all’arte dell’autodifesa “con non meno devozione di un samurai del Giappone”. Questa fu un’importante decisione per un bambino debole amante dei libri, che a causa dei suoi lunghi inspiegabili silenzi e un peculiare senso di distacco dal suo corpo, era sempre stato considerato “strano” dalla sua famiglia e dagli amici.

Quando aveva dodici anni ed era qualcosa di simile ad un prodigio, Turner fu presentato al compianto Maestro Neal, che dirigeva un dojo (scuola d’arti marziali) nel suo quartiere. Neal riconobbe il potenziale del ragazzo, ma Turner non scelse di studiare con lui, mantenendo invece un’intima ma informale relazione con il famoso insegnante mentre praticava da solo e ideava degli allenamenti dai manuali antichi d’arti marziali giapponesi che aveva scoperto in biblioteca. (Fu da uno di questi testi che imparò per la prima volta il Bushido, la via del guerriero). Poi all’età di diciassette anni, dopo aver trascorso quasi due anni all’ospedale con la tubercolosi, Turner lasciò la Virginia per New York dove, con il solo numero di telefono di un amico della madre, iniziò una nuova vita a Betford-Stuyvesant, sezione di Brooklyn, zona infestata dalle gang. Dopo qualche settimana dal suo arrivo, mi disse di aver già iniziato a mantenere la promessa della sua gioventù, guadagnandosi una reputazione nelle strade di una città non familiare, per la sua ardita volontà di affrontare “la violenza e altre forme di stupidità”. Durante la sua permanenza a New York, Turner completò le scuole superiori e l’università, e lavorò come scrittore e redattore, contribuendo con le sue doti letterarie e teatrali al movimento nascente delle Black Arts. Ebbe diversi incontri insoliti e all’apparenza casuali con maestri spirituali itineranti dal vicino e lontano oriente, il più potente dei quali fu l’incontro voluto dal destino con il Maestro Zen Nomura Roshi nel 1967. Nel suo libro Soul Sword, Turner scrive: “I problemi familiari avevano scatenato un conflitto emozionale che non mi dava pace. In seguito, un giorno, dopo aver pregato per ricevere guida e sollievo dal dolore, fui condotto dallo spirito dentro di me per venticinque chilometri, fino al Greenwich Village. Incontrai un uomo in kimono, seduto con le mani incrociate su una panchina del parco di Washinghton Square. L’atmosfera attorno a lui era pregna di pace, ero in estasi in sua presenza”.

Turner meditava, secondo la sua stima, da quando aveva tre anni e si era sempre sentito isolato dagli altri e insicuro del posto che aveva nel mondo a causa della sua natura profondamente spirituale e orientata all’introspezione. Alla presenza di Nomura Roshi, che era appena giunto dal Giappone il giorno prima, Turner ricevette una conferma istantanea della sua esperienza e prontamente lo accettò come suo insegnante. “Dopo essere stato iniziato alla via dello zazen (meditazione) dal Maestro”. Egli scrive “Continuai a praticare le arti marziali e a fare shikan-taza (meditazione senza forma), come se non ci fosse nessuna relazione tra le due. Immagina come fui stupito un giorno, mentre ero seduto in meditazione ci fu un fondersi di barriere, un lampo di luce, e immediatamente compresi dall’interno il segreto della difesa personale. Non c’era mistero, quando mi alzai dalla sedia, sentii come se tutto fosse chiaro”. Praticamente, senza nessun training formale nelle arti marziali, il giovane Turner sembrerebbe – in un lampo di luce - diventato un Maestro.

Conoscevo già la fine della storia. Turner passò i mesi successivi cercando Maestri d’arti marziali desideroso di mettere a prova la sua realizzazione – e superò ogni sfida. Poi, quando ritornò in Virginia, il suo vecchio amico, il Maestro Neal, organizzò un saggio di combattimento per mezzo dei Direttori delle Organizzazioni Unite di Dojo (BUDO), “un concilio riconosciuto dai sensei (insegnanti) di più alto grado e dai maestri di Hampton Roads”. Turner fu contrapposto a “cinture nere di vecchia data, ad un certo punto contro sei cinture nere allo stesso tempo”. Alla fine della sua prova il concilio si riunì. “Grazie alla benevolenza dei maestri e alla direzione del mio Maestro Interiore, feci un salto da zero a cintura nera e quarto grado in wa-jitsu (la via dell’accordo) e in Aikijutsu, e dal concilio fui insignito del premio Ronin (guerriero senza maestro)”. Poco dopo, Turner ebbe l’incontro più decisivo della sua vita. Incontrò il suo amato Guru indiano, Sant Keshavadas, che lo riconobbe come un insegnante spirituale e benedisse la sua missione per “guarire l’anima Afro-Americana”.

Mentre ci dirigevamo verso il centro riportavo alla memoria le immagini del supereroe che la prosa di Turner mi aveva suscitato e non potei fare a meno di chiedermi quanto il guerriero divinamente ispirato che aveva impresso la mia mente, fosse simile all’essere umano in carne ed ossa col quale ero in procinto di trascorrere il pomeriggio. Mi scoprii sempre più desideroso d’iniziare la nostra intervista. La mia “mente del viaggiatore” si era calmata fermandosi sulle domande impegnative che mi avevo portato fin lì. Qual era il “segreto” che l’uomo dalla parlata gentile seduto al mio fianco, aveva compreso? Era l’Illuminazione? E se così, in che modo ciò era in relazione con una padronanza di se così completa che a giorni dalla sua rivelazione egli aveva voluto sottoporre a una tale estenuante serie di verifiche incontrovertibili? Durante le ore successive, mentre il nostro dialogo procedeva, avrei incontrato molte dimensioni della padronanza e dell’Illuminazione in un uomo straordinario che cammina con non chalance attraverso i mondi delle arti marziali e dello zen roshi.

Simeon Alev: Qual è, secondo te la relazione tra l’illuminazione e la padronanza di sé?

Kitabu Turner: L’Illuminazione prima di tutto è arrivare a capire che non esiste un Sé nel senso convenzionale della parola. La gente tende a pensare al sé come: “io sono il tipo che è andato ad una certa scuola superiore ed ha avuto certi genitori, e sono il tipo che ha preso una laurea in economia, e vivendo queste esperienze ho raggiunto queste cose.” Ora, questo Sé di cui stiamo parlando è puramente illusorio. L’Illuminazione è arrivare a capire, o a fare l’esperienza che non c’è un Sé oggettivo – c’è l’Essere, ma non c’è un Sé oggettivo – ed è nel lasciar cadere quella nozione che uno sperimenta quello che veramente è nel senso universale. In quel momento accade l’illuminazione – quando realizzi di non essere in controllo. E per questo, sei molto in controllo.

Simeon Alev: E come lo distingueresti dalla padronanza di sé?

Kitabu Turner: L’Illuminazione è l’apertura dell’occhio della percezione alla realtà assoluta dell’Esistenza stessa. In una scala finita, però, l’applicazione sarebbe la padronanza di sé. Dal punto di vista dell’Illuminazione, non c’è nessuno lì – non c’è un tu che funziona in opposizione a questa o a quella persona; la tua esperienza è completa, totale, contiene il cosmo, ma quando l’Illuminazione si esprime nella forma, come camminare per strada, parlare e atteggiarsi, allora la sua luce brilla attraverso gli occhi di una singola entità, e in questo caso è conosciuta come “padronanza di sé”.