Palestina Addio. Gli Usa dicono no all’autoproclamazione
di Roberta Zunini - 09/09/2011
Che Barack Obama e il Parlamento statunitense - a maggioranza repubblicana - fossero contrari all’iniziativa del presidente palestinese, Abu Mazen, di chiedere il riconoscimento della Cisgiordania (e di Gaza) come Stato membro delle Nazioni Unite, lo si sapeva. Ma da ieri ne siamo certi. Nonostante i tentativi di dissuasione da parte degli Stati Uniti e del Quartetto, e la netta opposizione di Israele, il Comitato esecutivo dell’Olp ieri si è riunito assieme ai capi di tutte le componenti palestinesi a Ramallah con il presidente dell’Anp, ribadendo la decisione di chiedere per la Palestina lo status di “194° membro delle Nazioni Unite”, limitata dai confini del 1967 e con Gerusalemme Est come capitale, il prossimo 20 settembre all’assemblea generale delle. Una scelta, descritta da un dirigente dell’Olp, Azzam al-Ahmed, come “definitiva e irreversibile”. Nella convinzione, ha scritto al termine della riunione il segretario generale dell’Olp, Yasser Abdel Rabbo, che “arrivare a questo obiettivo favorirà il rilancio di un processo di pace serio e di nuovi negoziati, con lo scopo dichiarato di una soluzione con due Stati disegnati sulle frontiere del 1967”, cioè prima dell’occupazione israeliana della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e della Striscia di Gaza. Un’occupazione avvenuta durante la Guerra dei Sei Giorni di 44 anni fa e diventata permanente grazie all’escamotage dell’ampliamento costante delle colonie ebraiche in Cisgiordania.
DUE EMISSARI statunitensi - l'inviato del Dipartimento di Stato, David Hale, e l’ambasciatore Dennis Ross - oltre all’inviato del Quartetto, l’ex premier inglese Tony Blair avevano provato fino a due giorni fa a convincere Abu Mazen a desistere, minacciando anche sanzioni contro i palestinesi. Ma il presidente dell’Anp non ha cambiato idea e ha sottolineato, che è disposto a rinunciare alla presentazione della richiesta solo se gli israeliani riapriranno i colloqui diretti, fermo restando il prericonoscimento da parte israeliana delle frontiere del ‘67 con Gerusalemme Est come capitale palestinese.
Dopo aver annunciato di aver incontrato in segreto sia il capo di Stato israeliano, Shimon Peres, sia il ministro della difesa, Ehud Barak, ai quali ha assicurato la volontà di tenere aperto il dialogo, Abu Mazen ha fatto sapere che in assenza di uno stop nella colonizzazione della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, la leadership palestinese si appellerà all’Onu. Se davanti all’assemblea generale non dovesse aver successo, come probabile, nessuno potrà più far finta di nulla e continuare a posticipare all’infinito la questione dello Stato palestinese. Se invece avesse successo, il pieno status di Stato membro non verrebbe comunque conferito subito perché ci sarebbe ancora bisogno del voto del Consiglio di sicurezza, sul quale Washington farà valere il suo diritto di veto. Gli Usa però vorrebbero evitare di esibire al mondo la loro contrarietà, poiché non sarebbero più credibili come mediatori cardine del processo di pace. Rischierebbero di inimicarsi le nomenclature dei pochi Paesi dell’area che ancora gli sono amici: in primis Arabia Saudita e Giordania. Egitto e Turchia ormai non lo sono più.