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Cia e MI6 collaboravano con Gheddafi

di Ferdinando Calda - 06/09/2011


Prima che scoppiasse la rivolta in Libia e il Muhammar Gheddafi (ri)diventasse il nemico numero uno, i servizi segreti occidentali, in particola la Cia statunitense e l’MI6 britannico, hanno portato avanti per anni una stretta collaborazione con l’intelligence di Tripoli, in nome della “guerra al terrore”. Lo scambio era reciproco: la Cia e l’MI6 consegnavano ai libici i sospetti terroristi (il più delle volte arrestati illegalmente) perché venissero interrogati in maniera “decisa” al di fuori delle “scomode” leggi sulla tortura, in cambio aiutavano il governo di Tripoli a catturare gli oppositori del regime.
Era già noto che i servizi di intelligence occidentali avevano iniziato a cooperare con la Libia dopo che nel 2004 Gheddafi aveva annunciato l’intenzione di rinunciare a dotarsi di armi non convenzionali. Tuttavia, alcuni documenti ritrovati nei palazzi governativi della capitale caduta, e pubblicati nei giorni scorsi da New York Times, rivelano che la cooperazione tra l’intelligence libica da una parte e la Cia e l’MI6 dall’altra era molto più estesa di quanto generalmente si credesse.
Da questi documenti emerge che almeno in otto occasioni gli statunitensi hanno inviato (illegalmente) presunti terroristi in Libia per farli interrogare (leggi “torturare”) dagli uomini di Gheddafi. Questi ultimi, da parte loro, erano ben felici di assecondare la guerra al terrore di Bush e Blair in cambio – anche – d’informazioni cruciali sugli oppositori politici in esilio del rais.
Tra le persone che statunitensi e britannici avrebbero consegnato nelle mani di Tripoli c’è anche Abdelhakim Belhaj, fondatore del Gruppo islamico di combattimento libico (Lifg), un’organizzazione radicale di matrice islamista (e con sospetti legami con al Qaida) nata con l’obiettivo di rovesciare il governo di Gheddafi.
Attualmente Belhaj, noto anche con il nome di Abu Abdullah al-Sadek, è il capo militare del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) e gode di un grande ascendente sui ribelli che hanno conquistato la capitale. E adesso chiede le scuse di Washington e Londra per le torture che gli hanno fatto subire (e in alcuni casi inflitto loro stessi). “Ciò che è successo a me e alla mia famiglia è illegale. Servono le scuse, anche per quello che mi è capitato quando sono stato catturato e torturato”, ha dichiarato.
Ex mujaheddin contro i sovietici in Afghanistan, dopo una breve parentesi in Pakistan e in Iraq, Belhaj fondò nel 1995 insieme ad altri suoi connazionali il Lifg, che rivendicò nel 1996 un tentativo fallito di assassinare il colonnello di Tripoli. Dopo alcuni anni vissuti da latitante, nel 2004 l’esponente del Cnt fu arrestato in Malaysia, grazie al determinante contributo dell’MI6, e poi trasferito in Thailandia in un carcere segreto di Bangkok dove, secondo quanto riporta Human Right Watch, fu torturato dalla Cia. Nel 2004 gli agenti segreti Usa consegnarono l’attuale capo militare del Cnt alle autorità libiche che lo rinchiusero per sei anni nel famigerato carcere di Abu Salim, a Tripoli.
A questo proposito, tra i documenti ritrovati nei palazzi governativi della capitale (e pubblicati dall’Independent on Sunday), c’è anche una lettera di un ufficiale dei servizi segreti esterni britannici (Sis) in cui si chiede al capo dell’intelligence libica Moussa Koussa di avere accesso alle informazioni estorte a Belhaj per mezzo di “tecniche d’interrogatorio potenziate”.
In cambio la Gran Bretagna si impegnava a fornire informazioni sui dissidenti libici in esilio. Inoltre, nel 2009, 14 uomini delle SAS spesero nove mesi in Libia ad addestrare la brigata Khamis, le forze speciali fedeli a Gheddafi che si sono rese protagoniste con diverse azioni contro i ribelli nel recente conflitto.