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Carl Gustav Jung: strano ma genio

di Marco Iacona - 13/06/2011

Fonte: scandalizzareeundiritto

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In principio fu Giorgio Gaber, che se la prendeva con chi divideva il mondo in due fette: l’emisfero con le cose di “destra” e l’emisfero con quelle di “sinistra”. Doccia di sinistra, vasca da bagno di destra, eccetera. Andando avanti così, ognuno di noi poteva giungere fino alla suprema divisione di campo fra i papà di quella “strana cosa” che è la psicologia analitica, scrivendo il nome di Freud sulla parte sinistra della lavagnetta e quella del suo “discepolo” Jung su quella destra. Una delle (principali) differenze fra i due? Freud era ateo, Jung invece era interessato alla natura spirituale dell’uomo con annessi e connessi. A questo punto, entrambe le squadre avevano il loro “capitano” e tornavano a casa contente.
La cose da dire però, non sarebbero poche. “Spiritualità” è una specie di parola passepartout che può significare tutto e niente – Mefistofele, per esempio, era un personaggio dotato di una spiritualità mica da ridere… Sovente, il ricorso alle dodici lettere che compongono la parola “spiritualità” può essere il colpo a effetto di chi è dotato di una personalità eccezionale – quindi: singolare, insolita, poco diffusa e inimitabile – oppure la condotta di chi si trova sprovvisto di idee o forse, al contrario, di chi crede di averne perfino fin troppe di idee; infine, il “colpo da knock-out” di chi nasconde la testa sotto l’ala dei paroloni ed è incapace di riflessioni che sappiano volare ad altezza giusta, per esempio alla semplice altezza degli altri uomini. Ecco perché sugli autori, scrittori e personalità che parlano di “spiritualità” andrebbe fatto un ragionamento molto particolare, selettivo e approfondito.
Profittiamo del cinquantesimo anniversario della morte di Carl Gustav Jung (che cadeva il 6 giugno scorso), per ri-avvicinarci a quest’autore e per sottrarci contemporaneamente a quello strano dovere che Richard Noll, autore negli anni Novanta di un saggio fortemente critico su Jung e junghiani – Jung, il profeta ariano – citando Ferdinand Tönnies ricordava fin dalle prime pagine del suo libro: il cosiddetto culto di Nietzsche e di tutti i nietzscheani derivati e successivi. Al di là del peso da dare ad alcune vicende biografiche, ne guadagnerà l’autore e ne trarranno profitto quelli che vogliono e possono ampliare – in modo sereno e pacato – le loro conoscenze.
Siamo abituati a vedere in Freud il padre di un pansessualismo quasi maniacale e in Jung invece colui che apre a una concezione complessa della libido, che tiene conto di un patrimonio di tipo “storico”. Il viennese avrà un difensore di “lusso”, quell’Evola che vedeva nel sesso la radice «fondamentale» della «vita naturale». Qualcuno l’avrebbe mai detto? Il particolare approccio junghiano alle discipline del tempo – delle scienze sarà anche critico attento – si avverte invece tenendo conto delle particolari passioni intellettuali del medico di Kesswil: l’egittologia, le scienza naturali, ma anche la filosofia. Jung di famiglia povera ma di grandi ambizioni, diventa medico quasi per caso e capisce che la strada giusta è lo studio della psiche umana, dopo aver letto un libro di psichiatria. A quel tempo – siamo agli inizi del Novecento – la psichiatria è ancora una disciplina praticamente inesistente. Freud e Jung si conoscono personalmente nel 1907 e diventano amici anche se le loro personalità divergono in maniera netta.
In una famosa intervista rilasciata nel 1959 alla tivù inglese, Jung parla di Freud come di un uomo sicuro di sé, con una mentalità “poco filosofica” e poco aperta al dubbio. L’amicizia fra i due – già precaria – è dunque destinata a rompersi molto presto; l’atto finale è la pubblicazione del volume Trasformazioni e simboli della libido (1912). Jung sostituisce al simbolismo di tipo sessuale del papà della psicanalisi una personale – anche se al tempo assai diffusa – concezione di tipo mitologico. Dichiara fra l’altro che nella psiche di ogni individuo c’è uno strato impersonale e che la psiche stessa rivolta verso un’“interezza” nella quale il conscio e l’inconscio – mai vacante – cercano un equilibrio, non è legata alle regole di tempo e di spazio generalmente conosciute; naturale corollario è che il particolare “status” di cui gode la psiche rimanga in carica per la vita e anche dopo la morte biologica; inoltre Jung è in grado di testimoniare l’esperienza di un paziente che descrive i rituali mitraici del gran papiro magico di Parigi, ancor prima che esso venga rinvenuto. Sarà senz’altro così. Ma Jung è celebre per aver dato credito ai cosiddetti “fenomeni paranormali”, agli Ufo (anche se non sempre alla loro realtà “fisica”), alle fenomenologie delle culture orientali, all’alchimia e a suo modo all’esistenza di Dio. Celebre è la frase junghiana io non affermo di credere in Dio, ma affermo di sapere! Per taluni ciarpame da Occidente in forte crisi di identità e in attesa di una “liberazione” politica, per altri, insieme ai contributi di Goethe, Schopenhauer, Nietzsche e ai rimandi alla classicità – peraltro di gran moda nella prima parte del XX secolo – uno dei forzieri di maggior valore di uno studioso impenetrabile.
E gli archetipi? Altro non sarebbero se non «forme» di tipo universale del cosiddetto inconscio collettivo, cioè di quella sorta di memoria dell’umanità che va ben oltre l’individuo. Gli archetipi, come qualsiasi appassionato sa, si trovano facilmente nelle favole, nei sogni e appunto nei miti. Fascino, lavoro, intuizione. Un gran personaggio Jung, non c’è che dire, un collettore – nobile e raffinato – di culture diverse, spiritualiste, elitarie e vitalistiche, comprese quelle, “alternative” che sempre secondo Noll vanno a braccetto con certo nazionalismo tedesco della prima parte del Novecento. Uno Jung essoterico sicuramente, ma che si accompagna anche a uno Jung intimo, che va oltre le incognite legate alle personali esperienze, umane e professionali. Oltre le «visioni apocalittiche» in primo luogo, che contrassegnano la maturità di un uomo felice ma vicino alla follia. Adesso, è tutto nel suo Libro rosso, sorta di diario di un’anima iniziato nel 1913 e pubblicato in Italia per Bollati Boringhieri appena qualche mese fa. Nessuno ha mai dimenticato Jung. Certamente, neanche i suoi misteri.