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Il Papa ecologista

di Carla Ravaioli - 12/06/2006



 

Dibattito. Il responsabile del declino ambientale è noto a tutti: si chiama società industriale capitalistica. Ma tutti fingono di non sapere


Benedetto XVI si scopre ecologista, accusa “le libertà fittizie che distruggono l’ambiente” e duramente rampogna “l’uomo che sta sporcando la Creazione”. La cosa fa scalpore. I giornali ci fanno su titoli vistosi.
La Repubblica In particolare dedica al fatto un’intera pagina, interrogando in proposito due filosofi di tutto rispetto, il francese Pascal Acot, tra l’altro storico dell’ecologia, e Massimo Cacciari.

“Si denunciano gli effetti ma non si arriva mai alle cause”, recita il titolo dell’ intervista a Cacciari, firmata da Carlo Brambilla..
E vien fatto di applaudire: finalmente!
Di solito infatti quanti (non molti) denunciano gli eccessi di consumismo e produttivismo come cause determinanti dello squilibrio ambientale, raramente si domandano poi come e perché il consumismo imperi e il produttivismo si sia imposto come un articolo di fede.
Speranzosi leggiamo dunque Cacciari. Il quale appunto lamenta che “si denunciano certe aberrazioni di una certa ideologia economicistica, di una certa ideologia liberista” senza mai andare alle “cause strutturali” dei fenomeni, cioè al “sistema sociale” che li produce.
Perfetto.
Senonché, continuando a leggere, si scopre che il riferimento è al “cristianesimo originario”, e che i motivi per cui “l’uscita ambientalista del Papa non convince” stanno nel mancato confronto con “altre grandi tradizioni religiose e filosofiche”, quale ad esempio il buddismo, e nel fatto che non viene considerato il “nesso costitutivo tra una visione tecnico-scientifica del mondo e alcuni elementi fondamentali dello stesso cristianesimo.”

Nemmeno il francese Pascal Acot, interrogato da Antonio Cianciullo, si riconosce nel discorso papale, che trova “fuori dalla storia”.
Sono “alcune distorsioni della società” e “la corsa al profitto” a causare “un degrado di dimensioni allarmanti“, esordisce.
Anche il discorso di Acot sembra dunque promettere bene.
Ma subito svia, e va a parare, nientemeno, nella mancanza di democrazia e libertà, data come determinante dei più gravi disastri ecologici: vedi cosa è accaduto nell’ex Unione Sovietica con il Lago di Aral, riempito di pesticidi e quasi prosciugato, ormai irreparabilmente privo di vita.
E se poi l’intervistatore gli fa opportunamente notare che “il paese più liberale del mondo, gli Stati Uniti, è anche il maggior inquinatore globale”, risponde che il peggio accade quando “alla logica del mercato non si accompagna il rispetto degli interessi comuni”.

Io non sono una studiosa di buddismo né di cristianesimo.
Per quel pochissimo che ne so, sono comunque d’accordo sul fatto che la religiosità orientale si rapporti alla natura in modo assai diverso dalla cultura occidentale, cui in qualche misura anche il cristianesimo è assimilato.
E certo (sebbene non si veda così di frequente la logica del mercato accompagnarsi agli interessi comuni) anche Acot non mente quando parla dei vincoli che impedivano ai cittadini sovietici di denunciare il mostruoso inquinamento del loro paese.

Ma francamente, in ambedue i casi, faccio fatica a ricondurre la crisi ecologica planetaria alle ragioni addotte.
Possibile che due persone come Acot e Cacciari non ne vedano altre?
Possibile che non sappiano che si deve alla società industriale capitalistica l’introduzione di processi produttivi che offendono e alterano gli equilibri naturali, in quanto nettamente diversi da quelli che nella storia hanno consentito un’armonica cooperazione tra specie umana e natura?
E possibile che non sappiano che è la logica stessa del capitalismo, fondato sull’accumulazione, cioè sulla produzione esponenziale di valore, sulla crescita illimitata insomma, la ragione prima dell’insostenibilità ecologica?
Ma certo che lo sanno. Lo sanno in molti. Secondo me lo sa anche il Papa. Perché nessuno, o quasi, lo dice?