L’angoscia degli israeliani “Siamo rimasti senza amici”
di Aldo Baquis - 07/09/2011
Attriti con gli Usa e timori per la primavera araba: sarà un inverno islamista
Non inasprire gli animi con la Turchia»: questa la ferrea parola d’ordine che vincolava ieri i dirigenti israeliani, mentre da Ankara giungevano le eco della nuova sfuriata del premier Recep Tayyp Erdogan.
In mattinata era parso di comprendere che la Turchia volesse troncare - assieme con la cooperazione militare - anche i rapporti commerciali. Con un interscambio annuale di quasi quattro miliardi di dollari, la Borsa di Tel Aviv ha registrato un tonfo immediato. In seguito però il ministro turco del Commercio ha precisato che le parole di Erdogan erano state fraintese: gli affari fra privati cittadini, ha garantito, possono proseguire. E nella Associazione degli industriali israeliani si è sentito un profondo sospiro di sollievo. «La crisi politica con la Turchia era tangibile già nei mesi scorsi. Eppure i rapporti economici sono cresciuti del 25 per cento, rispetto al 2010», ha osservato Arye Zeid, presidente della Camera di commercio. «L’economia è più forte della politica».
Ma certo il futuro non appare roseo. «Non appena i furori saranno sbolliti, dovremo tornare a parlarci», ha stimato il ministro Dan Meridor (Likud) che nei mesi scorsi aveva cercato di concordare con la Turchia una dichiarazione israeliana di rammarico per la cruenta intercettazione della Marmara, la nave passeggeri diretta un anno fa verso Gaza. Ma Meridor si è trovato in minoranza nel suo governo.
«Abbiamo fatto bene a non scusarci», ha replicato il ministro Israel Katz (Likud). «I turchi volevano solo vederci in ginocchio. Le scuse non avrebbero migliorato la situazione». E se adesso, gli è stato chiesto, le navi da guerra turche mettessero alla prova il blocco navale israeliano di Gaza? «Non ci facciamo intimidire - ha replicato Katz -. Proprio i governi israeliani deboli si sono lasciati trascinare a conflitti»: allusione, velenosa, al governo di Ehud Olmert che condusse due operazioni militari. Una in Libano (2006) e l’altra a Gaza (2008-9), con il sostegno esterno del Likud.
Oggi l’orizzonte strategico è, per Israele, più cupo che mai. Il comandante delle retrovie teme ora un conflitto in grande stile: nel suo binocolo non c’è alcuna «primavera dei popoli arabi», bensì un «inverno dell’Islam radicale». Israele è rimasto quasi senza alleati regionali: con la Turchia la rottura è pressoché totale, l’Egitto di Mubarak appartiene al passato. E gli Stati Uniti? Hanno una pessima opinione del premier Benyamin Netanyahu. «È un vero ingrato», ha detto di lui di recente l’ex Segretario di stato Bill Gates. Gli Usa si sono prodigati molto per garantire le difese di Israele, ma il premier lo ha deluso. «Non comprende quanto sia pericoloso per Israele il suo isolamento». Parole che hanno irritato lo staff del premier: la politica di Netanyahu, ha replicato, gode di ampio sostegno: in Israele, e anche nel Congresso di Washington.
La partita con la Turchia è tutt’altro che chiusa. La prossima mina vagante è rappresentata dalle trivellazioni per la ricerca di gas naturale fra Israele e Cipro. Ankara ieri ha fatto notare che anche il settore turco di Cipro deve avere voce in capitolo. E la Marina militare turca è pronta a difendere, a spada tratta, gli interessi nazionali. Israele e Cipro sono avvertiti.