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Quel vecchio angelo di Jack Kerouac

di Romano Guatta Caldin - 08/06/2011

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La scrittura spontanea sta alla letteratura come il jazz sta alla musica; è questo, quello che direbbe un qualsiasi cultore di jazz, dopo aver letto Old Angel Midnight (Vecchio Angelo Mezzanotte) di Jack Kerouac. Come i jazzisti che creano la loro melodia improvvisando su una struttura armonica di base, anche Kerouac, partendo dal raggiungimento di un estasi meditativa, ha manipolato immagini e parole basandosi su un unico “flusso di coscienza”.
Il testo in questione prende forma in un momento di crisi creativa dell’autore; infatti Kerouac scrive a Clellon Holmes: “non so davvero più cosa scrivere, alla fine mi sono messo a scribacchiare un testo interminabile di scrittura automatica, una specie di delirio senza posa e senza direzione (…)”. Purtroppo, come tutti i più grandi autori, anche Kerouac era incline al vizio di sottovalutare la propria opera.
Siamo nel ’56, lo scrittore ha già pubblicato sei romanzi, un libro di poesie (San Francisco blues) e un libro di scritture buddhiste (Some of the Dharma). Da segnalare è che prima dei poeti beat, fra gli scrittori americani, ci aveva già pensato Ezra Pound ad “aprire la strada” ad Oriente. Ed infatti, in Macdouglas street blues, Kerouac - seppur nel suo stile allucinato - rende omaggio al poeta dei Cantos:
I cavalli rincularono
Matto Ebreato bestiame
E boom! Lo sbirro ha sparato a Bates
Crue ne ha eliminati due - Io gridai: Pound poesiò!
 
Ma al di là dell’indiscutibile influenza che ebbe Pound, all’interno della beat generation, quello che mi preme sottolineare è che il progressivo approfondimento del buddhismo , in particolare delle tecniche meditative orientali, da parte di Kerouac, è da far risalire all’incontro con Gary Snyder, un altro poeta, un ambientalista, il più serio conoscitore di buddhismo zen, fra gli scrittori beat.
A questo punto, però, dobbiamo fare un passo indietro. Kerouac si era avvicinato al buddhismo già anni prima, ma da autodidatta e, cosa da non ignorare, in compagnia di Neil Cassady. Nel ’54, l’autore di On the road aveva iniziato a leggere la Vita di Buddha di Ashvagosa, iniziando, così, il suo percorso verso l’Illuminazione. L’unico problema erano le tecniche meditative messe in atto dai due per il raggiungimento del Satori: Jack e Neil, chiusi in casa per giorni, si imbottivano di benzedrina e barbiturici; il primo in cerca della via che porta a Buddha, il secondo intento a sperimentare tecniche di trasmigrazione dell’anima.
Il risultato di queste “sedute meditative” porterà all’incrinarsi dei rapporti fra i due scrittori e, quindi, alla fuga di Kerouac a San Francisco. Sicuramente, le abitudini esistenziali di quest’ultimo erano ben poco affini ad una persona che è in cerca della pace interiore ma, del resto, come ha scritto Eric Mottram: “Raramente Kerouac poté limitarsi ad aspettare il momento di pace. Condusse la tradizionale vita underground propria di quelli che mettono in pratica la doppia promessa di Demetra e Persefone; conoscerai l’estasi e la disperazione, poi rinascerai”.
E questa rinascita, questa pace interiore, Kerouac la trovò, anche se per breve tempo, nella primavera del ’56, quando con Gary Snyder andò a vivere in una baracca di legno, circondata dal verde, a Mill Valley, distante solo quaranta minuti da San Francisco.
Ma quaranta minuti sufficienti a separare i due poeti dal caos della metropoli, distanza – fisica e psichica- che permise loro di vivere fra l’armonia del fruscio delle foglie ed i versi dagli animali che si aggiravano per quei boschi. L’atmosfera era ideale per scrivere un testo di scrittura spontanea, tanto che Snyder, a un certo punto, rivolgendosi all’amico: “Okay Kerouac, è ora che ti metta a scrivere sutra”. Accettata la sfida, il nostro si mise all’opera. Ogni sera, dopo aver acceso l’unica lampada a cherosene di cui era in possesso, Kerouac cominciò gradualmente ad addentrarsi nei meandri del proprio IO, naturalmente, accompagnato dalle melodie che la natura intorno gli regalava.
Un viaggio interiore, si, ma anche la rappresentazione di quello che è stato, in parte, il mondo della beat generation. Dall’analisi terminologica, infatti, viene alla luce tutto quell’universo fatto di sperimentazioni drogastiche e sessuali, alcool e notti ai limiti della disperazione. Ma se questi temi, nel testo, sono prevalenti, al contempo, nelle pagine di Vecchio Angelo Mezzanotte c’è anche tutta quella tensione emotiva tipica di chi è alla ricerca sé e di una nuova religione a cui affidare le proprie speranze di redenzione. Una incessante corsa verso Dio e le sue forme, una caccia al divino che porterà Kerouac a identificarsi con l’universo e il suo ininterrotto fluire. Temi e ricerche che l’autore riprenderà, sviluppandoli più accuratamente, ne La scrittura dell’eternità d’orata - Koan zen e poesia beat.
Questo non è un testo di facile lettura: l’uso dello slang è frequente, quindi, difficilmente comprensibile, per non parlare della commistione di lingue differenti (vedasi l’uso del francese) e l’inserimento di termini inventati di sana pianta dall’autore. Lo stesso traduttore, Luca Guerneri, ammette di aver pensato alle risate che si sarebbe fatto Kerouac se avesse visto qualcuno intento a tradurre il suo libro.
Insomma, se decideste d’iniziare la lettura di Vecchio Angelo Mezzanotte, l’unica cosa che posso dirvi, prima che apriate il libro, è di seguire questo consiglio, sempre del vecchio Jack: “aspetta un poco, chiudi gli occhi, smetti qualche secondo di respirare e ascolta l’intrinseco silenzio nel grembo del mondo”.