Il mondo è sconcertato per i comportamenti di adulti più o meno gravemente fuori controllo: potenti sotto i riflettori del mondo intero, preti di provincia, politici di vario profilo, e tanti altri.
Ci si chiede insistentemente: perché, e come mai? Forse però non si tiene conto abbastanza che ormai da molti decenni, nell’educazione delle persone, il rispetto per gli altri è un valore secondario.
Gli adulti di oggi, anche gli anziani, si sono formati in una morale individualistica.
Il grande funzionario internazionale, come il manager o il politico affermato, è cresciuto da almeno quarant’anni nel mito del successo personale, dove “gli altri” hanno un ruolo di comparsa, di sfondo. Si tratta di un mito che produce da sempre squilibri psicologici perché lascia l’individuo, unica misura del bene e del male, in una posizione di solitudine, e quindi di ansia e di infelicità.
È soltanto quando l’educazione propone uno sviluppo individuale calato in valori comunitari, in relazioni con gli altri, visti non come sudditi o strumenti di piacere ma come persone, che il successo si traduce davvero in una crescita della personalità complessiva, e non in una miccia per lo sviluppo di psicopatologie.
L’uomo ha bisogno dell’altro non in omaggio a retoriche moralistiche o da “pensiero debole”, ma perché altrimenti impazzisce.
L’equilibrio psicologico è sempre un equilibrio tra sé e gli altri. Quando qualcuno conquista una posizione di successo solitario (come ad esempio il “bambino prodigio”), rischia lo scompenso e la follia. E, più tardi, anziché cercare l’altro nell’incontro quotidiano della condivisione della fatica e degli ideali, lo ricerca nella violenza, trasformandolo in oggetto di piacere, di scarico della propria aggressività.
L’ossessione sessuale è l’altro volto del mito del successo individuale. L’”altro”, espulso dall’orizzonte dei valori della vita quotidiana, ricompare ossessivamente come preda che si è costretti a inseguire, vittima da conquistare.
Il mito del successo e dell’affermazione individuale, con la solitudine e il disordine psichico che ne conseguono, sono legati a fenomeni più vasti (e tra loro legati), di cui sono in un certo modo la conseguenza: la crisi dell’esperienza religiosa e le fantasie di potenza della scienza.
La crisi religiosa deriva da quel lungo processo (detto di secolarizzazione), che almeno dal 700 in poi allontana l’immagine di Dio dalla vita quotidiana dell’uomo, che si riduce alla relazione con oggetti e possessi materiali (tra i quali quelli affettivi).
La scomparsa di un Padre trascendente provoca l’indebolimento del rapporto coi padri terreni e con le norme di cui sono (o dovrebbero essere) testimoni, ed anche la difficoltà di un’autentica fratellanza con gli altri uomini.
Da un certo punto di vista, se non c’è più un Padre, non possiamo più essere fratelli, e neppure padri. Per questo i preti soffrono in modo particolarmente drammatico della “secolarizzazione”, nella quale stentano a volte a mantenere un equilibrio, e a non trasformarsi, da padri, in cacciatori di vittime.
La pedofilia non nasce solo da indisciplina sessuale, ma anche da una crisi religiosa. L’ideologia poi dell’onnipotenza della scienza, come anche quella dell’onnipotenza dei mercati, accentuando lo strapotere dell’individuo, non fanno che renderlo più solo ed accentuarne i potenziali squilibri. Non per niente la storia della scienza, come quella dell’economia sono ricche di patologie, che non sempre riescono a rimanere nascoste.
Diventare Dei rimane difficile, forse impossibile. È questa l’origine delle follie contemporanee.